In questi testi, scritti tra il 1964 e il 1993, il grande studioso francese, instancabile 'viaggiatore' di differenti mondi interiori ed esteriori, delinea un itinerario appassionato alla ricerca di un modo nuovo di pensare e di vivere la singolarità dell'opzione cristiana. Il cristiano contemporaneo, egli dice, si ritrova privo di certezze cui poggiarsi, non ha più il facile appiglio di istituzioni e pratiche consolidate: una situazione che condivide con l'«uomo comune» che de Certeau ha messo al centro di tutta la sua opera, l'uomo ogni giorno posto di fronte alla sfida del quotidiano, comune ma mai banale, anzi creativo, unico e speciale nell'intercettare l'esperienza concreta, la vita. E allora, come può quest'uomo, questo cristiano, trovare e percorrere il «sentiero non tracciato» che lo porti a pensare la sua fede e a inserirla positivamente nella società in cui vive? Immaginando i mondi possibili a partire proprio dal reale in trasformazione che si offre ai suoi occhi, prendendosi il rischio dell'incontro con la povertà non solo fisica, ma soprattutto spirituale: povertà di luoghi di identità religiosa, psichica, sociale; povertà come carattere ormai distintivo anche del credente contemporaneo. Perché è a quel punto che la «debolezza del credere» mostra la sua forza, evoca gesti e parole nuove per dar carne alla fede nell'oggi, suscita quel desiderio insaziabile e quella speranza senza pari che ci salva, nello scorcio di Novecento di de Certeau come nel nostro tempo di transizione radicale. Riproposti qui in una nuova edizione italiana, questi testi diventano allora per noi parole profetiche provenienti da un'intelligenza abbagliante, da un pensiero incisivo che non fa sconti alle facili consolazioni e convenzioni del discorso religioso, ma va dritto all'essenziale. Al fuoco, alla passione che devono agitare l'esperienza di fede. Prefazione di Stella Morra.
La storia religiosa dei secoli XVI e XVII ha trovato nell'opera di Michel de Certeau un insuperato punto di riferimento. In quest'epoca attraversata da inquietudini e dibattiti, il suo sguardo individua voci e testimonianze come quelle di Carlo Borromeo (riformatore tridentino a Milano e Roma) e di René d'Argenson (segretario di stato per gli Affari esteri di Luigi XV) o, ancora, Lafitau (che cercò di inscrivere i costumi e le tradizioni amerindie nella storia dell'umanità) e Michel de Montaigne, acuto indagatore dei cannibali brasiliani, che contribuirà alla nascita dell'antropologia. Le analisi di Certeau, a cui vanno aggiunte pagine fondamentali su Henri Bremond, Robert Mandrou o gli "Esercizi spirituali" di sant'Ignazio, recuperano l'alterità del passato (soprattutto, ma non esclusivamente, religioso) e ne mostrano i resti inassimilabili, i residui che sfuggono al trattamento ideologico o alla presa totalizzante, fosse pure quella del senso che non appartiene a nessuno e che, proprio per questo, non si deve smettere di cercare. "Il luogo dell'altro" rappresenta dunque una mirabile sintesi dell'opera di Certeau: un'opera mai compiuta e sempre proiettata al di là dei suoi guadagni.
Da Eckhart a Silesius, da Teresa d'Avila a Giovanni della Croce o Surin, tutto un corteo luminoso di donne, folli, illetterati, eremiti oscilla fatalmente tra obbedienza e rivolta, ortodossia ed eresia, sapere istituito e nuovi ordini del conoscere. In "Fabula mistica", opera considerata da molti il suo capolavoro, de Certeau si inabissa nell'indecifrabile Giardino delle delizie di Bosch, ascolta le voci dimenticate dei gesuiti di Aquitania che tentarono una riforma dell'Ordine, si attarda lungo le stazioni che scandirono il tragico percorso di Labadie: critica letteraria e psicoanalisi, semiotica e filologia, analisi sociale e indagine politica contribuiscono a disegnare un percorso che abbandona (ma non trascura) i confini della teologia e si lascia contaminare da strumenti critici apparentemente estranei o inadeguati. Ed è proprio la sorvegliata e rigorosa contaminazione tra discipline a costituire il tratto caratteristico della sua opera: mettere in discussione ogni teoria o pragmatica della comunicazione e lasciare che a parlare sia un linguaggio perforato, interdetto, opaco, sempre bisognoso di traduzione ma anche sempre più ricco di qualunque sistema.
Il ruolo della mistica nella storia: l'opera magistrale del grande filosofo e storico francese.
Quest’opera è considerata da molti il capolavoro di Michel de Certeau. Essa racconta l’irruzione nella storia della parola mistica come esperienza di marginalità, esclusione e rinuncia.
Un’esperienza che si svolge in luoghi in cui perdersi, attraverso parole o scene di enunciazione che sperimentano nuovi linguaggi: da Eckhart a Silesius, da Teresa d’Avila a Giovanni della Croce o Surin, tutto un corteo luminoso di donne, folli, illetterati, eremiti oscilla fatalmente tra obbedienza e rivolta, ortodossia ed eresia, sapere istituito e nuovi ordini del conoscere.
Critica letteraria e psicoanalisi, semiotica e filologia, analisi sociale e indagine politica, contribuiscono a disegnare un percorso che abbandona (ma non trascura) i confini della teologia e si lascia contaminare da strumenti critici apparentemente estranei o inadeguati.
Ed è proprio la sorvegliata e rigorosa contaminazione tra discipline a costituire il tratto caratteristico dell’opera dello storico, come pure il suo lascito fecondo: assumere l’«altrove» come griglia ermeneutica o il «desiderio» come impossibile che muove la storia, significa mettere in discussione ogni teoria o pragmatica della comunicazione e lasciare che a parlare sia un linguaggio perforato, interdetto, opaco, sempre bisognoso di traduzione ma anche sempre più ricco di qualunque sistema.
Se nelle parole dei mistici si occulta «il lutto che le separa da quanto mostrano» non sarà possibile smettere di percorrerne i tracciati, lasciandosi letteralmente «alterare» da quanto producono. La nostalgia di un’inafferrabile origine attraversa Fabula Mistica per contestare l’utopia della trasparenza e della pienezza di un sapere che occupa la scena con la pretesa di ricapitolare ogni suo movimento.
Ma altre scene, altri teatri, altre narrazioni si sono insinuate nei secoli XVI e XVII e, più o meno consapevolmente, hanno inaugurato il nostro tempo. Michel de Certeau – passante dei saperi – non intende captare alcun segreto, ma prova ad osservare tali scene con lo sguardo di chi cerca il loro punto di fuga, vale a dire l’impossibile «da cui ci sviano verso un assoluto».
L'elezione di papa Francesco ha contribuito a riportare l'attenzione su Pierre Favre, gesuita vissuto tra il 1506 e il 1546, molto amato dal Pontefice per la sua vicinanza a Francesco Saverio e soprattutto a Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù. Nel saggio introduttivo redatto appositamente per questo volume, Luce Giard ricorda come Favre formò con Ignazio "una coppia amicale e fervente" fin dal 1525. Per Michel de Certeau, storico del pensiero religioso assai stimato da papa Francesco, Favre passa così "dall'infanzia spirituale alla maturità, e dal sogno di un mondo perfettamente puro alla pratica della carità". Attraverso l'applicazione della Regola gesuitica e degli Esercizi, egli trova finalmente lo sbocco anelato in una vita caratterizzata da un'accentuata dimensione mistica. Dal 1536 fino alla morte svolge un'infaticabile attività predicatoria vivendo per anni come pellegrino fra i pellegrini sulle strade d'Europa e condividendo la quotidianità in un periodo di profonda crisi caratterizzato dalla diffusione del pensiero di Lutero. La sua vita, cominciata in un umile villaggio di pastori della Savoia, racchiude "il sentimento dell'Azione divina, le forme così varie in cui l'impulso, la realtà e l'attrazione divina si palesano", mostrando come questa unità non sia opera dell'uomo, ma un "dono che sempre meglio si può riconoscere".
In questo volume sono raccolti due saggi di Michel de Certeau sul "credere" come pratica sociale, scritti agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso. Come spesso accade con i saggi di de Certeau, anche qui viene reso fruttuoso un metodo di lavoro che si colloca all'incrocio di discipline diverse, quali la storia, l'antropologia culturale e la linguistica storica. Lo scopo che de Certeau persegue è duplice: da un lato mostra come il credere si sia modificato grazie all'avvento della modernità, la quale ha reso inoperante il legame che il credere aveva con le relazioni tra individui concreti e ha trasformato il credere in una pratica discorsiva in cui ne va invece del rapporto che una comunità di "parlanti" intrattiene con un insieme di enunciati; dall'altro, de Certeau svolge un'analisi di come il credere non possa essere pensato al di fuori dei contesti istituzionali che sostengono un dato sistema di credenze, sia per confermarlo, sia per utilizzarlo a proprio vantaggio. Sullo sfondo, la resistenza che le credenze oppongono alla presa delle istituzioni: mobili e nomadi, legate a ciò che fornisce un significato non solo al legame sociale, ma anche alla vita degli individui, le credenze per de Certeau attestano la vitalità di una pratica sociale che per definizione non può lasciarsi amministrare interamente dal potere istituzionale.
Michel de Certeau è stato un punto di riferimento per la sua comprensione dei meccanismi dell'ideologia, mentre è spesso rimasto incompreso il matrimonio da lui consumato tra pensiero storico filosofico e antropologia culturale e religiosa. Matrimonio impossibile per i maitres à penser della Parigi dell'epoca da Althusser a Bettelheim, da Derrida a Lacan. L'impossibilità era dell'ambito delle pratiche del sapere e de Certeau aveva rotto il politically correct di tali pratiche.
I saggi di Michel de Certeau raccolti in questo volume riguardano temi diversi: l'origine e la fondazione dell'antropologia e deIl'etnografia, il rapporto scrittura/oralità, la scrittura della storia e, più in generale, l'epistemologia dell'antropologia e delle scienze umane. Ciò che li unisce è la scrittura in quanto forma fondamentale secondo cui l'Occidente organizza il proprio rapporto con l'altro e con la parola dell'altro."Che cosa fa il sapere occidentale quando scrive l'altro?" è la domanda sottesa a queste pagine; una domanda che Certeau trasforma in un interrogativo più complesso: "Cosa fa un sapere che, alfine di comprendere, trasforma ciò che è vissuto dall'altro in scrittura?".
Comunione attraverso il conflitto, la vita dell'uomo non è mai concepibile senza l'altro: tragedia allora non è il conflitto, l'alterità, la differenza bensì i due estremi che negano questo rapporto: la confusione e la separazione. In questa nuova stagione dobbiamo imparare ad accettare il mistero e l'enigma di chi non conosciamo, di chi appare come l'estraneo e non solo lo straniero.