«Il monaco può essere paragonato al mozzo che si arrampicava sulla cima dell’albero maestro per scrutare l’orizzonte nella speranza di vedere profilarsi una riva sconosciuta. Il mozzo non è colui che guida la nave, il suo compito è solo di vegliare al suo posto di vedetta. Quando la terra appare in lontananza, grida la scoperta a tutti i membri dell’equipaggio. Come il mozzo, il monaco scruta i segni del mondo nuovo. Deve essere un uomo vigilante, totalmente teso verso il futuro a cui anela e che vorrebbe affrettare. In definitiva potrebbe essere definito l’uomo del desiderio».
Il presente volume, strutturato in saggi, ha come filo conduttore il tema della complessità sistemica, ora legata all'agire delle organizzazioni formali (parte prima), ora ai contesti di sviluppo locale (parte seconda). Le forme di complessità che emergono sono differentemente coniugabili nella contemporaneità, che vede peraltro sempre di più il declinarsi di una modernità multipla (nel senso proprio di Eisenstadt) sempre difficile da cogliersi nelle sue sfaccettature e problematiche d'insieme. L'unitarietà di questo volume, quindi, può essere solo "concettuale", considerata la ovvia frammentazione di tematiche specifiche e relative modalità di trattazione; è rintracciabile, tuttavia, una dinamica costante di "scomposizione/ricomposizione", insita nella contemporaneità stessa, che ne costituisce, spesso, sia la difficile comprensibilità sia il loro assoluto interesse. L'obiettivo di questo volume è proprio quello di poter contribuire, sia pure in modo frammentario, allo sviluppo negli studenti universitari di una sensibilità sempre crescente nei confronti della complessità sistemica stessa.
La raccolta qui presentata, che intende essere completamento e approfondimento a distanza di Chiesa e potere, include studi di vario spessore sul diritto della Chiesa e sulle lotte estenuanti del postconcilio per riformarlo (o, almeno, per impedirne ulteriori involuzioni) nel trentennio che agli inizi degli anni '90 si concluse. Tali studi, integrati da documenti essenziali del dibattito intracattolico coevo - un dibattito, che vide purtroppo le ragioni della forza prevalere troppo spesso sulla forza della ragione - sono a loro volta riportati a coerente unità storiografica da un ipertesto, che del tutto ritesse criticamente l'intimo dinamismo evolutivo.
L’armatura perduta è l’avvincente racconto di come ancor oggi l’archeologia possa riservare straordinarie scoperte, quale quella fatta da Livio Zerbini, valente studioso del mondo antico, in uno degli scenari paesaggistici e storici più affascinanti e suggestivi: la Colchide , l’antica regione, affacciata sul Mar Nero, il cui nome evoca immediatamente il mito di Giasone e degli Argonauti alla ricerca del vello d’oro.
Le pagine del libro non soltanto ripercorrono e ricostruiscono le fasi salienti dell’eccezionale scoperta archeologica, un’antica armatura, completa ed in ottimo stato di conservazione, ma rappresentano una sorta di viaggio a ritroso nel tempo nell’antica Colchide, in cui la dimensione del mito si percepisce ancora e sembra quasi insita negli stessi luoghi, e in cui l’archeologia, proprio per l’insufficienza di scavi sistematici, risulta ancora inevitabilmente ammantata di quel fascino del mistero della scoperta.
Ma la scoperta, pur se di grande rilevanza scientifica, è di per sé l’occasione per raccontare un viaggio in una terra dall’incontaminata bellezza, che ancora preserva inesplorati tesori archeologici.
Questa terra, così densa di storia, oltre a conservare paesaggi incontaminati di assoluta e straordinaria bellezza, rappresenta un vero e proprio scrigno di tesori archeologici ancora tutti da scoprire. È il caso della straordinaria scoperta fatta dall’autore del libro, Livio Zerbini, dell’Università di Ferrara, insieme a Vakhtang Licelli, dell’Università di Tbilisi. Nella provincia di Samtskhe, a sud dell’attuale Georgia, in un territorio per molti secoli di grande importanza strategica, attraversato dal fiume Mtkvari, tra i villaggi di Tsunda e Tmogvi, lungo il percorso fatto da Pompeo Magno per giungere in Colchide, all’interno di una vallata ben celata e nascosta, in cui sembra che il tempo si sia fermato per sempre, si trova un’imponente necropoli, composta di innumerevoli tombe, che datano dall’età del bronzo al III secolo, che costituirà, senza alcun dubbio, una delle più interessanti aree archeologiche degli anni a venire.
L’armatura perduta è pertanto la palese dimostrazione di come molte rilevanti scoperte archeologiche possano ancora venire alla luce, e sottrarsi così all’oblio del tempo nel quale erano inevitabilmente cadute, e nel contempo concorrere a dare la giusta dimensione e fisionomia a quell’immensa galleria di fatti, avvenimenti e personaggi che hanno animato il grande palcoscenico della storia.
Livio Zerbini insegna Storia Romana presso l’Università degli Studi di Ferrara, dove è responsabile del Laboratorio sulle Antiche province Danubiane. Dirige una missione archeologica nella Colchide. Ha pubblicato numerosi lavori sull’economia, la società e il popolamento nel mondo romano e sulla didattica della storia antica. Tra i suoi libri recentemente editi, si ricordano: Demografia, popolamento e società del delta padano in età romana (Ferrara 2002), La città romana (Firenze 2005), Insegnare l’antichità (Roma 2006), L’ultima conquista (Roma 2006) e con Rubbettino La Dacia romana (Soveria Mannelli 2007) e Pecunia sua (Soveria Mannelli 2008). È autore di documentari e consulente scientifico di trasmissioni radiotelevisive.
Il libro raccoglie alcune pagine del diario di don Massimo Camisasca, scritte nel silenzio della propria camera, all'inizio del giorno. Le riflessioni di don Camisasca conducono il lettore per mano nel cuore della Chiesa e del suo mistero d'amore più profondo: quello di un Dio che si fa pane per il suo popolo in cammino.