Se in una via affollata urli "Presidente!", si gireranno in quindici. L'Italia è piena di presidenti, e della più varia risma: ogni autorità pubblica ne ha uno, spesso più di uno. Dal presidente del Consiglio a quello dell'Inps, dalle Regioni ai tribunali, alla miriade di enti e società partecipate che affollano la penisola. Noi, per lo più, non ci facciamo caso. La nostra attenzione si risveglia ogni sette anni, quando c'è da eleggere un nuovo inquilino al Quirinale; ma, in realtà, tutti i giorni s'affaccia un nuovo presidente. Perché i posti sono tanti, così come gli appetiti; e non occorre vincere né un'elezione né un concorso per guadagnare la poltrona, dato che il presidente non è votato dal popolo ma da assemblee ristrette, quando non viene direttamente nominato. Insomma, la riforma più auspicata e contrastata - il presidenzialismo - in Italia è già in vigore, anche se non ce ne siamo accorti. Michele Ainis offre ai lettori un'inchiesta puntualissima, condotta insieme ad Andrea Carboni, Antonello Schettino, Silvia Silverio: 155 schede e 91 voci di rinvio che mostrano quanto sia radicato questo vizio tutto italiano, documentando la moltiplicazione delle cariche apicali. Un esercito con pochi soldati e troppi generali, che difende un presidenzialismo sprecone e un po' straccione. Ogni anno spendiamo 390 milioni di euro per mantenere oltre 70.000 presidenti, chiamati persino, in certi casi, a presiedere se stessi. Questo libro per la prima volta ne offre una fotografia: chi li sceglie, quali poteri hanno, quanto guadagnano, e perché i troppi presidenti rappresentano un freno insostenibile per il futuro dell'Italia.
Se l'Italia è una Repubblica fondata sulla bellezza, come è stato recentemente proposto in Parlamento, non c'è dubbio che l'abitudine al bello - e a un patrimonio artistico e culturale che non ha eguali nel mondo - sia il vero elemento unificante degli italiani, e come tale si rifletta nel testo della Costituzione promulgata nel 1948. Michele Ainis e Vittorio Sgarbi compongono un inedito commento letterario e illustrato alla nostra Costituzione in sedici capitoli, uno per ciascuno dei dodici princìpi fondamentali e dei quattro titoli in cui s'articola la prima parte della Carta. Un incontro che rivela la bellezza di un documento a cui contribuirono intellettuali come Croce, Marchesi, Calamandrei, capaci di esprimere, nel rigore della forma, un'altissima sensibilità letteraria. Questo "paesaggio umano e naturale", che affiora tra gli articoli e i commi della Costituzione, esprime nella forma più riuscita la corrispondenza tra il diritto e i cittadini: noi stessi, posti davanti allo specchio della legge, potremmo riconoscervi molto della nostra eredità, e scoprirci più ricchi di quanto immaginiamo. Alla bellezza del testo della Carta, testimoniata dalla sua longevità, questo libro affianca un tesoro di riferimenti, assonanze, simmetrie, tratti dalle diverse arti e ispirati ai princìpi costituzionali: suggerimenti di lettura che illuminano la vitalità e l'attualità del testo della Costituzione, un monumento da preservare come parte del nostro immenso patrimonio culturale.
Eguaglianza "aritmetica" o "proporzionale", secondo la distinzione di Aristotele? Nel punto d'arrivo o di partenza? Verso l'alto o verso il basso, come vorrebbero le teorie della decrescita? Se due mansioni identiche ricevono retribuzioni differenti, dovremmo elevare la peggiore o abbassare la più alta? Ed è giusto che una contravvenzione per sosta vietata pesi allo stesso modo per il ricco e per il povero? Sono giuste le gabbie salariali, il reddito di cittadinanza, le pari opportunità? E davvero può coltivarsi l'eguaglianza fra rappresentante e rappresentato, l'idea che "uno vale uno", come sostiene il Movimento 5 Stelle? In che modo usare gli strumenti della democrazia diretta, del sorteggio e della rotazione delle cariche per rimuovere i privilegi dei politici? Tra snodi teorici ed esempi concreti Michele Ainis ci consegna una fotografia delle disparità di fatto, illuminando la galassia di questioni legate al principio di eguaglianza. Puntando l'indice sull'antica ostilità della destra, sulla nuova indifferenza della sinistra verso quel principio. E prospettando infine una "piccola eguaglianza" fra categorie e blocchi sociali, a vantaggio dei gruppi più deboli.
La settima edizione del Piccolo codice cadeva nel 15º anniversariodella scomparsa di T. Martines e nel 150º dell'unità d'Italia. L'ottava si limita a registrare la riforma costituzionale sul pareggio di bilancio. Questo codice ospita una raccolta di testi normativi, di materiali giurisprudenziali e di altri documenti d'interesse costituzionale, destinata alle esigenze della didattica universitaria nel settore del diritto pubblico, ma che può soddisfare anche chi desideri informarsi sulle linee fondamentali dell'ordinamento vigente. Il criterio di scelta delle leggi e degli altri materiali che ne formano il tessuto consiste nella loro "contiguità" ai principi costituzionali, ossia nell'attitudine a precisarne o a svilupparne il senso. Ma questo volume si segnala soprattutto per la sua facilità di lettura, ottenuta per un verso attraverso l'attenta selezione di quanto inciascun documento risponda a un interesse sostanziale; per altro verso attraverso la distribuzione delle singole in calce alle disposizioni costituzionali di riferimento, così offrendone con immediatezza la portata normativa. Completano il codice un indice cronologico e un ampio indice analitico.
I figli dei bancari ereditano il posto del padre. Le mogli dei ferrovieri viaggiano in treno gratis. I sindacalisti sono esentati dai contributi pensionistici. I giornalisti non pagano nei musei. Piccole cose, rispetto agli scandali dei nostri conti pubblici? Tutt'altro: sono i segni rivelatori di una rete di privilegi e ingiustizie, in gran parte sommersa, che copre l'intero Paese e blocca ogni riforma. Così paghiamo conti salatissimi imposti dai cartelli delle varie categorie. Così lo Stato foraggia - con le nostre tasse notai, giornalisti, farmacisti e mille altre lobby. Così uno spaventoso 53 per cento degli italiani rimane intrappolato nel suo ceto d'origine e dagli anni Ottanta la disuguaglianza sociale è cresciuta del 33 per cento. E l'Italia si disgrega in mille rivoli di interessi privati. In questo libro documentato e appassionato, Michele Ainis individua il ganglio fondamentale su cui si gioca la prossima, decisiva, partita dell'Italia: liberarci dalla dittatura degli interessi privati per diventare un Paese dinamico e competitivo. Come? Grazie a una vera liberalizzazione, con leggi ferree e senza eccezioni. Come scrive Ainis, "Non resta che la rivoluzione. Pacifica, ordinata; ma senza dispense né indulgenze, senza salvacondotti per i vecchi vassalli e valvassori. Di eccezioni, fin qui, ne abbiamo sperimentate troppe. Ora è il tempo della regola".
La legge è malata, e in modo grave. Di più: questa malattia ha ormai messo in crisi il rapporto fra le istituzioni e i cittadini, alimentando un sentimento di diffidenza e di ripulsa verso tutto ciò che è pubblico, di tutti. Mentre la crisi della giustizia si acuisce, mentre entra in crisi lo stesso sentimento della legalità, Michele Ainis fa il punto sulla qualità e la quantità delle leggi italiane.
La Chiesa cattolica attinge abbondantemente alle risorse pubbliche dello Stato italiano: ogni anno milioni di euro vengono dirottati dal governo centrale e dagli enti locali, che si sono fatti di recente ancor più solerti. Questo tuttavia non impedisce al Vaticano pesanti incursioni nella vita pubblica del nostro paese: è pressoché impossibile che un provvedimento legislativo venga approvato senza il suo benestare; e quando accade, le resistenze della Chiesa cercano di impedirne l'applicazione. È una situazione abnorme, che trova il suo fondamento nel Concordato siglato l'11 febbraio 1929 da Pio IX con Benito Mussolini, che lo stesso pontefice aveva definito "l'uomo della Provvidenza". Quel patto venne accolto dalla Costituzione repubblicana attraverso l'articolo 7. Infine nel 1984 il Concordato fu rinnovato dall'accordo tra Craxi e Giovanni Paolo II. Oggi il trattamento privilegiato di cui gode il Vaticano non ha più alcun fondamento giuridico, argomenta Michele Ainis: l'articolo 7 era una norma provvisoria, e oggi è un farmaco scaduto. Oltretutto quelle dei vertici della Chiesa si configurano come vere e proprie ingerenze di uno stato straniero nei nostri affari interni. Infine, in una società sempre più complessa, i privilegi concordatari creano inevitabilmente una disparità di trattamento rispetto a cittadini italiani che seguono altre fedi (e soprattutto a quelli che non si sentono affiliati ad alcuna chiesa).
Un saggio lucido, polemico, chiaro, sulle ragioni della nostra Costituzione, sulla sua distorta applicazione, sui dibattiti antichi e recenti in merito alla riforma, sull'ultimo disastroso progetto di stravolgerla. Michele Ainis insegna Istituzioni di diritto pubblico nell'Università di Teramo. Oltre all'impegno accademico, svolge un'intensa attivita di edirorialista.
Siamo più liberi di quanto fossero mai stati i nostri padri. Ma è proprio vero? In realtà alla libertà va sempre più spesso sostituendosi - secondo l'autore - la licenza, l'arbitrio del più forte. Ainis compila un diario della società italiana a cavallo tra il vecchio millennio e il nuovo, attraverso una selezione ragionata degli editoriali via via pubblicati sulle colonne della "Stampa". E insieme una cronaca d'abusi e di soprusi, d'intemperanze e intolleranze, che nel loro insieme testimoniano il malessere di cui soffriamo oggi noi italiani.