"Delle tre cantiche, senza dubbio la più bella" ci dice Sermonti del Purgatorio, e aggiunge: "come ognuna delle altre". Qui Dante conferisce sostanza, ubicazione e regime al nebuloso regno transitorio dell'oltretomba; promette un canto verticale, che dalla voragine dell'inferno risalirà vertiginosamente i costoni del monte dell'espiazione, sulla cui cima risplende il paradiso terreste. Il purgatorio, questa vetta che sorge al centro dell'emisfero australe, viene da lui scoperto - o inventato? - dopo un millenario travaglio teologico e grazie a Vittorio Sermonti, la sua poesia torna viva ai nostri orecchi e ci seduce con le "dolci note" della sua musica.
È un luogo comune pensare che questa ultima tratta del più famoso pellegrinaggio oltremondano sia anche la più cerebrale e tediosa. Sebbene sia difficile vincere la diffidenza degli ex alunni nei confronti del "Paradiso", memori delle dottrine, della rigorosa teologia e della glorificazione di una giustizia celeste, è qui che il canto si fa più luminoso, e "l'enigma stesso di quel canto che dice e non dice, che dice di non dire quel che sta dicendo" ha prodotto pagine supreme, "rifondando la parola nel silenzio che in perpetuo la genera e in perpetuo la minaccia." Vittorio Sermonti, che ci ha scortati attraverso un capolavoro inesauribile, in grado di illuminare, dopo settecento anni, il nostro presente, si augura "di istigare anche uno solo dei misteriosi diciottenni di oggi a leggere la 'Divina Commedia', e a farsela uscire di bocca."
Nell’estate del 1940, un ragazzo di undici anni ascoltò il padre che leggeva e spiegava ai fratelli maggiori l’Inferno di Dante; le due estati seguenti toccò a Purgatorio e Paradiso. Proprio quel ragazzo, che all’epoca capiva meglio il concerto che facevano le cicale che non le terzine del poeta, mezzo secolo più tardi avrebbe letto e spiegato Dante ai microfoni della radio e in più di cinquecento letture pubbliche. Vittorio Sermonti ha consentito a “qualunque italiano dotato di cultura media, intelligenza e un po’ di passione di ripercorrere il più gran libro scritto in italiano senza interrompere continuamente l’avventura per approvvigionarsi di notizie e delucidazioni.” Così è nato questo “racconto-commento” della Divina Commedia. Una prosa insieme raffinata e colloquiale, accurata e ironica; letto con l’impudenza della prima volta, col batticuore dell’ultima, dal principio.
Le Rime di Dante sono, insieme al Canzoniere di Petrarca, la più importante e la più bella raccolta poetica del nostro Medioevo. La maggior parte dei componimenti è di tema amoroso, ma non mancano canzoni e sonetti filosofico-morali che anticipano il Convivio e la Commedia. Dante eredita, da un lato, il repertorio delle convenzioni medievali e, dall'altro, emancipandosi dai cliché letterari della sua epoca e aprendo strade destinate ad avere ampia fortuna, anticipa orientamenti che saranno caratteristici della poesia moderna.
Iniziato con ogni probabilità nel 1306-07, l'Inferno è la prima delle tre cantiche che compongono la Commedia dantesca. In questi trentaquattro canti il poeta racconta l'inizio del suo viaggio ultraterreno, a partire dallo smarrimento nella "selva oscura", dove incontra il poeta latino Virgilio che sarà sua guida, giù giù per i diversi gironi, fino all'orrenda visione di Lucifero e quindi alla faticosa risalita "a riveder le stelle". Un itinerario nell'animo umano lungo il quale Dante incontra decine di indimenticabili personaggi, alle cui tristi vicende egli sa guardare con fermo giudizio ma anche con una suprema pietas che è forse il maggior segno del suo profondo atteggiamento di estrema modernità.
Il libro racconta la "Divina Commedia" di Dante Alighieri, dalla selva oscura in cui il poeta si smarrisce alla visione di Dio che conclude il "Paradiso". Il racconto del poema è incorniciato da un Prologo e da un Epilogo, in cui si narra la morte di Dante a Ravenna, nel 1321, in seguito alle febbri contratte attraversando le Valli di Comacchio.
Con il Paradiso si completa l’edizione della Commedia di Dante Alighieri curata da Giorgio Inglese. Per la prima volta, novant’anni dopo i lavori di Giuseppe Vandelli, tornano a presentarsi così in un insieme organico la revisione filologica e il commento critico del capolavoro dantesco, in un’edizione che si rivolge al lettore colto come allo studente e che punta a far emergere, accanto ai valori espressivi del testo, il grandioso patrimonio culturale soggiacente ai versi di Dante.
Con il "Paradiso" si completa l'edizione della "Commedia" di Dante Alighieri curata da Giorgio Inglese, uno fra i massimi studiosi del Poeta. Per la prima volta, novantanni dopo i lavori di Giuseppe Vandelli, tornano a presentarsi così in un insieme organico la revisione filologica e il commento critico del capolavoro dantesco, in un'edizione che si rivolge al lettore colto come allo studente e che punta a far emergere, accanto ai valori espressivi del testo, il grandioso patrimonio culturale soggiacente ai versi di Dante.
La terza «sublimis cantica» - come il suo autore, con profonda consapevolezza e bellezza, la definì - contiene in sé qualcosa di unico, che la rende diversa da ogni altra composizione della letteratura. Essa appare nuova anche rispetto alle prime due parti del poema, già così rivoluzionarie nell'invenzione e nel linguaggio. Perché la poesia del Paradiso non racconta vicende di uomini, non descrive paesaggi. Essa si sostanzia di cose che non si vedono e che, soltanto, per fede, si sperano. E tuttavia anche e soprattutto qui il genio di Dante riesce a esprimersi con versi di grande potenza, che si imprimono per sempre nella mente del lettore con immagini di straordinaria forza suggestiva.
Il secondo regno dantesco, «dove l'umano spirito si purga / e di salire al ciel diventa degno», è, dei tre, quello che porta nella sua struttura, sia fisica sia morale, la maggiore novità d'invenzione: si potrebbe addirittura dire che è un mondo, nel suo aspetto e nel suo spirito, soltanto dantesco. Circola per tutto il «Purgatorio» un'atmosfera difficilmente definibile, come di raccolto incanto, che avvolge il lettore fin dall'inizio e l'accompagna alle soglie del Paradiso: cogliere lo spirito di quella delicatissima aura che tutto avvolge è la via per intendere il «Purgatorio» dantesco nella profonda bellezza che lo distingue.