«Civiltà» è da sempre un concetto delicato, da maneggiare con cura. Una categoria ambigua, controversa, spesso definita per contrapposizione: da una parte «noi», i civilizzati, dall'altra «loro», i «barbari», vale a dire tutti quelli che non condividono i nostri valori. Anch'essi, però, hanno una loro storia da raccontare e persino una loro idea di arte. In realtà, con il termine «civiltà» dovremmo intendere una pluralità di mondi che si confrontano e dialogano fra loro attraverso il linguaggio dell'arte. E che attraverso l'arte ci parlano. Ma di cosa parlano le opere d'arte? Secondo Mary Beard, classicista di Cambridge, al cuore della creazione artistica ci sono due questioni coinvolgenti e controverse: la rappresentazione del corpo umano e la raffigurazione della divinità. Dai colossali faraoni egizi di Luxor alle ceramiche degli antichi greci, dalla statua di Afrodite ai guerrieri di terracotta sepolti insieme al primo imperatore della Cina, la figura umana è la chiave per comprendere non solo la rappresentazione del potere e la definizione dei ruoli sociali, ma anche la sessualità, l'erotismo, la virtù morale e politica, i valori di una comunità. Al punto che una particolare rappresentazione del corpo, risalente alla Grecia classica, ha contribuito a fissare i canoni della bellezza e della perfezione formale con cui per secoli l'Occidente ha valutato le altre culture. La seconda questione riguarda invece la raffigurazione visiva del sacro, un dilemma che tutte le religioni - spesso in bilico tra vanità idolatra e furore iconoclasta - hanno dovuto affrontare, giungendo a soluzioni superbe e affascinanti, come testimoniano lo splendore delle immagini musive della basilica di San Vitale a Ravenna, la Moschea Blu di Istanbul o le pitture rupestri delle grotte di Ajanta, che ritraggono il Buddha in cerca dell'illuminazione. "Civiltà" è un viaggio attraverso alcune delle pagine più emozionanti e meno note della storia dell'arte. Portando alla luce i tesori nascosti delle civiltà antiche, Mary Beard guarda oltre il canone tradizionale dell'immaginario occidentale e si rivela una guida preziosa per educare lo sguardo.
In che modo, e perché, si rideva nella Roma antica? Come agiva il riso nella cultura dell'élite romana? Qual era il suo compito politico, intellettuale, ideologico? E che cosa ci dice di come funzionava la società? In questo libro, Mary Beard esplora le varie forme della comicità a Roma, gettando nuova luce su alcuni celeberrimi classici, dalle commedie di Plauto all'inquietante "Asino d'oro" di Apuleio. In queste pagine non si parla solo di letteratura, ma del riso nella vita quotidiana, fra barzellette e scherzi burloni, fra uomini comuni e imperatori, fra scritte ingiuriose e motti di spirito, perché ridere è anche una questione di potere.
Il Colosseo, con il suo profilo immediatamente riconoscibile, è il più celebre monumento del mondo classico che si sia conservato. Ma cosa ne sappiamo veramente? Qual era il suo scopo originario? A cosa deve la sua fama? Keith Hopkins e Mary Beard guidano il lettore tra i segreti dell'Anfiteatro Flavio svelando l'enigma del suo fascino. Narrano la Storia e le storie - ma anche le leggende - di un luogo unico al mondo che ha vissuto infinite metamorfosi: teatro dei giochi gladiatorii e ricovero per animali e barche, testimone della morte violenta dei martiri protocristiani e immenso orto botanico. Una grandiosa architettura, simbolo stesso dell'Antichità, che in queste pagine si trasforma in un racconto avvincente, dalla posa della prima pietra fino ai "centurioni" del Ventunesimo secolo.
Quando nell’Odissea omerica Penelope chiede a Femio, l’aedo, di cantare qualcosa di meno triste del periglioso ritorno da Troia degli eroi achei, l’imberbe Telemaco interviene bruscamente, invitando la madre a rientrare nelle proprie stanze e ricordandole che «la parola spetta agli uomini». Per quanto saggia e matura, Penelope china il capo di fronte al figlio e si ritira in silenzio.
All’alba della tradizione letteraria dell’Occidente, questo è il primo esempio di un uomo che ordina a una donna di tacere e di uscire di scena. Da Aristofane a Ovidio, da Valerio Massimo a Plutarco ne seguiranno altri, a dimostrazione di come, fin dall’antichità classica, alle donne sia stato sottratto il diritto di parola, e insieme a esso la possibilità di accedere al discorso pubblico.
Negata e svilita, derisa e temuta, la voce femminile è stata ridotta al silenzio, un silenzio, però, che a distanza di secoli sembra gravare ancora sulla volontà delle donne di essere ascoltate, prese sul serio, considerate per le loro capacità e competenze. Un silenzio a cui gli uomini sembrerebbe non intendano rinunciare, se solo pensiamo alle ingiurie e alle intimidazioni di cui le donne sono fatte oggetto – nel web come nella politica o nella cultura – non per ciò che dicono ma per il semplice fatto di voler parlare.
Evidentemente, nella radicale alterità della loro voce, «differente» e per questo foriera di una diversa concezione del mondo, si avverte ancora l’eco di quel pericolo che il mondo greco paventava, quando, nelle figure tragiche di Medea, di Antigone o di Clitennestra – per citarne solo alcune -, scorgeva una reale minaccia per la polis, la comunità, l’ordine costituito.
In Donne e potere Mary Beard riannoda i fili che, ancora una volta, ci legano alla Grecia e alla Roma antiche, per dimostrare quanto siano profondi i meccanismi che impongono alle donne il silenzio e quanto sia alto il prezzo che esse devono pagare per rivendicare la libertà di parola.
Nel 212 d.C., con un decreto dell'imperatore Caracalla, veniva concessa la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi dell'impero. Una decisione rivoluzionaria, che tuttavia portava a termine un processo avviato quasi mille anni prima da Romolo, il leggendario fondatore di Roma, il quale, con un gesto inconsueto per le civiltà antiche, aveva invitato gli stranieri, i diseredati, i profughi e gli esiliati a unirsi a lui, trasformandoli di fatto in cittadini romani. Fu questa disponibilità ad accogliere nuovi arrivati a fare di un piccolo e insignificante villaggio sorto sulle rive del Tevere una potenza in grado di dominare un territorio che si estendeva dalla Spagna alla Siria, dalla Germania al Sahara? A partire da questo interrogativo, Mary Beard in "SPQR" ci offre una nuova visione della storia di Roma, una storia caratterizzata da incredibili miti fondativi e grandi istituzioni politiche e sociali, da straordinarie conquiste militari e stupefacenti opere architettoniche, nonché, naturalmente, dalle gesta delle personalità più celebri del mondo romano. Ma anche una storia che le innumerevoli testimonianze, non solo letterarie, ci consentono di conoscere fin nei minimi dettagli, rendendoci partecipi della vita quotidiana - quasi sempre difficile - della gente comune, degli intrighi e delle lotte per il potere, delle atroci violenze che accompagnavano le imprese belliche, come pure dell'estrema vitalità e grandezza di un mondo globalizzato e in perpetuo movimento.
Lo spettro della fine degli studi classici si aggira fra noi da molto tempo. Ovunque, in Occidente, ci si dispera per il declino della fortuna del greco e del latino nelle scuole, per la chiusura delle facoltà di lettere antiche. Si vorrebbe addirittura che l'Unesco dichiarasse le lingue classiche «patrimonio dell'umanità», quasi fossero delle rovine preziose o una specie in via di estinzione. In questa decadenza, però, vi è qualcosa di paradossale: infatti, se da un lato i classici sono in declino «per definizione» (lo sono, cioè, da sempre), dall'altro sul loro destino il dibattito fra gli specialisti sembra non conoscere requie. E, soprattutto, sembra non lasciare alcuna speranza. Questo probabilmente perché continuiamo a guardare al mondo antico con rimpianto e nostalgia, o perché non riusciamo a liberarci dal timore di non poter preservare ciò che amiamo. Forse è la paura di veder svanire il fondamento della cultura occidentale. La nostra identità. Fare i conti con i classici ci invita a guardare alla cultura e alla storia greca e latina con occhi diversi. E a sottrarci al luogo comune secondo cui il dialogo con gli autori antichi sia un «dialogo con i morti». Innanzitutto perché studiare i classici significa confrontarsi non soltanto con la letteratura, la poesia, la filosofia, il teatro del mondo greco-romano, ma anche con tutti coloro che nel corso dei secoli li hanno affrontati, citati o ricreati. E poi perché in questo dialogo i veri interlocutori siamo noi. Noi che come ventriloqui diamo voce a ciò che gli antichi hanno ancora da dire, proiettiamo su di loro angosce e desideri, non smettiamo di interrogarli sui grandi temi-concetti-parole che da oltre duemila anni definiscono il nostro orizzonte culturale. E misuriamo senza posa la distanza che ci separa dal loro universo. Al quale, nonostante tutto, rimaniamo inevitabilmente legati. Perché la tradizione greca e latina non è qualcosa da imparare a memoria e declamare, ma è qualcosa con cui interagire e battagliare. Qualcosa che invita al confronto, all'avventura e alla sfida, nel tentativo di ritrovare quella connessione creativa capace di liberare tutta l'energia e la tensione di cui i classici sono ancora intrisi.
In che modo, e perché, si rideva nella Roma antica? Come agiva il riso nella cultura dell'élite romana? Qual era il suo compito politico, intellettuale, ideologico? E che cosa ci dice di come funzionava la società? In questo libro, Mary Beard esplora le varie forme della comicità a Roma, gettando nuova luce su alcuni celeberrimi classici, dalle commedie di Plauto all'inquietante "Asino d'oro" di Apuleio. In queste pagine non si parla solo di letteratura, ma del riso nella vita quotidiana, fra barzellette e scherzi burloni, fra uomini comuni e imperatori, fra scritte ingiuriose e motti di spirito, perché ridere è anche una questione di potere.
Nel 212 d.C., con un decreto dell'imperatore Caracalla, veniva concessa la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi dell'impero. Una decisione rivoluzionaria, che tuttavia portava a termine un processo avviato quasi mille anni prima da Romolo, il leggendario fondatore di Roma, il quale, con un gesto inconsueto per le civiltà antiche, aveva invitato gli stranieri, i diseredati, i profughi e gli esiliati a unirsi a lui, trasformandoli di fatto in cittadini romani. Fu questa disponibilità ad accogliere nuovi arrivati a fare di un piccolo e insignificante villaggio sorto sulle rive del Tevere una potenza in grado di dominare un territorio che si estendeva dalla Spagna alla Siria, dalla Germania al Sahara? A partire da questo interrogativo, Mary Beard in "SPQR" ci offre una nuova visione della storia di Roma, una storia caratterizzata da incredibili miti fondativi e grandi istituzioni politiche e sociali, da straordinarie conquiste militari e stupefacenti opere architettoniche, nonché, naturalmente, dalle gesta delle personalità più celebri del mondo romano. Ma anche una storia che le innumerevoli testimonianze, non solo letterarie, ci consentono di conoscere fin nei minimi dettagli, rendendoci partecipi della vita quotidiana - quasi sempre difficile - della gente comune, degli intrighi e delle lotte per il potere, delle atroci violenze che accompagnavano le imprese belliche, come pure dell'estrema vitalità e grandezza di un mondo globalizzato e in perpetuo movimento.
SPQR is the Romans own abbreviation for their state: Senatus PopulusQue Romanus, 'the Senate and People of Rome' - and this magnificent book is an eloquent and a definitive account of their story.
Che città fu Pompei? Che cosa ci dice oggi riguardo alla sua vita, dal sesso alla politica, dal cibo alla religione, dalla schiavitù alla sua cultura? Un gran numero di miti sono crollati: la vera data dell'eruzione, avvenuta probabilmente alcuni mesi dopo quella generalmente considerata; o il leggendario numero di postriboli, che probabilmente era uno solo; come l'alto numero dei morti, forse meno del 10 per cento della popolazione. In ogni angolo troviamo prove illuminanti di quanto Pompei fosse una città multiculturale, vivacissima e ben organizzata: il sistema stradale a senso unico svelato dai solchi del selciato, i vasi di colore abbandonati dai decoratori, le 153 tavolette di cera che testimoniano le registrazioni finanziarie di un banchiere e banditore di aste locale; una statuetta d'avorio di una divinità indiana; un tavolo che appartenne a uno degli assassini di Cesare. Distrutta e messa sottosopra, evacuata e depredata, Pompei serba i segni (e le cicatrici) di storie d'ogni genere, che sono alla base di quello che potremmo chiamare 'il paradosso di Pompei': ovvero che della vita antica che vi si svolgeva sappiamo contemporaneamente molto più e molto meno di ciò che crediamo. È questa la materia dello straordinario racconto di Mary Beard. "Prima del fuoco" è la brillante dimostrazione che l'erudizione può essere un'avventura emozionante.