Non sono molti nella storia i personaggi come Alcibiade, capaci di generare odi e amori tanto potenti da smuovere l'interesse appassionato degli storici a distanza di due millenni e mezzo. All'uomo politico possono essere mosse accuse fortissime, come quella di esser stato animato solo dalla sete di potere o di aver tradito la propria città. Ma tutto questo sfuma di fronte all'uomo Alcibiade, al "cucciolo di leone" del quale parla Aristofane, odiato e idolatrato dal suo popolo. L'uomo adottato da Pericle fu in effetti una personalità ambivalente, a cavallo tra poli opposti a livello pubblico e privato: un aristocratico che ha fatto una scelta democratica, ma anche l'esponente di una politica slegata dall'idea di servizio alla comunità. Le sue doti intellettuali erano formidabili, come d'altra parte la sua eloquenza e la simpatia che lo circondava, non a caso fu allievo e amante di Socrate. Quasi impossibile non amare un personaggio così eccezionale, smisurato nelle ambizioni così come nel carattere. Capace di concepire piani grandiosi, fu poco efficiente nel portarli a termine, per questo fu costantemente esposto alle altalenanti sorti, in termini di consenso, di chi molto promette e nulla mantiene. Volle troppo e perse tutto, prima fra tutte la sua credibilità, in un tempo in cui etica e politica erano ancora congiunte.
Il manuale fornisce un quadro chiaro ed esauriente della storia della Grecia antica, dalle origini alla conquista romana. Il testo privilegia la ricostruzione degli avvenimenti politici (presupposto necessario per la comprensione degli aspetti economici, sociali e culturali) con una particolare attenzione per la storia delle relazioni internazionali e per la difficile ricerca di un equilibrio panellenico.
Morto Pericle, la guerra del Peloponneso in corso, una nuova generazione di politici irrompe sulla scena pubblica di Atene. Uomini come Alcibiade, la cui volontà di primeggiare e di promuovere le proprie personali ambizioni fa di lui, secondo Tucidide, uno dei primi responsabili della crisi della democrazia che sfocia nei colpi di Stato oligarchici del 411 e del 404 e poi nella sconfitta in guerra di Atene. O come Antifonte, Pisandro, Frinico, Teramene, protagonisti di una nuova e sconcertante stagione politica. Lo scopo è quello di assumere il potere per affermare i propri interessi personali. Alla perenne ricerca del consenso, costretta a compiacere il popolo, quella classe politica da una parte gli concede un potere eccessivo e incontrollabile, dall'altra ne manipola la volontà eccitandone le passioni. Nella gestione dello Stato, il tema dell'interesse comune passa così in secondo piano; al politico democratico si sostituisce il demagogo, nel senso moderno del termine. I colpi di Stato oligarchici sono dunque la degna conclusione di questo processo degenerativo e sono realizzati attraverso raffinate tecniche di controllo del consenso. Ma la democrazia riesce a mostrare capacità di reazione e gli esperiemnti oligarchici rientrano con rapidità: restava da affrontare la ricostruzione, non solo sul piano istituzionale ma anche e soprattutto su quello ideologico ed etico. Si trattava di tornare a porsi come obiettivo, e come limite alle ambizioni dei singoli, "la giustizia e l'ultile della città".
Cittadini e stranieri possono convivere senza conflitti? Le differenze di carattere etnico, linguistico, religioso, culturale, sociale suscitano inevitabilmente un sentimento di più o meno grave estraneità, con cui è necessario confrontarsi lucidamente per poter affrontare le complesse questioni relative alla convivenza e all'integrazione. Il confronto con l'esperienza del mondo antico non fornisce soluzioni (che non possono prescindere dal contesto storico in cui maturano), ma offre certamente significativi elementi di riflessione. Questo libro prende in esame il rapporto fra cittadini e stranieri (liberi o schiavi, residenti o non residenti) nella città greca, seguendone l'evoluzione dall'arcaismo all'età ellenistica: e lo fa partendo da un tema cruciale, quello della consapevolezza identitaria greca e del modo in cui essa influì sul rapporto con chi vi era estraneo. Un'occasione per meditare in modo consapevole su quei problemi di relazione con l'"altro"che i Greci dovettero affrontare e che la storia ripropone oggi.
Il cammino della giustizia nella Grecia antica, dall'arcaismo all'età ellenistica, è lungo e caratterizzato da profonde trasformazioni. Da una giustizia di origine divina, amministrata arbitrariamente dagli aristocratici, si giunge, attraverso la codificazione delle leggi, alla giustizia popolare che sì esercita nella polis sotto il controllo dei cittadini. Il declino dell'esperienza cittadina porta alla giustizia del re giudice, certamente meno "democratica", ma che ha il pregio di essere accessibile ad un numero vastissimo di persone, indipendentemente dalla loro origine etnica e dal loro status, e di dar luogo, con il diritto ellenistico, ad una civiltà giuridica comune.