Dalla Fabula di Poliziano all’Aminta di Tasso il teatro del Rinascimento ha proiettato fuori dalle corti e dalle città l’utopia di una felicità primitiva. Ma il primo scenario pastorale si chiude con la tragedia di Orfeo e Euridice, sempre compianta ma anche censurata. A questo sacrificio Borsellino restituisce il suo significato autentico, ‘scandaloso’ e perciò rimosso; alla numinosità di Pan restituisce il suo potere vitale, pervasivo e anche inquietante. Da una pulsione panica nasce l’Eden contadino di Ruzzante, ma anche l’erotismo dell’Aminta con la sua legge – S’ei piace, ei lice – prima moralizzata poi adottata da un libertinismo propagandato e praticato.
Sono molti i ‘paesaggi dell’utopia’ pastorale e rurale. Quello evocato da Tasso è audace e malinconico: commemora la fine di un’illusione. Eppure ancora ispira nostalgie di paradisi perduti.
Evitando le minuzie dell'erudizione e dell'esegesi allegorica specialistica, il libro mette in evidenza i dati biografici fondamentali dell'esperienza umana di Dante e collega nelle linee di un racconto critico i temi e i problemi di maggior rilievo relativi a ciascuna opera, dalla "Vita nova" alla "Commedia". Completa il libro un profilo della fortuna dell'opera dantesca nel tempo, e più in particolare nel Novecento. Un'ampia bibliografia aiuta il lettore a orientarsi nella immensa biblioteca degli studi sul nostro maggiore poeta.