«Alessandro si rese conto che quella era un'occasione mandata dagli dèi per distruggere la potenza persiana in un singolo scontro» Diodoro Siculo Novembre 333 a.C., Alessandro affronta a Isso la grande armata di Dario III. A contrapporsi sono il coraggio e l'ambizione del giovane re di Macedonia, alla testa dell'esercito forgiato dal padre Filippo, e la potenza di un impero. Dopo ore di lotta furiosa, coperto di sangue e di polvere, Alessandro smonta da cavallo ed entra nella tenda di Dario, abbandonata dal sovrano nemico in fuga. Il Macedone non soltanto ha inferto un colpo mortale alla Persia: ha combattuto con slancio irresistibile alla testa dei suoi uomini, dando forma a un mito che durerà nei secoli. La sera della battaglia il suo modo travolgente di conquistare la vittoria è già leggenda. Gastone Breccia ci restituisce uno dei personaggi che più hanno segnato la storia dell'Occidente nel suo giorno perfetto, quando riuscì a vivere in armonia con il «demone della battaglia» che sembrava possederlo e lo rendeva invincibile.
La corsa sulle lunghe distanze è una disciplina dura. Richiede costanza, capacità di sopportare la fatica e superare soglie di sofferenza a cui la nostra vita sedentaria non ci prepara. Ma è l'attività più naturale che sia possibile praticare; un'attività nella quale milioni di anni di evoluzione della specie ci hanno reso imbattibili. E, soprattutto, la corsa ci rende felici. Non soltanto più magri e forti, più sani e soddisfatti: riesce a toccare qualcosa di misterioso, che ci avvicina alla nostra natura più profonda e ci fa sentire liberi. Se l'uomo è un perfect runner, la maratona è la distanza perfetta. Rappresenta infatti il giusto compromesso tra resistenza ed efficienza: mette alla prova la capacità fisica e mentale di 'tenere duro', ma consente di esprimere un gesto atletico efficace, limpido, 'bello'. Può essere un'avventura splendida o fallimentare; può lasciare stanchi e felici, o frastornati, svuotati e delusi. Non tutto dipende dal risultato. Come insegnano i filosofi orientali, la strada è più importante del traguardo, ed è il cammino a dare un senso alla meta.
Due grandi piaghe, epidemie e guerre, hanno afflitto l'umanità fin dall'alba dei tempi, provocandone spesso una terza, la carestia. Ancora più devastanti si sono rivelate quando si sono presentate in contemporanea, in alcuni momenti nodali della storia che hanno finito per determinare il destino di una civiltà. Un conflitto di ampie proporzioni, infatti, ha talvolta favorito la diffusione dell'epidemia, e quest'ultima, a sua volta, ha determinato lo sviluppo e l'esito della guerra, in un'interazione letale che ha moltiplicato esponenzialmente gli effetti dei due eventi. Il presente volume analizza, anche attraverso le testimonianze dirette di chi li ha vissuti, sei momenti chiave della storia nell'arco di un millennio e mezzo, dalla peste di Atene scoppiata alla fine della Guerra del Peloponneso all'epidemia di Spagnola diffusasi sul finire della prima guerra mondiale, evidenziando le dinamiche di causa ed effetto e le concatenazioni tra le due piaghe, che si sono alimentate reciprocamente, determinando l'evoluzione in termini sociali, economici, politici, militari e psicologici delle società che hanno vissuto l'immane trauma.
Tre anni di combattimenti, centinaia di migliaia di perdite tra i militari dei Paesi belligeranti e almeno un milione e mezzo tra i civili; un Paese devastato, il mondo sospinto a un passo da un conflitto nucleare; una pace mai firmata e dunque una crisi irrisolta, che ancora oggi, a tratti, fa salire la tensione internazionale al livello di guardia: ciò nonostante la guerra di Corea è per eccellenza «la guerra dimenticata» del XX secolo. Eppure il nostro mondo ne è l'erede diretto, perché essa segna il ritorno della Cina tra le grandi potenze; ed è con il rapido riarmo del 1950-53 che inizia la trasformazione della società statunitense in una «macchina bellica» destinata a contrastare l'espansione comunista e a «combattere per la libertà e la democrazia». La guerra di Corea ci appare oggi quasi un tragico laboratorio dei conflitti contemporanei.
Le possenti mura di Costantinopoli hanno arginato per secoli le ondate di nemici che insidiavano l’Europa cristiana. Le armate dell’impero romano d’Oriente si erano trasformate nello scudo di Cristo: questa è la storia della loro lunga lotta, fino alla vittoria. L’impero romano d’Oriente visse suo malgrado per oltre mille anni in uno stato di guerra continua. La sua capitale Costantinopoli, la splendida ‘regina delle città’, non smise mai di attirare conquistatori avidi di preda dai quattro angoli del mondo: Goti, Unni, Slavi, Avari, Persiani, Arabi, Bulgari… L’impero, spesso sull’orlo della disfatta, riuscì sempre a trovare la forza necessaria per rialzarsi dopo le sconfitte. Aveva ereditato da Roma antica uno dei più potenti eserciti della storia: attraverso molti cambiamenti organizzativi, strategici e tattici, fu comunque in grado di mettere in campo armate capaci di respingere le continue invasioni. Il libro ripercorre i primi turbinosi secoli di questa storia, dalla disfatta di Adrianopoli del 378, che costrinse Teodosio I a riformare l’intero sistema difensivo imperiale, fino alle vittorie sugli Arabi e sui Bulgari, che nel IX secolo restituirono alla Nuova Roma uno spazio di dominio nei Balcani e in tutto il Mediterraneo orientale. Vengono analizzate sia la strategia dell’impero che le tattiche di combattimento, spesso all’avanguardia, delle sue armate, nonché la loro organizzazione, legata ad aspetti cruciali della vita sociale ed economica dello Stato. Al riparo dello scudo bizantino ebbe modo di prosperare e svilupparsi l’Europa latina: che però non riconobbe mai ai fratelli d’oriente il merito di aver difeso con il proprio sangue la pace di tutta la Cristianità.
«È il momento di avere pazienza e di non fare errori. È il momento di cercare la nostra corsa perfetta, quella che abbiamo costruito giorno per giorno, espressione del nostro personale equilibrio tra sforzo e durata, tra velocità e resistenza. Se ci siamo allenati con la testa, oltre che con le gambe, ormai la conosciamo bene, è diventata una vecchia amica. Siamo nelle condizioni migliori per metterla in pratica: non dobbiamo spingere troppo – anzi, dobbiamo controllare la velocità – e possiamo concentrarci sull’efficienza. Eccola, la nostra corsa perfetta!»
La corsa sulle lunghe distanze è una disciplina dura. Richiede costanza, capacità di sopportare la fatica e superare soglie di sofferenza a cui la nostra vita sedentaria non ci prepara. Ma è l’attività più naturale che sia possibile praticare; un’attività nella quale milioni di anni di evoluzione della specie ci hanno reso imbattibili. E, soprattutto, la corsa ci rende felici. Non soltanto più magri e forti, più sani e soddisfatti: riesce a toccare qualcosa di misterioso, che ci avvicina alla nostra natura più profonda e ci fa sentire liberi.Se l’uomo è un perfect runner, la maratona è la distanza perfetta. Rappresenta infatti il giusto compromesso tra resistenza ed efficienza: mette alla prova la capacità fisica e mentale di ‘tenere duro’, ma consente di esprimere un gesto atletico efficace, limpido, ‘bello’.Può essere un’avventura splendida o fallimentare; può lasciare stanchi e felici, o frastornati, svuotati e delusi. Non tutto dipende dal risultato. Come insegnano i filosofi orientali, la strada è più importante del traguardo, ed è il cammino a dare un senso alla meta.
Ultor patriaeque domusque, «vendicatore e della patria e della famiglia»: così il poeta Silio Italico definisce Publio Cornelio Scipione, testimone della peggiore disfatta della storia militare romana, che raccolse l'eredità del padre ucciso in battaglia e dedicò la vita a rovesciare le sorti della «guerra annibalica», la seconda guerra punica, titanico scontro di potenze per il predominio sul Mediterraneo antico. Scipione riuscì a ottenere il comando militare in Spagna pur essendo ancora giovane e inesperto; diede prova di eccezionali qualità militari, concludendo in quattro anni una campagna difficile; riuscì poi a imporre la propria strategia, portando la guerra in Africa e costringendo il governo di Cartagine a richiamare in patria Annibale. La patria non gli dimostrò la riconoscenza che meritava. Cosa che rende ancora più interessante il suo personaggio: perché Scipione visse sul confine tra due mondi, anticipando con la sua ambizione e il suo carattere sia la crisi del vecchio sia molti aspetti peculiari del nuovo. Da un lato, infatti, resisteva ancora la res publica arcaica, dove ogni deviazione dal rigido costume degli antichi era considerata con sospetto; dall'altro si apriva l'orizzonte del dominio imperiale sul Mediterraneo, ingentilito dalla cultura ellenistica, raffinato e cosmopolita, ricolmo di ricchezze materiali e spirituali come il forziere di un tesoro. Da comandante militare fu capace di offrire alla patria la possibilità di conquistare quell'orizzonte; da politico troppo moderno per i suoi tempi venne sconfitto e costretto a ritirarsi dalla vita pubblica senza raccogliere i frutti della vittoria.
«Uomini, miei fratelli, temiamo Iddio e combattiamo per vendicare l’insulto arrecatogli! Proteggiamo la sovranità dello Stato dei Romani e opponiamoci ai suoi nemici... Il pericolo non sarà senza ricompensa: affrontiamolo valorosamente, e il Signore nostro Dio ci sarà al fianco e distruggerà il nemico!» Con queste parole l’imperatore bizantino Eraclio si rivolgeva ai suoi soldati nel 622, al momento di lanciare la grande offensiva contro i persiani. Nulla esprime meglio la volontà di resistenza dell’Impero, che per secoli fu costretto a difendersi da continue ondate di nemici bellicosi, che si abbattevano sui suoi confini attirati dal miraggio di Costantinopoli, la splendida ‘Regina delle città’ sul Bosforo, difesa da mura possenti e capace di resistere a tutti gli assalti. Gastone Breccia ripercorre i secoli più turbinosi e gloriosi della storia militare dell’Impero romano d’Oriente, dalla disfatta di Adrianopoli del 378, che costrinse l’imperatore Teodosio I a riformare l’intero sistema difensivo, fino alla morte di Basilio II (1025), il sovrano che sconfisse i bulgari, restituendo a Bisanzio uno spazio di sicurezza e dominio nei Balcani e in tutto il Mediterraneo orientale.
È dalla città di Erbil, capitale della Regione Autonoma del Kurdistan, che inizia il viaggio dell'autore, lungo la linea che divide le forze curde dai miliziani neri di Da'ish, lo Stato Islamico: un viaggio che lo ha portato fra i peshmerga del Krg, soldati per tradizione e abitudine; fra i nostri paracadutisti della "Folgore", professionisti che li addestrano a combattere utilizzando le tattiche più moderne ed efficaci; fra i guerriglieri del Pkk, in Iraq e in Siria, per i quali respingere gli integralisti del califfato è solo un nuovo capitolo della lunghissima lotta per la libertà. Un reportage teso e affascinante per aiutarci a capire questa guerra e il modo in cui viene combattuta dagli uomini e dalle donne di un popolo coraggioso, che sta conquistandosi la gratitudine del mondo pur non avendo ancora una vera patria.
Dal "Grande gioco" degli imperi ottocenteschi, che ha contrapposto Gran Bretagna e Russia, fino alla 2Guerra contro il terrorismo" iniziata dagli Stati Uniti col sostegno della coalizione internazionale nel 2001: due secoli di conflitti nell'inospitale quanto strategico cuore dell'Asia Centrale, nel corso dei quali sono emersi spesso i lati più oscuri della politica delle grandi potenze coinvolte nella "selvaggia terra degli afgani".