L'esperienza della pandemia ci ha rivelato un mondo sconosciuto, diverso da quello che credevamo possibile. In questo nuovo mondo ci siamo sentiti parte di una società planetaria, sempre più unita e interconnessa, ma al tempo stesso frastagliata, minacciata dal disastro ecologico, percorsa da diseguaglianze che continuano a inasprirsi. È da questo senso di smarrimento percettivo che muove Judith Butler, per riflettere sulla nostra condizione di interdipendenza e ripensare i concetti che guidano il nostro agire etico e politico. Se non possiamo più dubitare che la nostra esistenza sia legata all'ambiente che ci circonda, a venir meno è allora l'idea liberale dell'individuo chiuso in se stesso, fondata sull'interesse personale e sulla proprietà privata. È la vita umana a essere messa a nudo, una vita colta nel suo intreccio inestricabile con tutte le altre forme viventi e con il pianeta, nell'urgenza, ormai ineludibile, di lottare contro la distruzione ambientale e di ricreare insieme un mondo abitabile.
Che cosa vuol dire appartenere al genere femminile o maschile? È possibile assegnare un'identità sulla base del solo sesso biologico? Judith Butler è convinta che non sia possibile e in questo libro affronta i luoghi comuni che si nascondono dietro quella risalente assunzione. Come definire, allora, la propria identità? Decisivo è trovare un 'posto tutto per sé' fra maschile e femminile, ai margini delle rigide classificazioni prodotte dalla psicoanalisi, dalla filosofia, dalla biologia e dalla linguistica. Perché non esistono due generi, ma numerose possibilità che devono includere anche tutti i soggetti ritenuti anomali ed eccentrici dalle norme imposte e codificate. Una posizione, quella di Judith Butler, che mette in discussione anche parte del femminismo occidentale che ha riprodotto la stessa gerarchia dei sessi, idealizzando la donna in maniera speculare a quello che ha fatto la cultura maschilista e patriarcale. La sfida lanciata è chiara: ripensare l'identità di ogni persona come qualcosa in continuo mutamento, che non si lascia ridurre ad alcun modello stereotipato. Una sfida che può garantire l'accesso ai diritti e la qualità della pratica democratica.
El nuevo libro de Judith Butler muestra cómo la ética de la no violencia debe conectarse con una lucha política más amplia por la igualdad social. Además, argumenta que la no violencia a menudo se malinterpreta como una práctica pasiva que emana de una región tranquila del alma, o como una relación ética individualista con las formas existentes de poder. Pero, de hecho, la no violencia es una posición ética que se encuentra en medio del campo político. Una forma agresiva de no violencia acepta que la hostilidad es parte de nuestra constitución psíquica, pero valora la ambivalencia como una forma de controlar la conversión de la agresión en violencia. Un desafío contemporáneo a una política de no violencia señala que existe una diferencia de opinión sobre lo que se considera violencia y no violencia. La distinción entre ellos puede movilizarse al servicio de la ratificación del monopolio estatal sobre la violencia.
Considerar la no violencia como un problema ético dentro de una filosofía política requiere una crítica del individualismo, así como una comprensión de las dimensiones psicosociales de la violencia. Butler recurre a Foucault, Fanon, Freud y Benjamin para considerar cómo la interdicción contra la violencia no incluye vidas consideradas desagradables. Al considerar cómo los «fantasmas raciales» informan las justificaciones de la violencia estatal y administrativa, Butler rastrea cómo la violencia a menudo se atribuye a aquellos que están más expuestos a sus efectos letales. La lucha por la no violencia se encuentra en los movimientos por la transformación social que reformulan la aflicción de las vidas a la luz de la igualdad social y cuyas afirmaciones éticas se derivan de una visión de la interdependencia de la vida como base de la igualdad social y política.
Judith Butler definisce le dinamiche psicosociali che determinano il campo di forza della violenza mettendo in luce la mistificazione linguistica e la strumentalizzazione operate dal potere nei suoi confronti. Nel far questo, smonta le posizioni che ammettono, in alcuni casi e con determinate finalità, la violenza come strumento per combattere la violenza stessa e, allo stesso tempo, la concezione per cui la nonviolenza sarebbe una scelta morale individuale caratterizzata dalla passività. Centrale, in quest'analisi, è l'idea che esista una radicata distinzione biopolitica tra vite degne di lutto ? dunque meritevoli di essere preservate e difese ? e vite dispensabili - per questioni razziali, identitarie, collegate al gender o di altro tipo: in questo senso, la violenza è connessa all'esperienza della disuguaglianza e la nonviolenza non può che essere una pratica collettiva di contestazione delle disuguaglianze, del tutto sganciata da un approccio individualista. Recuperando ? analiticamente e criticamente ? Foucault, Fanon, Gandhi, Benjamin e, tra gli altri, soprattutto Freud e Klein, Butler delinea così un'idea di nonviolenza che, prendendo coscienza e sovvertendo attivamente le forme di aggressività che caratterizzano il sé e i suoi legami sociali, costituisca una tattica politica tutt'altro che passiva, una forza in grado di contrastare la violenza che pervade la società contemporanea senza riprodurne la distruttività, un vincolo etico e politico che sia tutt'uno con le lotte condotte dai movimenti che ogni giorno si battono per l'interdipendenza, l'uguaglianza e la giustizia sociale.
Il libro che ha segnato un punto di svolta del femminismo internazionale e che è divenuto un classico del pensiero di genere. Judith Butler argomenta perché il corpo sessuato non è un dato biologico ma una costruzione culturale.
Judith Butler assume le posizioni filosofiche dell’ebraismo per elaborare una critica del sionismo politico e delle sue pratiche di violenza di stato illegittima. Nella sua definizione di una nuova etica politica, si confronta con pensatori come Hannah Arendt, Emmanuel Lévinas, Primo Levi, Walter Benjamin. Butler contesta la caratteristica accusa di odio antisemita che spesso viene lanciata agli ebrei critici verso Israele e sostiene una soluzione che preveda un unico stato per i due popoli, ebrei e palestinesi. Secondo l’autrice, l’etica ebraica non solo implica una critica del sionismo ma dovrebbe realizzare gli ideali politici di convivenza in una forma radicale di democrazia.
Il libro che ha segnato un punto di svolta del femminismo internazionale e che è divenuto un classico del pensiero di genere. Judith Butler argomenta perché il corpo sessuato non è un dato biologico ma una costruzione culturale.
“Questione di genere è un classico, nel senso migliore del termine: rileggere questo libro, o leggerlo per la prima volta, dà una nuova forma alle categorie attraverso cui facciamo esperienza delle nostre vite e dei nostri corpi. Il fatto che questo ci disturbi è un piacere intellettuale e una necessità politica.” Donna Haraway
Il libro
Offese razziste, insulti a sfondo sessuale, ingiurie che feriscono minoranze: si tratta di parole che provocano e che sfuggono facilmente al controllo. Che reazioni richiedono parole come queste? Basta fare appello alla censura per poterle contenere?
Secondo Judith Butler, la più nota filosofa statunitense contemporanea, non serve cadere nella trappola di una limitazione della libertà di espressione. Conta invece rivendicare una diversa possibilità di intervento politico. Si può sempre far sì che, ripetendo quelle parole, esse circolino in contesti diversi e acquisiscano nuovi significati, arrivando ad agire contro la stessa violenza che le ha prodotte.
L'autrice
Judith Butler insegna al dipartimento di Retorica e letteratura comparata dell’Università di Berkeley. I suoi studi spaziano dalla teoria femminista alla filosofia politica all’etica. Tra i testi più recenti Critica della violenza etica (Feltrinelli 2006) e Soggetti di desiderio (Laterza 2009).
Quali sono le circostanze filosofiche che rendono possibile la questione del desiderio? Quali sono le condizioni che ci spingono a interrogarci sul significato e la struttura del desiderio umano al fine di comprendere la natura della filosofia, i suoi limiti e le sue possibilità? Quando la questione del desiderio umano rende problematico il pensiero filosofico? Il desiderio è stato considerato filosoficamente pericoloso a causa della sua propensione a oscurare una visione chiara e a promuovere la miopia filosofica, incoraggiandoci a vedere solo ciò che noi vogliamo e non ciò che è. Il desiderio è troppo limitato, concentrato, interessato e coinvolto. In quanto immediato è arbitrario, immotivato, animale. Desiderare il mondo e conoscerne il significato sono sembrate imprese in contrasto tra loro. Ma quando la filosofia interroga le proprie possibilità in quanto conoscenza impegnata o pratica, tende a informarsi sul potenziale filosofico del desiderio.
Il libro nasce da un ciclo di lezioni tenute da Judith Butler all'Istituto per la ricerca sociale di Francoforte nel 2002 e affronta, con chiarezza e profondità, il tema della relazione tra l'etica e la critica del soggetto. Judith Butler insegna alla University of California, a Berkeley, presso il Dipartimento di Letteratura comparata, ed è Hannah Arendt Professor of Philosophy presso la European Graduate School a Saas-Fee, in Svizzera, dove tiene i corsi estivi. È autrice di numerosi volumi di filosofia e teoria femminista, tradotti in molte lingue.