
Il 20 ottobre del 2011 Muammar al Gheddafi veniva catturato e ucciso. Dalla fine del regime instaurato dal Colonnello e dalla sua 'Rivoluzione Verde' per la Libia è cominciata un'agonia senza conclusione. Quante bugie sono state dette per giustificare l'intervento occidentale in Libia? Perché l'Italia ha partecipato all'attacco appena due anni dopo aver firmato il Trattato di amicizia con Tripoli? Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Italia, Qatar, Emirati Arabi Uniti e poi Egitto, Russia, Turchia, con la partecipazione straordinaria dello Stato Islamico: tutti i protagonisti della guerra e del dopoguerra hanno sempre proclamato di avere motivazioni solenni, a partire dall'interesse della popolazione locale. Ma esaminandoli uno per uno e guardando alle scelte operative e al risultato odierno, è evidente che al centro dell'attenzione c'erano sempre e soltanto i giacimenti. In tutto questo, il ruolo dell'Italia non è secondario. Grazie ai legami storici e alla posizione geografica, il nostro Paese controlla i principali luoghi di estrazione e le raffinerie in Tripolitania e in Cirenaica. Ma quali sono i prezzi che paghiamo per tutelare i nostri interessi? Giampaolo Cadalanu utilizza testimonianze esclusive, racconti di esperienza diretta, analisi di specialisti e confronto di dati per mostrare che a smuovere l'Occidente, molto più della tutela dei libici, sono stati e sono ancora oggi gli interessi concreti: le risorse del sottosuolo e gli equilibri di potere.
La missione era nata da subito all'insegna dell'ipocrisia: «Siamo intervenuti in difesa di un alleato NATO dopo l'11 settembre», mentirono i politici. L'attacco all'Afghanistan fu invece parte dell'operazione Enduring Freedom, a iniziativa americana, non autorizzata dall'ONU. La NATO subentrò solo più tardi. Spedendo i primi soldati fuori da Kabul, in zona di combattimenti, nel 2003, il ministro della Difesa dell'epoca dichiarò: «È una missione a rischio, ma le sue finalità sono comunque di peace-keeping». In realtà già da fine 2001 i piloti del gruppo Lupi Grigi decollati dalla portaerei Garibaldi erano impegnati nelle missioni di bombardamento sull'Afghanistan insieme agli aerei americani: ne compirono 278. Non c'era pace da mantenere laggiù, lo dimostra anche l'esistenza di una unità come la Task Force 45, formata dall'élite delle forze speciali italiane, quotidianamente impegnata in azioni di combattimento, ma la cui esistenza all'inizio non era nemmeno ammessa dal governo. Numerosi 'operatori' della fantomatica TF-45 raccontano nei particolari le operazioni di guerra, portate a termine spesso senza poter contare sul supporto degli aerei italiani. In vent'anni di intervento la guerra ha portato con sé corruzione, ruberie, appetiti economici, tradimenti. E il bilancio è uno solo: la situazione in Afghanistan è peggiorata.