Filosofo, scrittore e giornalista francese, Emmanuel Mounier (1905-1950) è una delle figure più originali della filosofia cristiana del Novecento. Le sue note di viaggio, le sue "discese" in Italia, le stesse riflessioni intime dei Diari rappresentano ancora un prezioso patrimonio di idee al quale è molto utile attingere per capire il nostro tempo ed il suo.
Queste pagine, oltre a favorire la conoscenza di un significativo rapporto tra Mounier e la cultura italiana, possono essere considerate parti di un più vasto ed articolato disegno prematuramente interrotto. Le sue ricerche filosofiche sulla persona, centro autentico delle sue riflessioni, hanno influito in modo rilevante su numerose posizioni del pensiero contemporaneo e della cultura democratica del dopoguerra. In chiara opposizione alle tendenze nichiliste e totalitarie del Novecento, Mounier ci propone un'idea alta e originale della soggettività umana. Come insegna la storia, vi sono eredità che restano significative anche al di là dell'inesorabile scorrere del tempo. Tornare a leggere Mounier non è, dunque, una fatica vana ma segna la riscoperta di una ricchezza di pensiero attualissima e preziosa.
Grazie soprattutto a "Umanesimo integrale" (1936) e al progetto di "nuova cristianità" ivi proposto (e del quale non sono sempre state fornite in Italia felici interpretazioni), Jacques Maritain è prepotentemente entrato, a partire dal 1946, nel percorso della cultura italiana, sia pure attraverso interpretazioni non sempre del tutto condivisibili. La presente ricerca propone alcune nuove linee di lettura che pongono in evidenza la ricchezza e la profondità di un pensiero ancora attuale (al di là del suo "consumo politico" del passato). I vari inediti che, con specifico riferimento al contesto italiano, corredano il volume, avvalorano l'importanza della sua lezione e mostrano un Maritain, quello degli anni della sua Ambasceria romana (1946-49), assai attento alle cose italiane ed osservatore alquanto preoccupato delle "commistioni" fra politica e religione tipiche del contesto italiano di quegli anni.
Il lavoro dell'uomo è da sempre un fondamentale punto di riferimento per la storia dell'Occidente. Ma a lungo l'attenzione è stata accordata alle finalità e alle modalità del lavoro (e, in epoca moderna, soprattutto alla sua remunerazione) piuttosto che alla ricerca del suo senso profondo. Il dominante ethos borghese che ha caratterizzato l'età della rivoluzione industriale si è soffermato assai più sulla sua utilità piuttosto che sul suo senso. Merito di Marx - indipendentemente dalle sue derive ateistiche - è stato quello di riproporre al centro dell'agire umano la ricerca del senso del lavoro, stimolando la coscienza cristiana - a partire dall'insegnamento di Leone XIII, fino alla Gaudium et spes - a riscoprire, anche al di là della sua "utilità", il significato profondo del lavoro come collaborazione all'opera creatrice di Dio.
Un profilo accurato della figura e dell'opera di Guido Gonella (1905-1982) - giornalista e politico italiano, Segretario nazionale della Democrazia Cristiana, Ministro della Repubblica, primo presidente dell'Ordine dei Giornalisti - che parte dalle radici del suo antifascismo per arrivare a delineare il suo importante contributo all'elaborazione politica dei cattolici, rilevante anche per la sua vocazione e formazione internazionalistica. Un' agile biografia ben strutturata, scritta da uno dei massimi esperti del pensiero politico cattolico del Novecento.
La figura e l'opera di Adriano Olivetti (1901-1960) costituiscono un momento essenziale della riflessione da tempo in atto in Occidente sul destino della società industriale e sul necessario ritorno ad un rinnovato "umanesimo del lavoro". L'agire pratico e la riflessione teorica di Olivetti su un possibile nuovo "umanesimo della tecnica" possono rappresentare ancora oggi un importante punto di riferimento in vista della costruzione di una "economia dal volto umano".
Le pagine qui raccolte contribuiscono alla ricostruzione del pensiero di un prete scomodo a lungo incompreso. Nelle sue riflessioni sul sacramento della confessione, sulla povertà, la guerra, la famiglia, le opere di Antonio Rosmini, il laicato, la giustizia, emerge la passione riformatrice di don Primo Mazzolari (1890-1959), progressivamente diventato, molti anni dopo la sua morte, un punto di riferimento per il Concilio Vaticano II e per il rinnovamento della Chiesa del XXI secolo.
In Italia, ormai da qualche anno, la Chiesa si trova a fare i conti con il progressivo diminuire di sacerdoti in servizio pastorale; si tratta di un problema destinato ad acuirsi nel prossimo decennio. Giorgio Campanini, docente universitario e laico credente, propone un pamphlet che da un lato analizza la situazione attuale e dall'altro indaga nuove vie per superare lo stallo in corso. La Chiesa, nella sua lunga storia, non è stata sempre "presbiterocentrica", ma per la sua azione pastorale ha potuto contare sull'apporto di diversi ministeri, operati sia da laici che da religiosi. Si tratta dunque di far rivivere una "nuova e multiforme ministerialità", soprattutto laicale, che permetta alla Chiesa non solo di proseguire il suo servizio pastorale ai credenti, ma anche di riprendere con vigore l'azione evangelizzatrice. Quindi non una Chiesa giunta al suo capolinea, ma una Chiesa che, innovandosi, riprenda il largo.
Un "maestro nell'arte di pensare, di vivere e di pregare". All'Angelus del 29 aprile 1975 Paolo VI rievocava con commosse parole la figura di Jacques Maritain. La loro amicizia, iniziata nel lontano 1925 e intensificata tra il 1945 e il 1948, quando il filosofo fu nominato Ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, era essenzialmente "intellettuale". L'ipotesi storiografica che sta alla base del libro è che il ruolo svolto indirettamente da Maritain e direttamente da Montini nella cultura italiana degli anni centrali del Novecento sia stato lo "sdoganamento" della modernità, con tutte le sue implicazioni, dallo schietto riconoscimento della libertà di coscienza alla fondazione della legittima laicità dello Stato. La "svolta" impressa alla storia della Chiesa dal concilio Vaticano II non sarebbe stata possibile, o si sarebbe diversamente orientata, senza il contributo di pensiero di questi due eminenti intellettuali, che nel confronto ideale sul rapporto tra cristianesimo e civiltà hanno scritto un importante capitolo della storia delle idee del secolo scorso.
Filosofo del diritto fra i più eminenti del Novecento, Giuseppe Capograssi (1889-1956) è stato un acuto indagatore tanto della crisi del diritto quanto del dramma dell'umanesimo nella stagione dei totalitarismi. Il suo pensiero è ancora attuale in una stagione in cui nuovi demoni si affacciano sugli scenari della storia del mondo.
Il concetto di bene comune, categoria-chiave del pensiero politico e dell'insegnamento sociale della Chiesa, stenta oggi a essere assunto come punto di riferimento nelle società occidentali. Dopo la grande stagione solidaristica del secondo dopoguerra, l'accentuato individualismo che caratterizza la post-modernità tende a enfatizzare le rivendicazioni autoreferenziali e a ridimensionare l'intervento pubblico, interpretato come ostacolo nei riguardi del libero agire dei singoli. Confinato tra i concetti gloriosi di stagioni passate, anche a causa della frattura intervenuta tra etica e politica, il bene comune è tuttavia un'istanza destinata a riproporsi in uno scenario deturpato dall'esasperazione dei personalismi, dalle chiusure identitarie e corporativistiche e da una rete di privilegi riservati a pochi. Anche l'emergere di nuove problematiche, a partire da quelle ambientali, che non possono essere affrontate a livello locale ma esigono una visione globale, richiede di ripensare il concetto in una prospettiva universalistica capace di ricollocare l'uomo al centro della riflessione. Rivisitata in una nuova prospettiva, l'antica categoria di bene comune si presenta, in questo modo, come un fondamentale banco di prova dei diritti umani.