Cornelius Castoriadis e Paul Ricoeur si incontrano davanti alle telecamere della trasmissione «Le bon plaisir» di France Culture il 9 marzo 1985. Tutto sembra opporli. Del primo si potrebbe dire che è diretto, incisivo, che non concede nulla agli avversari; l'arte della digressione e della ricomposizione dei contrari, un'argomentazione più aporetica che affermativa caratterizzerebbero invece il secondo. Ma, se una descrizione del genere può valere per i loro scritti, è molto meno pertinente, soprattutto nel caso di Ricoeur, quando la filosofia è espressa in un dialogo dal vivo, il quale ruota attorno alla domanda; «è possibile creare storicamente qualcosa di nuovo?». Da qui l'importanza data dai due pensatori alla nozione di funzione simbolica o immaginaria come facoltà collettiva di produrre trasformazioni sociali. Così immaginario e storia vengono a intrecciarsi.
Non capita spesso di leggere a distanza di anni le lungimiranti previsioni di chi sa leggere il suo tempo e così anticipare l'esito dei processi in atto. Ed è appunto quello che fanno due pensatori disincantati come Castoriadis e Lasch in questa conversazione del 1986 sulla modernità e i suoi costi. Una modernità già ostaggio di quella logica capitalista che ha invaso l'intero campo dell'esistenza umana, tanto che a essere messe in discussione sono soprattutto le ricadute morali, psicologiche e antropologiche di quel capitalismo di tutti i giorni che si è tradotto in una nuova cultura dell'egoismo. In un mondo abitato da estranei chiusi nella loro intimità, ha avuto libero gioco il processo di atomizzazione sociale che ha sancito la fine tanto dei legami comunitari quanto di uno spazio pubblico in cui esercitare una democrazia non corporativa. Nulla di cui stupirsi, ci avvertono con decenni di anticipo gli autori: sono gli esiti necessari e prevedibili di un mondo in cui l'anima umana è plasmata dal capitalismo. Postfazione di Jean-Claude Michéa.