In un giorno imprecisato del 1522 un certo Garetto Scopacasa, con la moglie Isabella, conduce la sua unica figlia alla porta della Certosa di S. Stefano del Bosco per farla liberare, a contatto con le reliquie dei santi conservate nel monastero, dalla presenza di uno "spirito immondo" che l'aveva invasa. Il prodigio, tuttavia, non si verifica e il vicario certosino dell'epoca suggerisce di accompagnare la ragazza alla grotta di San Bruno, lontana un miglio dalla Certosa. Qui, mirable dictu, il miracolo avviene: il piccolo gruppo, pregando, compie tre giri intorno alla cappella, l'indemoniata inghiotte un po' di polvere della grotta e lo spirito immondo, dopo aver attraversato il suo corpo e provocato una piaga sanguinante a un dito, viene espulso. Cominciava, in questo modo, una vicenda plurisecolare che avrebbe condotto al riconoscimento di San Bruno come taumaturgo della possessione diabolica, facendo accorrere, sulla scena del rito, agiografi, folkloristi ed etnologi. In un dialogo costante tra antropologia e storia, utilizzando una vasta documentazione e facendo anche apparire una remota costellazione di "figure inquiete", il libro ricostruisce una pagina poco nota e perturbante dell'Europa moderna e contemporanea.
Tonino Ceravolo presenta "Gli spirdati". In un giorno imprecisato del 1522 un certo Garetto Scopacasa, con la moglie Isabella, conduce la sua unica figlia alla porta della Certosa di S. Stefano del Bosco per farla liberare, a contatto con le reliquie dei santi conservate nel monastero, dalla presenza di uno "spirito immondo" che l'aveva invasa. Il prodigio, tuttavia, non si verifica e il vicario certosino dell'epoca suggerisce di accompagnare la ragazza alla grotta di San Bruno, lontana un miglio dalla Certosa. Qui, mirable dictu, il miracolo avviene: il piccolo gruppo, pregando, compie tre giri intorno alla cappella, l'indemoniata inghiotte un po' di polvere della grotta e lo spirito immondo, dopo aver attraversato il suo corpo e provocato una piaga sanguinante a un dito, viene espulso. Cominciava, in questo modo, una vicenda plurisecolare che avrebbe condotto al riconoscimento di San Bruno come taumaturgo della possessione diabolica, facendo accorrere, sulla scena del rito, agiografi, folkloristi ed etnologi. In un dialogo costante tra antropologia e storia, utilizzando una vasta documentazione e facendo anche apparire una remota costellazione di "figure inquiete", Tonino Ceravolo ricostruisce una pagina poco nota e perturbante dell'Europa moderna e contemporanea.
A partire dalla "scoperta" della Terrasanta, con i viaggi di pellegrini e crociati alla volta dell'Oriente, il cristianesimo comincia a fare i conti con le numerose reliquie collegate a Gesù: reliquie della lancia, della spugna, del flagello, della veste, della colonna, dei chiodi e della croce. Strumenti e oggetti degli ultimi giorni della vita terrena del Cristo, che vengono divisi e distribuiti, per arricchire le collezioni di papi, re e imperatori, chiese e monasteri. Una lunga tradizione, variamente elaborata nel corso di diversi secoli, ha, in particolare, indicato nell'ombelico di Gesù e nel suo prepuzio, conservato da Maria dopo la rescissione dovuta alla circoncisione, le uniche reliquie dell'infanzia rimaste sulla terra. Deriso, dissacrato, reso oggetto di scherno da riformatori e illuministi, il prepuzio di Gesù ha conosciuto una profonda devozione. Analizzarne le vicende significa fare appello a un discorso che coinvolge l'antropologia e la storia, la teologia e la cristologia.
Da mille anni, collocata al centro della foresta del casentino, in provincia di Arezzo, la comunità monastica di Camaldoli è luogo di incontro tra uomini assetati di Dio e un Dio che in Cristo si è messo sui passi dell'umana avventura. Luogo di preghiera. Luogo di ricerca. Luogo di dialogo. Ed è un ininterrotto dialogo quello che alimenta la vita dei camaldolesi: il dialogo tra la vita eremitica di monaci che vivono in celle separate e si ritrovano insieme solo per la preghiera e quella cenobitica di monaci che vivono nel medesimo spazio conventuale.
Tra le due esperienze che costituiscono la vita dei camaldolesi - l'eremo e il monastero - vi è lo spazio di una natura incontaminata e splendida in ogni stagione dell'anno, che a sufficienza ricorda che Dio si lascia incontrare soprattutto nel silenzio.
Ma Camaldoli è soprattutto un luogo che, nel passare dei tempi e dei costumi, continua a celebrare il sacramento dell'ospitalità, di quell'ospitalità autentica che sa toccare e aprire il cuore anche dell'ultimo arrivato. Qui sono riuniti i grandi del Rinascimento fiorentino, qui dai primi del Novecento si incontrano gli Universitari della Fuci, qui provano da trent'anni a meglio conoscersi Ebrei e Cristiani.
Qui - da mille anni - si danno appuntamento anime pensose del mistero di Dio e del mistero dell'uomo. Da oggi, lo spirito di Camaldoli rivive nelle pagine di questo straordinario volume, il primo interamente dedicato a Camaldoli che sia mai stato pubblicato. Il libro di grande formato, accuratamente rilegato, di circa 300 pagine, tutte a colori, è arricchito dalle immagini del celebre fotografo spagnolo Fernando Moleres che aiuteranno il lettore a percorrere un itinerario di intensa spiritualità ma anche di grande bellezza e forza espressiva. I testi, alcuni dei quali scritti dagli stessi monaci camaldolesi, ricostruiscono la storia di Camaldoli e del suo insediamento monastico. Un'intera sezione verrà riservata ai tesori d'arte e librari custoditi all'interno del monastero, molti dei quali finora assolutamente inediti. Ampio spazio è dedicato infine alla spiritualità camaldolese e alla sua specificità.
Il libro prende l'avvio dall'ipotesi nebulare di Kant-Laplace sull'origine del mondo a partire da una nuvola e si conclude con tre ipotesi letterarie sulla fine del mondo collegata a una nuvola. Nel volume si affiancano due percorsi: un itinerario cronologico, mediante il quale si ricostruisce la "storia culturale" delle nuvole da Talete a Don DeLillo; un "tracciato" tematico in cui si affrontano una serie di questioni associate alle nuvole e di rilevanza solo marginalmente meteorologica (la forma delle nuvole e le possibili tassonomie che questa implica, le nuvole e i terremoti, le nuvole e i demoni, le nuvole "terrestri"). Viste "da vicino", le nuvole mostrano la loro ambivalenza costitutiva: da un lato rinviano a un modo d'essere distratto e stralunato, lontano dalla realtà ordinaria, ma dall'altro pongono l'uomo proprio di fronte a quella realtà dalla quale sembrerebbero distoglierlo. Come il dio della filosofia eraclitea le nuvole sono duplici, non temono la contraddizione, sopportano gli opposti. Alla fine, siano esse le minacciose nubi dell'apocalisse o l'oggetto di sublimi immaginazioni poetiche, le nuvole è di noi che "parlano".
La vita quotidiana dei monaci di clausura, pur diversa da un Ordine religioso all'altro per la specificità delle "consuetudini" che ne regolano l'osservanza, presenta dei tratti comuni che costituiscono il chiaro indizio di un'analoga vocazione. Il tempo dei monasteri, ad esempio, è da sempre, per tutti i monaci, un tempo lento, estraneo alla fretta dell'affaccendarsi quotidiano degli uomini che vivono nel mondo, scandito da ritmi che si susseguono con poche variazioni sin dai secoli del Medioevo. Parallelamente, gli spazi, al di là delle differenze di organizzazione architettonica esistenti tra un Ordine e l'altro, si pongono come delle autentiche città monastiche, consacrate al vigile esercizio della preghiera. Della vita dei monaci sono parte integrante le "regole" a cui essi si sottopongono, senza per questo avvertirle come una "gabbia d'acciaio" che li costringerebbe a una serie ininterrotta di privazioni e rinunce. Il rapporto parco e misurato con il cibo, le lunghe veglie, il mancato possesso di beni materiali, gli orari precisi da rispettare, tutto ciò che - con una sola parola - viene definito "ascesi", deve essere collocato all'interno di una dimensione alla quale è essenziale la gioia, il contatto più pieno con l'Altro che conferisce senso all'intera esistenza.