L’opera in questione, è una raccolta di saggi, scritti dal filosofo americano nel corso degli ultimi anni. Una riflessione sul rapporto tra mezzi di comunicazione, potere e controllo sociale. Un’analisi critica sulle strategie di addomesticamento e massificazione dell’individuo. Partendo infatti, da quelle che definisce Le 10 regole per il controllo sociale, Chomsky analizza storicamente e socialmente, le strategie che il potere, mette in atto per manipolare la società.
Il saggio analizza inoltre, il dissenso sociale e le reazioni, che i movimenti popolari oppongono a queste strategie.
“Questi movimenti popolari non hanno precedenti quanto a dimensione, ampiezza della partecipazione e solidarietà internazionale... Il futuro in larga parte è nelle loro mani”.
Secondo il filosofo americano, i media fanno parte di un sistema di propaganda ben congegnato. Il modo più abile per mantenere la gente passiva e obbediente è limitare rigorosamente lo spettro delle opinioni accettabili, ma permettere dibattiti molto vivaci all’interno di questo spettro incoraggiando perfino le posizioni più critiche e dissenzienti.
I bambini hanno un vero talento per le domande impossibili: perché il mare è salato? Quant'è lontano lo spazio? Perché non riesco a farmi il solletico da solo? Si possono mangiare i vermi? E noi, come facciamo a rispondere a questo diluvio di quesiti disarmanti, apparentemente semplici, eppure complicatissimi? Alcune tra le personalità di spicco nei campi più disparati si sono cimentate con l'impresa e hanno risposto alle domande (vere) dei più piccoli, da Noam Chomsky a Philip Pullman a Gordon Ramsay, da Stefano Bartezzaghi ad Antonio Pennacchi a Cesare Cremonini, per citarne solo alcuni. I grandi cercano di trovare le soluzioni più creative ai dubbi dei piccoli, in un libro sorprendente, che piace ai bambini e riesce a stupire davvero gli adulti. Parte dei proventi di questo libro vanno a sostegno di Actionaid, un'organizzazione internazionale indipendente impegnata nella lotta alle cause della fame nel mondo, della povertà e dell'esclusione sociale.
In un paese democratico l'indipendenza e la libertà di espressione dovrebbero essere le qualità portanti dei giornali e di tutti i media. La realtà è però un'altra: sono le forza politiche ed economiche a decidere quali notizie dovranno raggiungere il pubblico, e in che modo. Noam Chomsky e Edward S. Herman svelano come, grazie alla manipolazione delle notizie, l'opinione pubblica viene spinta a sostenere determinati interessi e punti di vista. "La fabbrica del consenso" offre un'analisi precisa su quanto siano veramente strumentalizzati i media e fornisce la chiave per interpretarne i messaggi.
In "11 settembre", pubblicato poco dopo la tragedia, Noam Chomsky ha analizzato gli attacchi al World Trade Center facendo piazza pulita del groviglio di opportunismo politico, patriottismo a buon mercato e conformismo che ha soffocato il dibattito negli Stati Uniti. Chomsky ha proposto una visione complessa, nella quale l'11 settembre si accompagna all'evoluzione della politica estera statunitense. Una politica spesso aggressiva: dall'America Latina al Medio Oriente, dal Pakistan all'Afghanistan. Una politica che ha risposto alla violenza con la violenza, incurante delle conseguenze. Oggi, come dieci anni fa, "11 settembre" ricorda a tutti noi che l'informazione e la trasparenza sono gli strumenti più validi per prevenire conflitti futuri. Aggiornato dopo l'assassinio di Osama Bin Laden.
Per giustificare la propria politica estera, gli Stati Uniti hanno ripetutamente rivendicato un presunto diritto di agire contro gli "stati falliti" del globo, senza rendersi conto di condividerne drammaticamente alcune caratteristiche. Gli stati falliti sono infatti i paesi incapaci o poco propensi a "proteggere i propri cittadini dalla violenza e dalla distruzione" e che si pongono "al di là del diritto nazionale e internazionale". Anche se mettono in pratica alcune funzioni della democrazia, soffrono di un "deficit democratico" che priva le istituzioni del loro potere sostanziale e che mette in serio pericolo i propri cittadini e il resto del mondo: proprio come l'America.
Due fra i più attrezzati e acuti critici della politica israeliana in Palestina, lo storico israeliano Ilan Pappé e il grande linguista statunitense Noam Chomsky, uniscono gli sforzi con l’obiettivo di destare un numero sempre più ampio di coscienze ma anche di offrire spunti di riflessione e nuove conoscenze al lettore più esperto. Non solo è ricostruita criticamente la storia del conflitto, il cui episodio chiave – la Nakba del 1948 – viene reinterpretato da Pappé come un vero e proprio caso di pulizia etnica, ma si leggono con strumenti e argomenti irreperibili sui nostri media la natura e le conseguenze degli attacchi a Gaza del 2008 e 2009 e dell’assalto alla «Flottiglia della Libertà» del 2010; si discute il ruolo che hanno sempre svolto gli Stati Uniti, anche oggi sotto l’amministrazione di Obama, nell’avallare l’illegale politica israeliana di colonizzazione dei territori occupati; si prospettano i vari scenari di pace, a partire dalla proposta di un unico Stato binazionale avanzata fra gli altri da Pappé e, più prudentemente, dallo stesso Chomsky.
Il conflitto arabo-israeliano è una miccia accesa nel cuore del Mediterraneo e coinvolge i destini del mondo. Per questo, Ultima fermata Gaza è un libro indispensabile per chiunque voglia esserne informato e desideri una sua pacifica ed efficace soluzione.
Dai lavori dei tardi anni sessanta all’ultimo, decisivo contributo sulla biolinguistica, qui sono presenti tutti i capisaldi del Chomsky teorico. «Il contributo maggiore allo studio del linguaggio risiederà nella conoscenza che esso può fornire quanto al carattere dei processi mentali e alle strutture che essi formano e manipolano»: la sua affermazione, datata 1967, si è rivelata profetica. Partendo dal presupposto che compito di una teoria generale della struttura linguistica sia esplicitare le regole grammaticali che consentono di generare infinite frasi, Chomsky ha indagato i princìpi di una «grammatica universale» anche alla luce di una prospettiva biolinguistica che si misura con le nuove acquisizioni del cognitivismo e delle neuroscienze, e affronta inediti, radicali interrogativi.
Basato su una conferenza tenuta al Poetry Center di New York, "Il governo del futuro" è un vero e proprio manifesto politico su come la società dovrebbe strutturarsi al fine di garantire il controllo democratico. Sono quattro, scrive Chomsky, le "posizioni teoriche" che possono caratterizzare una forma di governo nella società industriale: liberalismo classico, socialismo di stato, capitalismo di stato e socialismo libertario. L'autore le prende in esame, soppesando pregi e difetti di ognuna, confrontandole e contrapponendole, fino a individuare nel socialismo libertario la naturale prosecuzione del liberalismo classico. Ed è proprio in quest'ambito, in un clima di autentica libertà democratica, che si fa largo la possibilità di esaltare le facoltà creative e intellettuali dell'uomo. Esortando a ripensare l'equilibrio dei poteri sociali, politici e di governo, Noam Chomsky mette in campo questioni di estrema importanza e attualità, confermando la prospettiva umanista della sua riflessione.
Prefazione.
Ero adolescente quando venni a sapere che Chomsky era un anarchico: la cosa ebbe un grande effetto su di me. Eravamo verso il 1980 e, mentre la parola «anarchia» veniva gridata dal palco del concerto punk cui assistevo, mi sentivo solo nella mia convinzione che, nella dottrina da me adottata, c’era qualcosa di profondo e molto serio, qualcosa che trascendeva le facili esortazioni ad «abbattere lo stato», senza alcun suggerimento su come fare o con cosa sostituirlo. Avevo letto i classici (Proudhon, Bakunin, Kropotkin), ma era difficile trovarli, e poi erano morti. Chomsky non era soltanto vivo, ma anche un intellettuale assai letto e rispettato, che aveva scritto il suo primo saggio filoanarchico all’età di dieci anni, da ragazzo aveva frequentato le librerie e le rivendite anarchiche sulla Quarta Avenue, a Manhattan, non molto lontano da dove si teneva il concerto punk, e da adulto aveva mantenuto le sue convinzioni antiautoritarie. Nonostante la contraddizione che i miei compagni di quella sera avrebbero potuto rilevare nel mio ricorrere all’autorità di un personaggio pubblico, la cosa mi confortava, mi
faceva sentire meno solo.
In parte, questo libro viene pubblicato affinché possa ispirare quello stesso senso di scoperta e conforto. Ovviamente, è molto più difficile oggi nascondersi, se non altro all’interno dello stesso movimento anarchico. L’anarchia è più visibile e diffusa, il senso comunitario e di appartenenza molto più facile da trovare. Conosciamo meglio la versione chomskyana del socialismo libertario. Ma forse questa familiarità è pericolosa: crediamo di sapere cosa sia l’anarchia e chi sia Chomsky; così facendo, però, perdiamo un mucchio di sfumature e complessità. I saggi e le interviste contenuti nel presente volume, che risalgono al periodo tra 1969 e 2004, contengono, lo spero, alcune sorprese e stimoleranno domande anche agli anarchici più sicuri di sé.
Pubblichiamo inoltre quest’opera per i tanti che non sanno cos’è l’anarchia o che ne hanno una conoscenza perlopiù limitata ai titoli dei giornali che vogliono fare sensazione. A queste persone, presentiamo Chomsky come figura di collegamento con la nuova serie di idee sui mezzi per realizzare un cambiamento sociale, con una tradizione di concezioni e pratiche rivoluzionarie che, da 150 anni, cercano la giustizia socioeconomica senza la mediazione di capi, politici o burocrati. Al di fuori del movimento anarchico, molti sono completamente all’oscuro del fatto che l’opera di Chomsky affonda
le radici nel socialismo libertario, e che esse non riguardano solo la sua critica sociale, ma anche la sua teoria linguistica. Per loro, quindi, le sorprese di questo libro saranno perfino maggiori. In fondo, cosa potrebbe avere in comune quest’uomo tanto intelligente e ragionevole con gli individui che i telegiornali ci descrivono come l’antitesi della Ragione?
Parecchie cose, come dimostrano chiaramente i seguenti capitoli. La notissima critica chomskyana ai mezzi di comunicazione, alla politica estera americana, allo sfruttamento e all’oppressione di ogni genere, non nasce dal nulla. Si fonda infatti sulla sua idea basilare di quel che significa essere uomini: chi siamo, ciò che possiamo diventare, in che modo possiamo organizzarci la vita e come il nostro potenziale viene deformato e inibito dai rapporti gerarchici.
La critica senza una teoria sottesa si riduce alla semplice lamentela, cioè al modo in cui politici e mezzibusti della Fox News dipingono ogni protesta sociale. Per capire Chomsky, dobbiamo comprendere la sua filosofia, il che equivale a dire che occorre capire come concepisce l’anarchia.
Se questa raccolta servirà al suo scopo, sarete a buon punto. Nell’Introduzione, Barry Pateman sostiene che non esiste un’unica definizione movimento anarchico. Certo, alcuni anarchici appoggerebbero
qualche aspetto della versione chomskyana, per esempio il suo sottolineare l’importanza delle vittorie del riformismo, benché lui stesso ne scorga i limiti. Tuttavia, chiunque legga questo libro, sia che non sappia nulla sia che creda di sapere tutto sull’anarchia, imparerà qualcosa di prezioso. E poi spero che sarà incentivato a saperne di più, magari per contribuire a forgiare il mondo immaginato da Chomsky, quello in cui ognuno parteciperà direttamente alle decisioni che influiscono sulla sua vita e ove l’autorità illegittima verrà relegata nel posto che le spetta: una triste nota a piè di pagina sui tempi precedenti a quelli in cui sapremo metterci d’accordo per sistemare le cose nella giusta maniera.