Il volume raccoglie "Le tusculane" e "De senectute - De amicitia". "Le tusculane" sono cinque trattati filosofici, scritti sotto forma di dialoghi, con i quali il celebre retore romano affronta i grandi problemi della vita. De senectute - De amicitia" sono due fondamentali trattati filosofici composti da Cicerone un anno prima della morte.
Il volume sulle "opere politiche di Cicerone contiene il trattato "Dei doveri", ultima delle grandi opere di politica e di morale di Cicerone, un appassionato richiamo ad arginare la decadenza dei costumi e a coltivare quegli ideali di virtù e onestà che avevano fatto la grandezza di Roma. Il volume ospita inoltre il trattato "Dello stato", solo nel XIX secolo parzialmente ritrovato, sintesi della riflessione filosofica e dell'esperienza politica del grande oratore. Cicerone ricerca la possibilità di attuare il migliore Stato reale e la vede in un'opportuna fusione delle tre forme di governo, attuata nell'ordinamento romano dei tempi antichi. In appendice al volume, "Le Catilinarie": attraverso una fitta trama di situazioni, personaggi, caratteri, problemi sociologici, intrecci politici d'interesse, simpatie e antipatie viscerali, motivi propagandistici ricorrenti e osservazioni finemente ironiche, le orazioni attorno a una vicenda nota come la 'congiura di Catilina' costituiscono uno dei testi più densi e più celebri dell'oratoria politica romana.
Quella attuale è senza dubbio la società della comunicazione, ma gli odierni corsi universitari non aggiungono molto di nuovo a quanto ben conoscevano gli oratori antichi, che con lo studio dell'eloquenza avevano elevato la comunicazione a vera e propria arte. Principe degli oratori latini era Cicerone, che nelle sue opere ha lasciato veri trattati di comunicazione, ricchi e organici. Raccogliendo brani di diversi scritti, questo agile volume offre una serie di consigli molto pratici e delinea un ritratto del perfetto comunicatore valido ancora oggi, dopo oltre duemila anni e incommensurabili mutamenti sociali e culturali.
Il volume raccoglie le appassionate e drammatiche orazioni (14 giunte fino a noi) che Cicerone pronunciò tra il 44 e il 43 a.C. per indurre il Senato a dichiarare il console Antonio "nemico della patria" a causa delle sue mire oligarchiche.
Si può leggere quest'opera in due prospettive: come "fonte" per ricostruire la storia religioso-filosofica antica in uno dei suoi aspetti più suggestivi, o come espressione del pensiero, dell'ideologia politico-religiosa e dell'arte di Cicerone, in uno dei periodi della sua vita più fecondi di opere e insieme più travagliati biograficamente e politicamente. Cicerone smaschera l'ipocrisia degli indovini, sostenendo che è meglio ammettere la propria ignoranza piuttosto che, per non volerla riconoscere, tentare l'ignoto e postulare la presenza del divino quando è proprio questo misterioso divino che inquina con dubbie pratiche di superstizione la schiettezza della religione.
Si tratta di una breve composizione che presenta un commento a sei affermazioni paradossali del pensiero stoico, che Cicerone tenta, con la sua arte retorica, di rendere accessibili al grande pubblico dei lettori. L'impresa è stimolante per il grande oratore, soprattutto se si tiene conto che gli Stoici adoperavano sovente un linguaggio sintetico e difficile, se non addirittura astruso. La trattazione filosofica si arricchisce di una vasta esemplificazione tratta dalla storia nazionale e dai suoi personaggi più famosi nonché di una serie di ritratti, ricavati dalla vita di ogni giorno.