Per Henry Corbin, Risposta a Giobbe di Jung lancia una sfida. Il metafisico rilegge le analisi di uno psicologo non soltanto psicologo e che conosce e difende la realtà dell'anima. Le domande radicali su Dio e il male - a partire dallo scandalo di Giobbe abbandonato a Satana - aprono alla necessità di Sophia, presenza archetipica e simbolo di un'alleanza diversa tra l'umano e il divino. La ricerca dell'"eretico" Jung si dimostra allora affine all'ispirazione sofianica di quei grandi filosofi cristiani ortodossi, come Florenskij e Bulgakov, presentando la possibilità di una teologia e di una spiritualità all'altezza di pensare la controparte femminile, quella di Dio e quella delle sue creature.
Ebraismo, Cristianesimo e Islam – le comunità del Libro (Ahl al-Kitab) – rappresentano i tre rami di un’unica e grande tradizione abramitica. Condividono la fede nella rivelazione di un Dio unico, trascendente e, nella sua essenza, inconoscibile attraverso le vie della percezione e della ragione. E tuttavia Corbin ci mostra come questo monoteismo sia fin dall’inizio e per sempre minacciato da una doppia trappola: quella di una rinascita idolatrica che fa di Dio un ente tra gli enti, confondendolo nella storia e nella società, e quella di una trascendenza portata all’estremo che, senza mediazioni teofaniche, si tramuta in disperante nichilismo. A queste tendenze Corbin oppone le affascinanti e profonde lezioni della gnosi islamica, ebraica e cristiana, la loro ontologia integrale, e angelologia, il loro mundus imaginalis mediatore e risolutore di ogni falsa opposizione. Con Il paradosso del monoteismo – un testo apparentemente estraneo alla sensibilità dell’uomo post-moderno – Corbin, oltre che proporre un cammino, ha lanciato una sfida: certamente per chi sa ed è in grado di coglierla. Ha voluto spalancare dinnanzi a una umanità stanca, sfiduciata e depressa l’abisso dell’Essere-Uno, invitando i migliori non a sostarvi dinnanzi cercando di capirne – razionalmente, astrattamente e vanamente – la profondità e il significato, ma a lasciarvisi coraggiosamente. Questo è il senso – l’experimentum crucis – di queste meditazioni che, a buon diritto (e per tale motivo), si possono chiamare “abissali”.
Henry Corbin, (1903 – 1978), filosofo, orientalista e storico delle religioni, ha, con la sua originale riscoperta della tradizione irano-islamica, profondamente influenzato il pensiero contemporaneo. A lui si deve, tra l’altro, l’elaborazione del concetto di mundus imaginalis. Allievo di Étienne Gilson e di Jean Baruzi, fu iniziato alla teosofia orientale da Louis Massignon, che orientò la sua vocazione filosofica verso lo studio dell’Islam iranico e della gnosi sh ’ita. Tradusse e pubblicò i più grandi classici legati a queste tradizioni. Tra le sue opere più importanti ricordiamo: Histoire de la philosophie islamique (Storia della filosofia islamica. Dalle origini ai giorni nostri, Milano 1991), Corps spirituel et Terre céleste (Corpo spirituale e terra celeste, Milano 2002) L’Imagination créatrice dans le soufisme d’Ibn’Arab (L’immaginazione creatrice. Le radici del sufismo, Roma-Bari 2005) e Temple et contemplation (L’immagine del tempio, Milano 2010). Per Mimesis è in corso di traduzione la sua grande summa, in quattro volumi, En Islam iranien.