Mani pulite ha segnato una rottura senza precedenti nella recente storia italiana. A distanza di trent'anni, Piercamillo Davigo ne ripercorre le tappe, ricostruisce tutti i tentativi messi in atto per indebolire i processi, traccia un bilancio – decisamente amaro – dei frutti di quella stagione. «Le difficoltà che i miei colleghi e io abbiamo incontrato sono state enormi per una ragione semplice: non si può processare un sistema prima che sia caduto. All'inizio delle indagini sembrava che i guasti fossero limitati ai partiti politici (neppure tutti) e alle imprese che avevano rapporti esclusivi o prevalenti con la pubblica amministrazione. Strada facendo ci siamo accorti che il malaffare era dilagato ben oltre questi limiti». Quello che emerse a partire dalle inchieste avviate nel 1992 fu, infatti, un quadro gravissimo. Le dimensioni e la natura degli illeciti scoperti, il fatto che esponenti di partiti, pubblicamente contrapposti, di nascosto si spartivano le tangenti, la collocazione ai vertici della politica e dell'economia di molti dei soggetti sottoposti a indagini, lo sconcerto creato nell'opinione pubblica da quanto emerso ebbero conseguenze dirompenti. Se il lavoro del pool venne inizialmente accolto dall'opinione pubblica con entusiasmo, poi lentamente i legami di potere si rinsaldarono e da allora l'Italia è teatro di uno scontro tra il tentativo di far osservare la legge anche ai detentori del potere politico ed economico e la tentazione di questi poteri di sottomettere gli organi giudiziari alla volontà politica. Poteva essere l'inizio di un positivo rinnovamento per l'Italia. Ma fu un'occasione persa.
Perché in Italia è così difficile essere onesti? Un pamphlet graffiante contro un sistema giudiziario farraginoso, le infinite rigidità burocratiche e amministrative, lo scriteriato ricorso ai condoni, la mancanza di sanzioni efficaci e dissuasive per chi trasgredisce le regole.
Sono trascorsi venticinque anni dall'avvio dell'inchiesta Mani pulite, e ancora oggi le prime pagine dei giornali raccontano quotidianamente di casi di corruzione che coinvolgono i livelli più alti del mondo politico, economico e finanziario italiano. Non è cambiato nulla dal 1992? O sono cambiati solo gli attori, a fronte degli identici meccanismi che regolano efficacemente il malaffare? Uno dei protagonisti della stagione di Tangentopoli, al centro del dibattito giudiziario e politico nel suo ruolo di presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, offre una chiara e lucida analisi del fenomeno tracciando il quadro di un vero e proprio sistema criminale, che non potrà mai essere smantellato con le sole armi della giustizia penale.
In un serrato confronto, due tra i più noti magistrati del pool di Mani Pulite affrontano da posizioni a volte anche diametralmente opposte i temi più scottanti della giustizia in Italia: è più efficace educare o punire? Il carcere è utile o dannoso? In alcuni casi è giustificabile la pena dell'ergastolo? Quanto è diffusa la corruzione in Italia? Potrà mai essere debellata? La carcerazione preventiva è sempre necessaria? I giudici vengono influenzati dalla pressione mediatica? È giusto che i magistrati diventino uomini politici? Quando la giustizia diventa giustizialismo? In Italia i magistrati hanno pochi poteri o invece rischiano, a volte, l'abuso di potere? A queste, e a tante altre domande, Colombo e Davigo danno in questo libro risposte spesso sorprendenti, dimostrando che la giustizia è un concetto non solo controverso, ma anche in continua evoluzione.
Da quando, nel 1992, è scoppiato lo scandalo di Tangentopoli, la cronaca giudiziaria italiana si è arricchita di vocaboli che mettono il processo, prima nella fase dell'indagine e poi durante il dibattimento, sotto la lente d'ingrandimento del media, molto frequentemente fra scandali e critiche. Spesso, soprattutto, perché vi è coinvolta la classe politica, dai personaggi eccellenti che siedono in parlamento o a palazzo Chigi, sede del governo, fino ai peones, che, poco conosciuti al grande pubblico, sono protagonisti a livello locale, nelle regioni, nelle province o nei comuni. Piercamillo Davigo, coadiuvato dal giornalista Leo Sisti, illustra in queste pagine le figure chiave del procedimento giudiziario e le diverse fasi del processo. Affronta anche, denunciandoli dall'interno, i ritardi che attanagliano l'Italia dei tribunali, alle prese con decisioni che richiedono anni e anni prima della fine di un processo. Propone una "cura" radicale, non un'aspirina, per uscire dal "girone infernale" nel quale la giustizia è entrata, spesso a causa di leggi ad hoc che tendono ad allungarne ulteriormente i tempi. Una "cura" che suggerisce provvedimenti a costo zero e che impegnerebbe il parlamento in poche sedute, senza interminabili discussioni. Il libro di Piercamillo Davigo è un viaggio che rivela i lati oscuri del processo, portandoli alla luce del sole, prende per mano il lettore e lo conduce nei meandri dei palazzi di giustizia fino a spiegargli qual è la realtà...