Régis Debray è uno dei più importanti saggisti europei e uno dei più rilevanti studiosi del ruolo sociale dei media. Nel 1979 ha parlato per la prima volta della mediologia, che negli anni successivi ha poi sviluppato come teoria multidisciplinare che si occupa della trasmissione a lungo termine dei significati culturali nella società. In questo saggio, Debray s'interroga sulle ragioni del successo di un personaggio politico innovativo come il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron, che, a suo avviso, si è imposto perché è in corso un radicale processo di cambiamento, che vede prevalere un modello etico e culturale di stampo neo-protestante, derivante da quell'etica protestante che lega la responsabilità della salvezza dell'anima direttamente all'operato del fedele. Negli Stati Uniti, questo modello si è trasformato nell'individualismo del do it yourself costituendo le fondamenta di quella che, qualche anno fa, è stata chiamata "ideologia californiana", cioè il modello culturale che ha portato al successo le potenti high tech companies del mondo digitale contemporaneo. È questo per Debray il "nuovo potere", che si va imponendo ovunque in Occidente, certamente in Francia, paese storicamente a prevalenza cattolica, ma che riguarda ormai l'intero mondo occidentale, Italia compresa.
"Permettetemi un piccolo esame di coscienza su questa pia formula, l'ultimo dogma di un mondo senza dogmi, espressione di disagio e insieme di protesta contro il disagio, vale a dire "il dialogo delle civiltà". Che cosa vuol dire questo mantra, e che fare per esorcizzarlo?". Con queste parole Régis Debray illustra il carattere spesso contraddittorio di un dialogo che pretenda di essere autentico, in particolare del dialogo interreligioso - come quello tra cristianesimo, ebraismo e islam, qui focalizzato dalla prefazione di Salvatore Abbruzzese, segnato da difficoltà che una genuina esperienza dialogica fatalmente comporta. Il testo segna un punto di svolta cruciale, "smitizzante", nella riflessione del dopo 11 settembre.
Non è una provocazione, è una constatazione; è, insieme, un ragionamento e un ritorno al futuro, quello che Régis Debray presenta nel suo "Elogio delle frontiere". Il filosofo e giornalista francese denuncia lo scacco che l'illusione di un mondo senza frontiere porta con sé: un mondo globalizzato, ma non unificato, in cui si tendono a cancellare le diversità e, persino al di là delle intenzioni, si propone il pensiero unico. Il tema delle frontiere sta tornando di grandissima attualità, alla luce delle rivolte dei popoli arabi, delle difficoltà economiche, dell'incerta identità europea. Di frontiere si parla e si parlerà molto, della loro assenza e del loro più volte ipotizzato ritorno. La frontiera è fondamentale per riconoscere l'altro e per considerarne la pari dignità. Favorisce la ricerca dell'equilibrio attraverso il negoziato e la mediazione. Impone l'incontro. E l'incontro è necessario.
Il popolo, i cittadini, gli stranieri, le nazioni, la laicità, i diritti dell'uomo, l'universale... Che cosa significano veramente queste parole troppo usate, incessantemente evocate e raramente definite? Di che cosa stiamo parlando in effetti? Questioni elementari, dunque fondamentali. Una giovane che presto voterà ha il diritto di chiedere. Un adulto attento prova a risponderle, in termini semplici, accessibili a tutti.