Giacinto Dragonetti (1738-1818), nobile aquilano che percorse la carriera di magistrato nei regni di Napoli e di Sicilia, ma che aderì anche alla Repubblica Napoletana, scrisse Delle virtù e de' premi quando era ancora un giovane avvocato. Il breve trattato, pubblicato per la prima volta a Napoli nel 1767, ebbe una rapidissima fortuna, sebbene non incontrastata, come dimostrano le polemiche suscitate intorno all'opera e gli attacchi cui fu sottoposto l'autore. Nel giro di nove anni ne uscì quasi una ventina di edizioni e il libro fu tradotto in francese, tedesco, inglese, russo, svedese, polacco e spagnolo. I modelli immediati di Dragonetti erano, da un lato, il trattato Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, pubblicato nel 1764, e, dall'altro lato, l'insegnamento dell'economia civile di Antonio Genovesi, del quale Dragonetti medesimo era stato allievo. Tanto "Dei delitti e delle pene" quanto "Delle virtù e de' premi" si inserivano, peraltro, nel più ampio dibattito in corso intorno al tema delle punizioni e (più frettolosamente) delle ricompense, che aveva avuto la sua origine più prossima nella reazione alle tesi sostenute da Hobbes. All'interno di questo variegato quadro di influenze, Delle virtù e de' premi si venne a caratterizzare per tre elementi principali: la concentrazione del discorso sulle sole ricompense, dissociandolo da quello sulle punizioni; l'accantonamento esplicito di qualsiasi discorso sulle virtù cristiane e sugli esempi proposti dalle Sacre Scritture; il riferimento a una concezione eroica della virtù, fondata sulla tradizione dell'antichità classica. È proprio la complessità dei riferimenti filosofici, etici, giuridici, economici e politici presenti nel trattato, dettagliatamente analizzati nel saggio che accompagna il testo critico, che contribuisce a spiegare la vastissima diffusione avuta dal trattato stesso negli anni immediatamente successivi alla sua prima uscita, così come la nuova stagione di successo editoriale conosciuta nei decenni centrali dell'Ottocento, e che induce a riflettere sulle ragioni della terza fase della sua fortuna, quella attuale, iniziata alla fine del Novecento.
L'opera si svolge intorno al tema cruciale della virtù. L'autore vuole sottolineare il concetto che, così come è giusto punire i crimini, è altrettanto giusto premiare le virtù, in rapporto al loro valore. Ciò non è solo cosa accessoria al buon governo, ma parte integrante del processo di riconoscimento dei fondamentali diritti dell'uomo. Il "premio" è una ricompensa che va oltre i contratti e le leggi, è stimolo e tensione al bene comune, oltre ad essere premessa di un più vero e sostenibile sviluppo civile