«L’incidenza della Legge circa lo svincolarsi della libertà dallo stato di mera potenzialità» e «il rapporto causale che intercorre tra due libertà situate a gradi diversi di attuazione» sono i due plessi vitali su cui Edda Ducci riflette nelle pagine di questo attualissimo libretto. Essi rappresentano «tratti di un lento camminare, in cui avvertire una crescente sensazione d’ignoranza, proporzionata all’approfondirsi e all’esistenzializzarsi dell’analisi». Il compito affinché ci si possa direzionare verso il cammino che porta alla Libertà, l’autrice lo delega all’educazione, ad una «forza debole», attraverso cui può passare l’umanazione e senza cui può dilagare la disumanazione. Sono pagine che non hanno la pretesa di essere esaustive, che non intendono essere il resoconto di un’indagine; pretendono molto meno, «essere un “brogliaccio” di future riflessioni per chi legge», come lo sono state per la stessa autrice. Il loro fine è quello di far sentire e comprendere come il limite sia essenziale ad ogni superamento, ad ogni ipotesi di trasgressione, ad ogni crescita del potenziale, di quel misterioso potenziale umano «dicibile come il diventare l’io che si è».
Il dialogare è una realtà antica come l’uomo. Tutti ne sanno, perché tutti lo sperimentano in bene o in male. Di tanto in tanto, però, qualcuno ne riparla, perché ha un motivo o più motivi per farlo. Qui i motivi sembrano vari. C’è l’idea non comune di considerare il dialogo un approdo, ossia vederlo come l’attraccare a un punto che è fermo rispetto a un andare insicuro, in solidarietà, in bilico sul naufragio. Eppure il dialogare è per natura dialettico, chiede movimento non staticità. C’è un filo di presunzione nel voler parlare concretamente di dialogo, come accenna il dire il tema con un verbo; ma si parla di dialogo minore: il dialogo che tutti gli uomini, consapevoli o no, bramano; a cui tutti hanno diritto; a cui l’educazione potrebbe preparare e avviare sì da prevenire tanto soffrire e tanta solitudine. Si parla di un dialogo minore per farne risaltare la bellezza folgorante. Perché il dialogo minore, al riparo dagli accademismi e dalla retorica, si muove sulle sicure coordinate della stima per l’uomo, per la sua verità, e dell’amore par l’uomo, per la sua bella perfezione. Il dialogo minore impedisce al dialogare di scadere a strumento. Sul tema del dialogare c’è l’intento di percepire i ritmi del canto fermo, quelli che permangono nei millenni. Questo vuole un affinamento: dell’udito e del gusto interiore. E qui viene avanzata l’ipotesi che ciò possa annoverarsi tra i compiti della filosofia dell’educazione. Si tratta di finalizzarne le analisi non soltanto a un dire rigoroso circa il dialogo per trovar posto in un sistema teorico, ma alla sensibilizzazione di chi è impegnato nell’educazione di altri o nell’educazione di sé. Forse è un compito insolito per la filosofia dell’educazione. A qualcuno potrebbe risultare estraneo e impugnarne la validità scientifica. Ma l’ambito scientificamente rigoroso, senza pensare affatto che ciò sminuisca il suo rigore, ammette la geometria euclidea e le geometrie non euclidee.
I saggi riportati in questo quarto quaderno possono dirsi rappresentativi dell'impegno paidetico e umanistico di Edda Ducci. In essi si concretizza l'analisi fenomenologica e morfologica sulla relazione sostenuta dall'autrice nel 1974 in "Essere e comunicare". Tutto è in relazione e l'essere dell'uomo si perfeziona, comprende la propria incompiutezza, intenzionalità ed educabilità solo incontrando l'altro. Un modo di intendere la relazione che, sul modello kierkegaardiano, sarà sostenuto non tanto da un'arida comunicazione di "sapere" quanto da una edificante comunicazione di "potere" in grado di imporsi non solo come «comunicazione del vero ma fondamentalmente, in un discorso pedagogico, come comunicazione del valore». Relazione e comunicazione, "pungoli" per la filosofia dell'educazione, attraverso auctores importanti quali Platone, Epitteto, Pseudo Boezio, santa Caterina o anche Ebner e Grazia Deledda. Essi saranno in grado di aprire a una "libertà interiore" intesa dall'autrice come: «avvertenza profonda, non comunicabile in termini astrattamente razionalistici, ma attingibile e quasi sperimentabile». Approdare a questi temi vuol dire porsi sulla strada del pensare l'educazione nel costante contatto con una realtà che, mentre qualifica la convivenza, valorizza l'umano nell'uomo.
Quando nei primi decenni del secondo Novecento la pedagogia era ancora impegnata nel definire la propria identità di sapere, Edda Ducci era appena uscita dagli studi di filosofia teoretica e si apprestava ad entrare nel complesso logos del sapere pedagogico. Nonostante il sospetto dei pedagogisti, timorosi di una indebita colonizzazione filosofica, l'autrice stava per intraprendere una strada, quella del dialogo, che la porterà negli anni ad una singolare interpretazione del rapporto filosofia-pedagogia. Per l'autrice è sempre stato chiaro che la «pedagogia è un contenitore troppo vasto» e che la differenza non consiste soltanto nel considerare l'uomo come oggetto o soggetto, ma piuttosto come l'esplicitarsi di due possibilità: l'una sostiene il sapere circa l'oggetto/soggetto; l'altra mira al costituirsi di una dialettica costantemente alimentata dalla simbiosi tra sapere e modo di essere del soggetto/oggetto. Perciò la filosofia dell'educazione di Edda Ducci non è vista come techne, ma come qualcosa che imprime un suo sigillo ad una praxis che pensa e vive la persona come un "al di là" dell'oggetto.
Trovare un fondamento per una paideia filosofica attraverso una metafisica dell'essere: questo il fine che può riscontrarsi nei primissimi studi di Edda Ducci. Anche lei, dunque, si pone la domanda che tanto ha inquietato gli spiriti ricercanti della filosofia: "quale la verità dell'essere?". E proprio in queste pagine iniziali la studiosa casentinese ha tentato di offrire una risposta attraverso le voci di due commentatori alessandrini. Simplicio e Filopono, da lei allora frequentati, "tappe non inutili e forse obbligate ella scrive per chi voglia affrontare seriamente il perenne interrogativo". Tale fine diviene vitale per il pensiero filosofico-educativo di Edda Ducci, maturato attraverso Platone e il mito della caverna e intento ad offrire stimoli per una corretta azione educativa in cui la comprensione del proprio essere risulti essenziale per partecipare autenticamente alla propria natura e alla propria storia. In un tempo di aridità e di crisi per l'identità personale, l'impegno dell'autrice, che passa da una "filosofia dell'essere" ad una "pedagogia dell'essere", insegna che solo attraverso la decodificazione sempre più agile di situazioni interiori, e il ruminare la parola metexis, si può seriamente intendere la significanza dell'essere uomo in educazione.
Si ripropone, a vent'anni dalla prima edizione, un testo breve di Edda Ducci. Un testo che, al momento della sua scomparsa, la studiosa casentinese stava rielaborando nella prima parte. Non avendone portato a termine una stesura definitiva, lo si restituisce al lettore nella versione originaria. Il tema trattato era il tema per eccellenza della Ducci filosofa e pedagogista: un lungo e paziente riandare al cuore dell'umano in tutte le sue varianti, nelle consonanze pacificate e nelle dissonanze critico-esistenziali. La passione per l'insegnamento e la cura per le attività sociali nella marginalità risentono di questo impegno, impegno che ella ha sempre sentito legato alla fedeltà alla parola e alla relazionalità umana, al riconoscimento del tu e al riconoscimento dell'altro. Perciò si leggono in controluce, in queste brevi pagine, autori amati e frequentati e temi sempre presenti alla sua preoccupata speculazione per l'uomo. Il che autorizza a credere, con qualche speranza, che una riproposta del breve scritto possa giovare al ricordo di un magistero mai banale e alla riproposizione di temi che chiedono soltanto di essere continuamente ripresi e approfonditi.