La fine del dominio maschile - trasformazione storica alla quale stiamo assistendo nel mondo occidentale - costituisce un evento che tocca nel profondo la società, là dov'è essa di costuituisce e si perpetua. Il saggio mostra che per la prima volta nell'avventura umana abbiamo la possibili di entrare nei meccanismi che hanno presieduto a questa organizzazione plurimillenaria dei ruoli sessuali , tale ente radicata da tempo immemorabile da sembrare inscritta nell'ordine della cose. Talmente radicata che esiste un legame intimo tra dominio maschile e religione. Essi hanno finora modellato insieme, a livelli diversi, l'esistenza collettiva; così oggi entrambe stanno subendo una profonda crisi. Garantivano l'esistenza della società e la continuità nel tempo della sua cultura e organizzazione: le donne assicuravano la riproduzione fisica del gruppo umano, gli uomini quella culturale. L'essenza della mascolinità e della sua supremazia stava nella possibilità di elevarsi al di sopra del suo sesso, per raggiungere lo statuto di di individuo universale. Ma ora sono cambiate le condizioni della riproduzione biologica così come quella della riproduzione culturale, cambiando i riferimenti del maschile e del femminile. La perita di importanza della religione patriarcale ha minato il fondamento del dominio maschile (ed è per questo che i fondamentalismi religiosi insistono tanto sul rapporto asimmetrico tra i sessi), aprendo la strada all'autorità di impronta affettivo-materna che permea profondamente i legami sociali oggi, non senza problemi.
Se il XX è stato il secolo della scoperta del bambino reale, supportata dalla nascita contemporanea della pediatria, della pedagogia e della psicoanalisi, il XXI sembra aprirsi come il secolo della sacralizzazione del bambino immaginario. La nostra società esalta a tal punto la dimensione infantile da arrivare a mitizzarla e, alla fine, a mistificarla. Grazie principalmente al controllo della procreazione, il bambino è diventato un ‘figlio del desiderio’. Prima era un dono della natura, un frutto della vita che si esprimeva attraverso noi, ma spesso malgrado noi. Ora è il risultato di una volontà espressa, di un progetto definito. E questo, accompagnato e rafforzato da altri cambiamenti inediti, come il discredito della maturità, che porta all’ossessione di ‘restare giovani’, o la crisi della visione del futuro, che si fa sempre più vago e indefinito, ha effetti potenzialmente drammatici, con ricadute sull’educazione, sul modo di concepire la famiglia e, soprattutto, sui meccanismi di definizione della personalità. Su questo bambino desiderato finiscono per pesare come macigni le aspettative dei suoi genitori e della società. Egli si trova ad avere il compito improbo di risplendere nella sua individualità singolare quando ancora non ha gli strumenti per capire se stesso e il suo posto tra gli altri. Deve vivere in una famiglia che, contrariamente a quanto avveniva prima, non forma i bambini, ma ne viene, all’opposto, consacrata. Infine, deve fare i conti con un immaginario sociale che lo ha eletto a propria utopia, l’ultima speranza di vedere realizzato un mondo diverso. È questa la ‘rivoluzione antropologica’ dei nostri giorni su cui ci invita a riflettere il filosofo e sociologo francese Marcel Gauchet. Egli porta alla luce, smascherandone i meccanismi, le rappresentazioni del figlio e le riconfigurazioni delle età della vita che tendono ad affermarsi nella nostra società e ci chiede di prendere coscienza dei rischi di questo mutamento. Nel culto dell’infanzia che abbiamo costruito, rischiamo di abbandonare il bambino a se stesso, alle prese con un universo opaco nel quale è stato gettato e del quale percepisce di non possedere le chiavi. E allora, ci esorta Gauchet, si tratta ancora una volta di ‘liberare’ il bambino. Come in passato è stato necessario strappare l’infanzia alla non considerazione nella quale era confinata come età indistinta da cui doveva emergere l’adulto, punto d’arrivo del riconoscimento sociale, ora occorre liberarla dall’immaginario che gli adulti hanno costruito su di essa in nome della sua innocenza, della sua differenza. Una differenza che, da conquista, oggi si trasforma volentieri in una prigione dorata.
Gli autori
Marcel Gauchet (1946) è directeur d’études all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi e direttore del periodico «Le débat». Il suo volume più celebre, Il disincanto del mondo (1985; tradotto in italiano nel 1992), una storia filosofica della religione, è ormai un classico del pensiero politico francese. Sono tradotti in italiano anche: L’inconscio cerebrale (1994); La democrazia contro se stessa (2005); Il religioso dopo la religione (2005); Un mondo disincantato? Tra laicismo e riflusso clericale (2008); La religione nella democrazia (2009).
L'opera
Nel pensiero di Marcel Gauchet la riflessione sulla religione ha sempre avuto come sfondo l’analisi politica. Anche in questo volume i due piani sono strettamente intrecciati. Lo spunto è fornito dalla ricostruzione storica della laicità in Francia. Dovendo spiegare il perché dell’attuale crisi, Gauchet propone una lettura eterodossa, in perfetta sintonia con la sua ormai celebre tesi dell’uscita dalla religione. La laicità non è travolta da un’onda di riflusso della fede, al contrario è costretta a ridefinire i suoi confini proprio a causa del progressivo ritirarsi di quell’onda. Il ritorno delle religioni non è che la conseguenza paradossale della vittoria democratica: l’esaurirsi delle vecchie ambizioni politiche regala alle religioni un nuovo diritto di cittadinanza. Questo nuovo equilibrio tra religione e politica è esaminato nella seconda parte del libro: qual è la sfida che deve affrontare una democrazia privata di qualsiasi riferimento trascendente? Quale ruolo possono giocare le religioni all’interno di una sfera pubblica necessariamente votata al pluralismo? Rispondendo a queste domande Gauchet propone un’interpretazione originale della politica del riconoscimento.
L’edizione italiana è corredata da una postfazione inedita di Gauchet.
I lettori
Chiunque sia interessato a una riflessione storico-filosofica sul concetto di laicità e sulle sfide che questa deve affrontare nel mondo contemporaneo. Il libro è però anche un utile strumento per professori e studenti che, in ambito accademico, sono interessati ad approfondire il pensiero di uno dei più importanti filosofi francesi contemporanei.
Il libro raccoglie una serie di saggi e interviste nelle quali Gauchet torna sulla tesi centrale de "Il disincanto del mondo" a vent'anni dalla sua pubblicazione. Tra i temi trattati, l'idea della modernità come processo di "uscita dalla religione" e l'interpretazione della crisi della democrazia contemporanea come il risvolto negativo del regime dell'integrale autonomia. Nella prima parte, si mostra la validità e la pertinenza storica e filosofica delle tesi sostenute ne "Il disincanto del mondo" confutando l'ipotesi diffusa che vede in fenomeni quali l'emergere dei più diversi fondamentalismi religiosi, o nell'affiorare di nuove forme di spiritualità, il segno di un ritorno del religioso. Nella seconda parte, si mostra l'altro aspetto del problema: cosa ne è di una politica ricondotta all'integrale auto-definizione del suo contenuto e dei suoi fini? E della religione cui è sottratta qualsiasi presa sul sociale? L'ipotesi gauchetiana offre un punto di vista originale e una lucida analisi delle attuali contraddizioni.