«È come se, attraverso il modello utopico. si costituisse un punto di riferimento al di fuori e a prescindere da qualsiasi spazio, luogo e momento storico. Ebbene, come si può costruire una città concreta, prevedere un'alternativa alla situazione che è, attraverso un modello che non è? o, quanto meno, che non è ancora?
È forse questo il modo, per tornare a parlare di "profezia" e di realtà collocate nel futuro? con annessa svalutazione del presente?
C'è una critica rivolta da Aristotele a Platone, che ricalca molto fedelmente questo genere di obiezioni. Platone si era fatto carico di sostenere una tesi alquanto sconvolgente, per il suo tempo, e anche per oggi. Proponeva che, nella sua città, vigesse la comunione dei beni, delle donne e dei figli. Una tale invenzione, ad Aristotele, parve talmente rivoluzionaria - è strano che di Platone si parli come di un rivoluzionario, e di Aristotele, al contrario, come di un conservatore! - che dovette sembrargli ovvio avversaria con tutte le sue forze. L'imputazione prima fu precisamente questa: se un'idea del genere fosse stata valida, certamente ci avrebbe pensato qualcun altro ad attuarla, e non sarebbe stato necessario arrivare fino a tempi tanto recenti (stiamo parlando del IV secolo, prima dell'era volgare!), senza avere trovato luogo o tempo per vederla realizzata.
Il problema è davvero tutto qui. Ed è un problema che, alla fine dei conti, ci porterà a distingue la categoria (e il concetto) di utopia dalla categoria (e dal concetto) di utopismo, che non sono affatto la medesima cosa.»
Dall'Introduzione
C'è un modo per applicare i criteri di una filosofia del "qui e ora", senza cedere alle ragioni del pragmatismo e del contingentismo? C'è un modo per adottare l'esperienza storica e filosofica a sostegno della nostra azione attuale? Sembra che il vecchio motto "historia magistra vitae" non abbia più ospitalità nel nostro Mondo culturale e si affronta ogni emergenza mondana con la convinzione che nulla di buono ci provenga dai suggerimenti del passato. Certo è, invece, che le più imprevedibili circostanze continuano a sconvolgere ogni nostra programmazione e stravolgono ogni rigore formale dei nostri progetti, nel reiterarsi sempre più accelerato dei crolli istituzionali e dei naufragi umani. Questo libro nutre un desiderio ambizioso: vincere lo spontaneismo dell'abitudine, introducendo, nel profondo, alla scoperta di un essere umano "possibile". Si tratta di una sfida, lanciata all'intelligenza virtuosa dell'individuo, al quale si chiede di riappropriarsi della storia, di tutta la sua storia e dei suoi infiniti miti, estraendone il contenuto meta-storico e meta-politico, di cui giovarsi a tutt'oggi. Si tratta di un invito alla resistenza, sul fronte che vede perdersi le qualità eccellenti dell'umanità: quelle, che non fanno tanto conto sui "buoni cittadini", quanto sugli "uomini buoni", capaci di alzare le sorti della propria città, senza adeguarsi passivamente al livello utilitaristico delle sue leggi peggiori.
Il volume propone un'indagine accurata nel mondo semplice e complesso della polis greca alla ricerca della comprensione del nostro stesso problema esistenziale. Gianfranco Lami è docente di Filosofia politica all'Università La Sapienza di Roma.