"Nella commedia di Peter Pan il capo dei pirati ripete ad ogni occasione il suo ultimo discorso per il timore di non aver tempo di farlo quando si tratterà di morire davvero. Questo lavoro ha esattamente lo stesso senso: vuole essere l'eredità che lascio a quanti hanno lavorato, ragionato e si sono appassionati con me sui temi della sofferenza mentale e la sua cura, senza per questo mettere fretta a nessuna oscura lavoratrice dell'Ade. La prima parte teorica è un liofilizzato della esperienza di 35 anni di lavoro sempre attenta a unire l'efficacia dimostrata degli interventi con le peculiarità di ciascun paziente irriducibile alla diagnosi categoriale, più invecchio e più mi sembra che la diagnosi in asse I di ciascun paziente sia il suo nome e in asse II il suo cognome ad indicare l'origine familiare e culturale del suo particolare modo di stare al mondo, per creare percorsi terapeutici personalizzati e unici che rifuggono dal richiamo semplicistico dei protocolli clinici standardizzati, veri killer del ragionamento psicopatologico e clinico, che mortificano la creatività del terapeuta riducendolo a mero somministratore di tecniche. Nel 2000 nell'introduzione de "La Mente Prigioniera" dichiaravo con Sandra Sassaroli "l'ambiatone di insegnare concretamente come si progetta e si conduce una terapia cognitiva, ponendoci le seguenti domande: come funzionano gli esseri umani? Cos'è che li fa soffrire? Qual'e la differenza fra sofferenza esistenziale normale e disturbo mentale? Perché, nonostante soffra un individuo non cambia? Cosa deve fare uno psicoterapeuta per riattivare il processo di cambiamento inceppato? Quali sono le tappe fondamentali di ogni psicoterapia e come affrontarle? Come si definisce una strategia terapeutica eia si mette in atto?' Sono passati diciassette anni, molti neuroni sono andati in prepensionamento, insuccessi, fortune insperate e soprattutto fallimenti hanno modificato in parte le convinzioni di allora: così funziona l'esperienza."
Il volume offre una prima importante sistematizzazione del disturbo di dimorfismo corporeo (Body Dysmorphic Disorder, BDD), una dolorosa preoccupazione per supposte malformazioni, difetti e imperfezioni fisiche e corporee. Il BDD si manifesta in una sintomatologia clinica al crocevia tra disturbi sematoformi, alimentari, ossessioni e delirio, in un costante disagio psichico e una importante compromissione sociale e lavorativa. Il modello cognitivo comportamentale standard orienta l'assessment, il percorso diagnostico e l'intervento terapeutico, in cui sono cruciali l'elaborazione cognitiva delle distorsioni e la critica degli errori più gravi di valutazione sul proprio corpo, accanto a un processo di accettazione del sé che costituisce il vero problema sottostante all'espressione sintomatologica. Oltre alla rassegna sulla letteratura internazionale, ciascuna delle fasi terapeutiche presenta: gli strumenti testistici disponibili e più indicati per una prima valutazione del disturbo; analisi e riflessioni per la diagnosi differenziale; tecniche e materiali operativi per il trattamento. Casi clinici prototipici offrono infine una panoramica ed esemplificazioni pratiche sul BDD.
Le storie di terapie raccontate in questo libro si distribuiscono lungo tutto l'arco delle diagnosi categoriali e soprattutto sono situazioni miste, perché i pazienti si ostinano a non studiare il DSM IV per collocarsi correttamente nelle sue categorie e a presentarsi come persone sofferenti, con mille acciacchi diversi sovrapposti. In queste situazioni ci sono di scarso aiuto i protocolli clinici; si tratta, per ciascun caso, di identificare quali siano i meccanismi con cui la persona si autoinfligge sofferenza e, dopo averli smascherati, provare a modificarli costruendo alternative. Ho cercato di raccontare il paziente, quello che è avvenuto tra noi in terapia e come sono andate le cose, insuccessi e errori compresi; transfert e controtransfert, o come si voglia chiamare quel miscuglio di sentimenti che coinvolge paziente e terapeuta. Lo scopo è fornire un modello del procedere clinico che utilizza strategie di provata efficacia, ma si plasma di volta in volta sulle specificità del paziente. Le storie sono utilizzabili nella formazione, per avere casi di cui discutere, o in privato per tirarsi su il morale considerando gli errori che anche terapeuti stagionati commettono.
Sempre più spesso viene rivolta a psicologi, psichiatri e psicoterapeuti una richiesta di aiuto non solo da persone con definite psicopatologie ma anche da coloro che non presentano disagi specifici ma non sono soddisfatti del loro stare al mondo. Il volume propone un intervento che può collocarsi come un modulo di una più ampia psicoterapia tradizionale, ma essere anche rivolto a persone senza specifiche psicopatologie. La proposta parte da una visione del modo di intendere la sofferenza che si caratterizza per uno sguardo verso un orizzonte più ampio di quello contrassegnato dal limitato e limitante stato di salute. Vi è la necessità di riappropriarsi di un pensiero critico che riesca a collocare al centro della riflessione la persona come soggetto di sofferenza e come protagonista della ricerca di una pienezza esistenziale che nel perseguimento di valori dia senso al vissuto esperienziale.
Il delirio non è confinato nei recinti della follia. Tutti vivono in un proprio mondo di significati personali che a volte si arrocca, diventa impermeabile a ogni confronto, inattaccabile, isolato. La dimensione delirante intesa come tendenza autoreferenziale della conoscenza è prepotente nei disturbi psicotici, ma è anche l'elemento essenziale che impedisce il cambiamento in coloro che sono precipitati nelle trappole dei meccanismi nevrotici. E, ancora, si manifesta nella vita quotidiana con l'autoinganno e la costante tendenza a cercare e trovare conferme alle proprie idee. Sulla base di una lunga esperienza clinica come psicoterapeuti operanti nel servizio pubblico, spesso con pazienti difficili, gli autori sostengono che anche il delirio presente nelle psicosi è psicologicamente comprensibile e serve a spiegare un vissuto altrimenti incompatibile con gli schemi centrali riguardanti l'identità del soggetto. Tutta la dimensione delirante sta a protezione dell'identità e ciò diviene manifesto nel delirio psicotico. In questa prospettiva, la psicoterapia del delirio recupera il proprio razionale di intervento imitativo efficace sui sintomi ma anche sul complessivo funzionamento psicologico del soggetto. Non è solo un intervento che affianca utilmente il trattamento psicofarmacologico, ma dispone di una propria caratterizzante autonomia.