Lucio Domizio Aureliano (Sirmio, 9 settembre 214 /215 - vicino Bisanzio, 25 settembre 275) apparteneva a una famiglia di agricoltori. La sua carriera militare venne favorita dall'imperatore Valeriano e si affermò durante l'impero di Gallieno. Era di spirito pronto, d'indole impetuosa e inesorabile, tanto che i compagni d'arme gli rifilarono il nomignolo di "mano al ferro [spada]". Nel 270 le truppe lo acclamarono Imperatore. L'Impero pareva prossimo allo sfacelo: regnavano disordine, miseria ed epidemie; lo stato era finanziariamente fallito; l'esercito in continua rivolta; i confini, per tutta la distesa dal Reno al Danubio, in preda a Iutungi, Alamanni, Vandali e Goti; la Gallia e la Britannia ormai s'erano costituite in uno stato, romano di forma, ma autonomo; i territori d'Asia soggetti ai sovrani di Palmira, in particolare a Zenobia, erano legati a Roma in apparenza. Aureliano riuscì nei primi tre anni a rinsaldare la compagine dello stato romano e a salvarlo e poté celebrare un trionfo (274 d. C.) dei più fastosi che Roma abbia veduto e uno dei più meritati, ricevendo il titolo di restitutor orbis (riunificatore dell'Impero). L'opera restauratrice di Aureliano ebbe largo campo anche nella pubblica amministrazione e in particolare nella parte finanziaria. La sicurezza e gli abbellimenti di Roma, il mantenimento e l'igiene della popolazione occuparono molta parte dell'attività di questo imperatore che, inoltre, diede inizio alla costruzione di quelle mura attorno a Roma che portano ancora il suo nome. La sua opera militare e politica fu compiuta con coscienza romana, volta a rafforzare il potere centrale. I trionfi militari gli conferirono l'autorità necessaria a intraprendere l'opera di restaurazione della disciplina dell'esercito che portò avanti col solito rigore inflessibile, cosa che finì con alienargli il sostegno di alcuni ufficiali che ne decretarono la morte.
Belisario fu l’ultimo grande generale dell’antichità. Alla testa degli eserciti dell’Imperatore Giustiniano, combatté contro Persiani, Vandali, Goti e Unni, riconquistando parte dell’Impero d’Occidente. La sua figura, celebrata da Dante Alighieri, ha ispirato poeti, artisti e romanzieri, sino a essere trasfigurata addirittura in personaggi della fantascienza. Ma chi meglio ha raccontato Belisario è stato il suo segretario Procopio, che ne eternò la fama nella propria opera storiografica, salvo poi demolirne il mito nelle Carte segrete.
In questa biografia si tenta di ricostruire la vita di Belisario nella sua interezza, in modo da comprenderne le idee strategiche, chiarire il suo reale rapporto con Narsete, il generale che, a torto, gli viene tradizionalmente contrapposto, senza trascurare il suo movimentato matrimonio con l’energica Antonina. Sullo sfondo, le vicende di un periodo decisivo per la Storia, in cui il mondo antico è ormai avviato al tramonto.
Teodolinda, regina dei Longobardi, era gloriosissima già per i suoi contemporanei. Le pagine che le dedica Paolo Diacono la circondano di un fascino sconosciuto alle altre regine di quel popolo. A Monza, città cui è particolarmente legata la sua memoria, poco mancò, in passato, che venisse considerata una santa. D'altro canto, Teodolinda non fu solo «la regina che convertì i Longobardi al cattolicesimo» con la collaborazione di papa Gregorio Magno. Teodolinda era sì cattolica, ma scismatica, tranne, forse, verso la fine della sua vita; per questo motivo, la sua collaborazione con il Papa si svolse sostanzialmente sul piano politico. Il carteggio tra lei e il Pontefice, riportato in appendice, rivela un rapporto estremamente complesso, legato anche al ruolo della donna nell'antica cultura germanica. Ma Teodolinda non fu solo questo. Svolse un ruolo politico attivo, prima a fianco del marito Agilulfo, poi da sola quando, in qualità di reggente, governò il Regno longobardo per alcuni anni, dialogando con le maggiori personalità del suo tempo e godendo di prestigio internazionale.
Giulia Domna (170 ca.-218), nata in Siria da una dinastia di re-sacerdoti, divenne imperatrice di Roma in seguito al matrimonio con Settimio Severo. Alla morte del marito, accrebbe la propria autorità affiancando nel governo il figlio Caracalla, assecondandone il sogno di creare un Impero universalistico sull'esempio di Alessandro Magno. Nel corso della sua vita fronteggiò con successo gli intrighi del prefetto Plauziano e la rivalità della giovane nuora Plotilla, ma dovette assistere alla lotta fratricida tra i suoi due figli. Sostenne la politica di valorizzazione e integrazione nello Stato degli abitanti delle provincie, culminata nell'editto che concedeva la cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi dell'Impero. Donna colta e intelligente, imbevuta di cultura classica, aprì le porte della corte ai maggiori intellettuali del tempo e promosse forme di sacralizzazione del potere che anticipavano la teocrazia bizantina. Da Filostrato, uno dei letterati della sua corte, ricevette l'appellativo di "Giulia la Filosofa".
Brunilde è passata alla storia come un grande personaggio crudele e negativo. Perché? E se proprio così non fosse? Brunilde nasce nel 550 d.C. e cresce a Toledo, figlia di un visigoto divenuto re e alleato dell'Impero Romano d'Oriente. Diventa regina di un regno dei Franchi, che per tutta la vita cercherà di riunire sotto una sola corona. Combatterà gli Avari e i Longobardi, ma anzitutto perseguirà il suo disegno politico di unificazione. Avrà buoni rapporti con san Colombano e papa Gregorio Magno, ma poi si scontrerà con loro. Patirà grandi lutti e regnerà come regina o come reggente per 46 anni. Brunilde fu al centro del mondo tardoantico; trattò alla pari con Bisanzio e col papa, ma alla fine fu sconfitta da un altro franco, Clotario, che le infliggerà una morte atroce e umiliante nel 613. E gli storici del tempo non furono dalla parte della vecchia visigota, perché appoggiavano i suoi avversari.