«Urliamo entrambi, ma Tamara non sa come sono messo io. Non sa che non sono neanche arrivato in fondo, non sa che sono a testa in giù e che sotto la mia testa ci sono almeno diverse decine di metri di vuoto e di tenebra. Il baratro lo avverto coi sensi, ma anche perché quando mi muovo rompo pezzi di ghiaccio che mi passano accanto e scendono senza che riesca a sentirli raggiungere il fondo. Non li sento fermarsi, cadono in questo buio nel silenzio più assoluto.» Chi vuol toccare il cielo deve mettere in conto il rischio di precipitare nell'abisso. Eppure, spesso proprio quell'istante di buio e terrore insegna più di mille altre esperienze e fa scaturire le risorse per risalire dalle infime profondità in cui si è caduti. Tutto inizia nel novembre 2019 quando Simone Moro, affiancato dalla compagna di cordata Tamara Lunger, annuncia la sua nuova spedizione, una delle più emozionanti: seguirà le tracce di Messner e Kammerlander, dal 1984 rimaste intonse, che in un'unica traversata conquistarono i due ottomila Gasherbrun II e Gasherbrun I. Il sogno verticale di Simone è una sfida ancora più ardita: lo farà in inverno, con equipaggiamento leggero, senza aiuti meccanici...
Quella di Moro per il Nanga Parbat è una folgorazione, una scintilla scoccata sulle pagine dei libri che Simone leggeva da ragazzino, dove si narravano le imprese straordinarie di alpinisti come Albert Mummery, Hermann Buhl e Reinhold Messner che su quella montagna avevano lasciato una traccia e in certi casi, tragicamente, anche la vita. Con il tempo la scintilla si è ravvivata fino a diventare una passione travolgente, un amore vero e proprio per una cima maestosa che, nel tempo, aveva continuato a respingere molti alpinisti. Nell'estate del 2003 finalmente Moro può toccarne con mano le pareti e il suo tentativo di raggiungerne la vetta fallisce. Ma non è affatto la fine del sogno, anzi è solo l'inizio di un corteggiamento paziente, durato tredici anni, che l'autore racconta in questo libro. Tredici anni e tre tentativi invernali fatti di imprevisti, sorprese, nuove vie e nuove cordate, valanghe e bufere di neve, crepacci, grotte di ghiaccio, venti a 200 chilometri orari e cieli limpidi... Ma soprattutto fatti di scalate compiute un passo dopo l'altro, con la tenacia che serve a non mollare e con il rispetto costante per la montagna, la natura e i limiti dell'uomo.
Quando Simone Moro comincia a scalare a soli quattordici anni, vede i grandi alpinisti, tra cui spiccano i nomi di Messner e Bonatti, come uomini forti e coraggiosi da imitare. Non conosce ancora, però, quello che più di tutti gli trasmetterà lo spirito dell'alpinismo e che diventerà per lui un fidato compagno di cordata: Mario Curnis. Simone e Mario si incontrano per la prima volta all'inizio degli anni Novanta al ristorante K2 di Bergamo, famoso punto di ritrovo per gli scalatori della zona, e da quel momento non si separano più. Cominciano ad andare in montagna insieme, partono per escursioni vicine e lontane, e intraprendono spedizioni importanti: così, nel 1999 affrontano i settemila dell'ex Unione Sovietica, nel 2000 compiono l'intero giro delle Alpi Orobie e nel 2002 conquistano la vetta più alta del mondo, l'Everest. "In cordata" è un confronto sincero tra due generazioni di alpinisti, tra due compagni di cordata, ma soprattutto tra due amici, uniti dalla stessa passione incondizionata, ma non per forza vicini nel modo di viverla. Se Moro, infatti, ha fatto dell'alpinismo una vera e propria professione, Curnis invece lo ha sempre praticato come uno svago, senza rinunciare al proprio lavoro da muratore. Questo libro è anche un limpido resoconto sull'evoluzione dell'approccio alla montagna.
"Il 26 dicembre del 1997, il giorno in cui fui soccorso, realizzai molte cose sul ruolo dell'elicottero e dei piloti in alta quota. La prima, e più importante, è che mi avevano salvato la vita." Forse fu in quella fine '97, il momento più tragico della sua vita, quando scese sanguinante e tumefatto dall'Annapurna, dove una valanga gli aveva strappato via per sempre i suoi due compagni. O forse fu un anno dopo quando volò nell'ex Urss sugli MI-17, bestioni rumorosi con le scritte in cirillico. Simone Moro non ricorda esattamente quando è scoccata la scintilla, ma sa per certo che quella che ci racconta in questo libro è una passione intensa e travolgente. Definirla a parole non è facile: unisce la vertigine del volo, il richiamo delle vette più alte della Terra, la sfida con se stessi e il desiderio di aiutare gli altri. Però Simone ha saputo metterla in pratica con grande concretezza, acquistando di tasca propria un elicottero e organizzando un servizio di elisoccorso in Nepal rivolto soprattutto alle popolazioni locali delle valli più remote. La sua profonda conoscenza della regione himalayana, la sua esperienza di scalatore e la sua competenza di pilota hanno potuto e potranno infatti salvare tante vite, messe a repentaglio, in quell'ambiente tanto affascinante quanto talvolta ostile, da una banale frattura o da un parto difficile. Prefazione di Reinhold Messner, postfazione di Maurizio Follini.
In un lungo, racconto illustrato Simone Moro ripercorre vent'anni di spedizioni in Himalaya, anni di grandi soddisfazioni ma anche di difficoltà e di rinunce. Il suo è un lungo viaggio di avvicinamento, dalle Alpi bergamasche fino in cima al sogno di raggiungere la vetta più alta della Terra e realizzare il suo destino di alpinista sulla scia dei grandi del passato. L'Everest per Simone non è solo una vetta da raggiungere, è la ragione per cui vale la pena di crescere, di camminare dal campo base alla cima, attraverso crepacci, successi, bufere improvvise, momenti di sconforto, incontri. Dalle sue parole emerge un modo di intendere l'alpinismo, come un mezzo e non un fine, e di considerare quel massiccio di rocce e ghiaccio come una metafora della vita: un percorso lungo il quale si possono imboccare strade diverse e in cui la rinuncia può diventare una virtù, dove si trovano veri amici e persone di cui è meglio non fidarsi. La storia della conquista dell'Everest la tragedia di Mallory, il successo del 1953 di Hillary e Tenzing, la scalata senza ossigeno di Messner, la prima spedizione italiana di Monzino del 1973, la via americana mai più ripetuta di Tom Hornbein - si intreccia con le imprese di Simone Moro e le colloca in una dimensione storica. L'alpinista bergamasco si confronta con gli esploratori del passato e segna la sua via.
Simone Moro in questo libro racconta la spedizione sull'Annapurna del 1997 che è costata la vita ai suoi due compagni di cordata e che lo ha visto "miracolosamente" sopravvissuto alla valanga che ha ucciso gli altri e che lo ha fatto volare 800 metri. E così parte dalla sua infanzia e cerca di spiegare come mai ha fatto della montagna il suo mestiere, perché scalare è la sua vita, e che cosa significhi per lui raggiungere la vetta. Ci racconta le sue esperienze, le sue paure, i suoi dubbi e la grande indimenticabile amicizia tra lui e Anatoli Boukreev, il grande alpinista russo morto sull'Annapurna.