Nel secondo dopoguerra l'Italia mise in cantiere un originale modello di relazioni mediterranee ispirato alla diplomazia dell'amicizia - convintamente offerta e praticata - nei confronti dei Paesi arabi. Il modello italiano era dunque imperniato sul dialogo politico scevro da pregiudizi ideologici e religiosi; sulla cooperazione economica paritaria e, soprattutto, sul più assoluto rispetto del principio dell'autodeterminazione dei popoli. Nel complesso - indipendentemente dall'orientamento delle varie maggioranze di governo e dai vari inquilini di Palazzo Chigi e della Farnesina - la diplomazia dell'amicizia, sia pur declinata con modalità e sensibilità diverse, è stata portata avanti, affinata e perseguita senza soluzione di continuità, tranne qualche rara eccezione, da quasi tutti i decisori, ai vari livelli, della "politica araba" italiana. In questo libro sono ricostruiti alcuni aspetti e momenti di questa politica, fra passato e presente, in larga parte riconducibili al comune denominatore della diplomazia dell'amicizia intesa come efficace modello di "una buona politica estera" ispirata alla pace e alla cooperazione euromediterranea.
Da qualche anno l'Italia ha rilanciato i suoi rapporti bilaterali con i Paesi dell'Asia centrale ex sovietica attraversati, in un tempo molto lontano, dall'antica "via della seta". Oggi questi Paesi, sia per i loro ricchi giacimenti di gas e petrolio, sia per la loro posizione geostrategica, hanno gradualmente acquisito un ruolo sempre più significativo nell'area centroasiatica. "Sulla via di Samarcanda" analizza i motivi della rinnovata attenzione dell'Italia e ricostruisce i suoi recenti e poco conosciuti rapporti politici ed economici con le cinque Repubbliche ex sovietiche.
I protagonisti di questo libro sono i diplomatici italiani del secondo dopoguerra. In particolare quei bravi e qualificati diplomatici che, rispettivamente, a Roma nei vari uffici di Palazzo Chigi e nelle nostre Legazioni in Egitto, Libano e Siria, erano, giorno dopo giorno, impegnati a ritrovare e riannodare pazientemente i fili sottili dei tanti rapporti, non solo politici, che la guerra aveva sommerso, rovinato e, talvolta, addirittura reciso. Questi diplomatici, leali servitori dello Stato, fatti i conti con polemiche e rancori legati alla pesante eredità della sconfitta ed alla sofferta rinuncia italiana ad ogni residua ambizione coloniale, si misero subito all'opera, con entusiasmo e con passione, per ricostruire (malgrado i limiti imposti dalla debole posizione internazionale del Governo di Roma) la nuova immagine della nostra giovane Repubblica e rilanciare la sua presenza nell'Oriente mediterraneo all'insegna della pace e dell'autodeterminazione dei popoli arabi. Ma, soprattutto, all'insegna della "diplomazia dell'amicizia", quell'originale "modello politico" tipicamente italiano di relazioni mediterranee che in questo libro si cerca di analizzare ed approfondire in maniera sistematica.
All'indomani della seconda guerra mondiale lo scenario del Mediterraneo orientale era completamente mutato. Quello che per lungo tempo era stato percepito come il "mare nostrum" si presentava come un mare ostile. Occorreva immaginare e ritessere o impiantare ex-novo la rete dei rapporti con i Paesi rivieraschi. In questo volume sono ricostruiti i primi passi della politica estera italiana nello scacchiere orientale, dalla sofferta ripresa dei rapporti fra Italia e Albania alla fine della guerra ai negoziati per i trattati di amicizia con la Grecia, il Libano e la Turchia nel quadro di un'azione diplomatica finalizzata a rilanciare nel Mediterraneo orientale una nuova presenza italiana fondata sull'amicizia e la cooperazione.