«L'ultima volta che lo vidi era a casa sua sulla Cassia, sulla poltrona che era di suo nonno e poi di suo padre: avevamo intenzione di fare un libro intervista insieme. Stemmo insieme qualche ora. Poche settimane dopo, senza che nessuno potesse immaginarlo, è mancato. Ne è uscito uno zibaldone liberale che troverete in questo libro.» Essere liberali, nel vero senso della parola, in Italia, è sempre stata un'anomalia culturale e una scelta politica minoritaria. Perché in questo Paese è prevalsa sempre, con persistenza, un'egemonia statalista, fatta di spesa pubblica e consociativismo. Ma sposare il liberalismo è un'altra cosa. Neanche il partito liberale era veramente liberale. Nicola Porro riflette sul ruolo e la figura dei liberali italiani rievocando il grande maestro di questa tradizione: Antonio Martino. Ne viene fuori un ricordo spassionato, divertente, acuto, irriverente sui capisaldi, sull'essenza della cultura liberale, sui contributi dati alla crescita di questo Paese. Un libro che ha il merito di sfatare luoghi comuni e supposti miti. Attraverso aneddoti e retroscena molto personali su Berlusconi, su Montanelli e sulle figure apicali della tradizione liberale italiana, Porro riflette sul perché, quest'idea romantica tesa ad esaltare le virtù dell'essere umano, sia così tanto sfruttata, ma così poco amata e così poco profondamente seguita.
Per anni abbiamo ritenuto le tasse, se non belle, almeno necessarie per tenere in piedi il nostro apparato pubblico e i servizi che fornisce. Poi si è teorizzato che fossero necessarie per apportare una qualche forma di riequilibrio sociale. Ci siamo però accorti che il conto da pagare era decisamente superiore alla qualità del pasto che stavamo consumando. I servizi, dalla sicurezza alla sanità, non sono all'altezza. E la favola della giustizia sociale per via fiscale si è dimostrata falsa. Piuttosto lo stato e le sue casse si sono grandemente arricchiti, alzando le pretese. Non poteva continuare così. Ecco perché il mostro fiscale ha dovuto cambiare forma, è dovuto diventare "bio", come direbbero le groupie della correttezza alimentare. Ha dovuto trovare un racconto originale che gli permettesse, impunito, di continuare a sottrarre risorse ai privati. L'idea di tassare e nascondere la mano non è nuova. Ma oggi, come mai prima, le imposte cercano di mimetizzarsi. Esistono e ci danno uno schiaffo come fossero l'uomo invisibile: non sappiamo come reagire, con chi prendercela. Cercano di darsi una veste nuova. Lo stato continua ad alimentarsi con le consuete pietanze di un tempo, con i prelievi sui consumi, sui redditi e sui patrimoni, ma ha aggiunto un dessert fintamente equo e solidale. Le nuove tasse si giustificano per emergenze tutte da dimostrare, su comportamenti che in modo arbitrario si ritengono socialmente deprecabili. Le tasse invisibili sono etiche ed ambientali. Sono richieste non già per migliorare le condizioni del presente, ma per evitare i drammi di un futuro catastrofico, che si dà per certo. I socialisti volevano occuparsi dei cittadini dalla culla alla tomba, i loro nipoti hanno scoperto che ci si può occupare anche dell'aldilà. La morale resta la solita. I nostri rappresentanti passano gran parte del loro tempo, per di più pagati da noi, a cercare un modo per spillarci quattrini. Sempre per il nostro bene. Si intende.
L'economia è come il calcio: tutti ne parlano, molti ripetono meccanicamente le idee di altri, pochi sanno descriverne davvero i meccanismi. Nicola Porro ci mette in guardia dai rischi di un pensiero unico che non accetta voci fuori dal coro riscoprendo gli insegnamenti dei più importanti pensatori liberali, molti dei quali oggi ingiustamente trascurati. Parliamo di economisti, filosofi, statisti, persino romanzieri best seller, che nelle loro opere hanno spiegato, e in certi casi previsto, fenomeni con cui abbiamo a che fare quotidianamente. Le tasse e l'istruzione, il falso mito dell'uguaglianza e le profezie apocalittiche degli ambientalisti: in questo libro l'economia torna una disciplina che ci riguarda molto da vicino grazie ai grandi uomini che l'hanno raccontata. Da Thomas Jefferson a Vilfredo Pareto, dalla scuola austriaca di Mises e Hayek agli eroi nazionali Ricossa e Martino, da Houellebecq a Piketty, Nicola Porro ci conduce con linguaggio semplice, tono ironico e una punta di veleno politico, in un viaggio dentro l'attualità, che è anche un viaggio parallelo alla riscoperta dei nomi dimenticati di quella cultura liberale che ha contribuito in modo decisivo a creare l'impalcatura del nostro paese, e dell'Europa che oggi mettiamo maldestramente in discussione.
Questo libro colma una lacuna presente nel panorama degli studi sociologici italiani. Nonostante alcuni pur pregevoli tentativi, finora nel nostro Paese non è ancora apparso un vero e proprio manuale di Sociologia dello sport e dell'attività motoria. È quanto invece si propone di essere questo volume, che offre una sintesi dei principali risultati ottenuti dalla ricerca italiana ed estera nel campo, però riletti e interpretati all'interno di una impostazione teorica chiaramente riconoscibile e, quindi, suscettibile di stimolare ulteriori studi e ricerche. Si intende dunque offrire uno strumento indispensabile per tutti coloro che vogliono sviluppare la propria professionalità nel campo delle Scienze Motorie. Il manuale si rivolge ai portatori di una nuova cultura del movimento umano, che, diversamente dal passato, oggi cresce meno commentando i fatti sportivi del giorno nei bar, e assai più cercando regolarità empiriche ed evidenze scientifiche nei laboratori e nelle aule universitarie. A tale professionalizzazione in atto il volume contribuisce offrendosi come solida base, sia per operare scelte nell'organizzazione e comunicazione degli eventi sportivi, sia per attuare politiche rivolte alla salute e al leisure della popolazione.
Le scienze sociali hanno cominciato solo di recente a occuparsi in maniera sistematica dello sport come fenomeno di azione collettiva. In questa attenzione la definizione di attore (dal latino ago, cioè produrre significato) sportivo non è questione da poco. A seconda della definizione cambia il valore stesso che diamo allo sport come pratica sociale. Possiamo definire attore sportivo solo chi pratica uno sport, in qualunque forma e a qualunque livello di impegno personale? O è attore sportivo chi condivide una qualche cultura della competizione o della prestazione e si percepisce in quanto appartenente ad una società o una federazione? O sono attori sportivi i cittadini genericamente dediti a stili di vita attivi, i praticanti saltuari, i tifosi televisivi? Dare al termine un valore estensivo significa rimuovere il diaframma culturale, tecnico e metodologico che separa lo sport dalla cultura del movimento, che tiene distinta la competizione da una strategia più ampia di benessere collettivo. Per questo la questione non è oziosa. Questo libro, assumendo il valore più ampio del termine attore sportivo, riconquista lo sport alla sua dimensione sociale come pratica e metodo per fare cittadinanza attiva.