Ancora un libro sul corpo: perché? Perché al corpo oggi è assegnato un ruolo di primo piano nella scena della cultura, della politica, dei vissuti individuali. Ma questo protagonismo non lo ha reso più trasparente, ossia più comprensibile nel suo significato, anzi. Come accade con le realtà che si osservano da una distanza troppo ravvicinata, il corpo sembra perdere le giuste proporzioni sotto la lente della medicina, che rischia di considerarlo come semplice organismo - corpo fisico - e dell'estetica, che lo guarda come immagine, pura apparenza. Nell'uno e nell'altro caso, il corpo diventa un qualcosa da sottoporre a controllo e da modificare, nel tentativo di sottrarsi ai limiti del corpo paziente, in modo da dilatare infinitamente il desiderio individuale, di salute, di giovinezza, di bellezza, di vita o di morte. Ma la radicale concentrazione sul corpo porta inevitabilmente alla riduzione del mondo, che finisce per circoscriversi alle esigenze e ai vissuti soggettivi del solo corpo: da qui l'impoverimento delle relazioni personali. Occorre pertanto un'etica del corpo per saper accettare quella sua passività non evitabile o, meglio detto, per saper trasformare la passività in pazienza. Solo attraverso la pazienza, si riesce a decifrare il senso della vulnerabilità e addirittura a imparare da essa. Un'etica del corpo diventa pertanto anche una pedagogia del corpo, guida a quella realizzazione di sé inseparabile dalla crescita nella libertà responsabile.
La cura della salute, con una più acuta sensibilità alla qualità della vita, appare una nota distintiva della nostra epoca. Nella sua evidente valenza positiva, essa presenta anche innegabili ambiguità: mentre, infatti, spinge la ricerca biomedica verso traguardi sempre più esigenti, è però motivo di una diffusa preoccupazione nei confronti di tutto ciò che è considerato una minaccia al proprio benessere, come il dolore, la malattia, l’invecchiamento. Ed ecco il paradosso: l’imperativo della salute ad ogni costo, anziché provocare una maggiore sicurezza, si sta trasformando in fonte di una nuova insicurezza, che rischia di identificare la felicità con la salute, la dignità della vita con la qualità della vita. D’altra parte, gli interrogativi sui significati di esperienze cruciali come il dolore, la malattia, la morte, rischiano di rimanere irrisolti, se le risposte si affidano soltanto alla scienza biomedica o alla tecnica. Diventa allora quanto mai importante, in particolare per chi svolge una professione di cura, la riflessione antropologica, premessa necessaria a qualsiasi riflessione bioe-tica. Chiedersi chi è veramente l’uomo appare indispensabile per cogliere il bisogno di senso che egli manifesta universalmente nell’affrontare il vivere e il morire, la sofferenza e la cura.
Corporeità e dolore, salute e malattia, vecchiaia e morte, cura e compassione, sono le questioni affrontate nel saggio, non con la pretesa di fornire soluzioni, ma di offrire un’occasione per comprendersi e per comprendere.