"I cristiani e l'Impero romano" della storica Marta Sordi ha mutato la percezione del rapporto fra i discepoli di una nuova religione e la Roma imperiale: il rapporto di incontro-scontro tra il cristianesimo e il potere politico viene colto qui in tutta la sua complessità. L'autrice dà vita a un'esauriente sintesi storica dei tre secoli circa che vanno dall'ingresso del cristianesimo nell'Impero romano alla conversione di Costantino. Il rapporto tra la nuova religione e il potere politico appare articolato e complesso: i cristiani furono spesso avvertiti come pericolo e fonte di instabilità per la pax romana, ma, ciononostante, il confronto e lo scontro tra le due culture diede vita a relazioni multiformi, intessute tanto di persecuzioni quanto di incontri costruttivi e possibilità di convivenza. Scrive Marta Sordi nella Prefazione: «Dopo la svolta neroniana del 62 le persecuzioni ci furono e i martiri furono numerosi, ma lo scontro non fu quasi mai a livello politico: né da parte dei Cristiani, che continuarono ad affermare, anche durante le persecuzioni, il loro lealismo verso l'impero e a proclamarsi buoni cittadini di esso, né da parte dell'impero, che non avvertì quasi mai nei Cristiani un pericolo per la sua sicurezza e che si ridusse spesso ad essere il braccio secolare del fanatismo religioso delle folle e di una cultura intollerante».
Nei tre secoli circa che vanno dall'ingresso del cristianesimo nell'impero alla conversione di Costantino, il rapporto tra la nuova religione e il potere politico appare articolato e complesso: i cristiani furono spesso avvertiti come pericolo e fonte di instabilità per la pax romana, rappresentando una minaccia alla legittimità del potere costituito. Ciononostante, diverse furono le occasioni di confronto e di scontro tra le due culture - pagano-imperiale e cristiana - dando vita a relazioni multiformi che, anziché di rigida opposizione, furono portatrici di ostilità e pacificazioni, intessute tanto di persecuzioni quanto di incontri costruttivi e possibilità di convivenza. Marta Sordi presenta la capacità del primo cristianesimo di confrontarsi con le altre religioni e culture dell'impero, e di esprimersi ugualmente tanto nei periodi di pace quanto in quelli di ostilità, dando vita a un'esauriente sintesi storica che ben ricostruisce la complessità di un'epoca in cui i cristiani non conobbero unicamente martirio e vita clandestina, né tranquilla pace turbata solo qua e là da marginali episodi di persecuzione.
Nei tre secoli circa che vanno dall'ingresso del cristianesimo nell'impero alla conversione di Costantino, il rapporto tra la nuova religione e il potere politico appare articolato e complesso: i cristiani furono spesso avvertiti come pericolo e fonte di instabilità per la pax romana, rappresentando una minaccia alla legittimità del potere costituito. Ciononostante, diverse furono le occasioni di confronto e di scontro tra le due culture - pagano-imperiale e cristiana - dando vita a relazioni multiformi che, anziché di rigida opposizione, furono portatrici di ostilità e pacificazioni, intessute tanto di persecuzioni quanto di incontri costruttivi e possibilità di convivenza. Marta Sordi presenta la capacità del primo cristianesimo di confrontarsi con le altre religioni e culture dell'impero, e di esprimersi ugualmente tanto nei periodi di pace quanto in quelli di ostilità, dando vita a un'esauriente sintesi storica che ben ricostruisce la complessità di un'epoca in cui i cristiani non conobbero unicamente martirio e vita clandestina, né tranquilla pace turbata solo qua e là da marginali episodi di persecuzione.
L'esigenza a cui la ricerca storica risponde è un'esigenza umana fondamentale: quella della conoscenza certa di ciò che l'uomo ha fatto o subito nel passato. Il problema è, in fondo, identico per la storia antica come per la storia contemporanea: perché il fatto, l'avvenimento, sia quello del giorno prima come quello di tremila anni fa, una volta posto non esiste più, se non nella testimonianza di chi l'ha vissuto, nelle tracce che ha lasciato, nelle conseguenze che ha provocato. Col termine «storia» le lingue neolatine indicano due concetti che gli antichi tenevano ben distinti: «i fatti realmente avvenuti», che i latini chiamavano res gestae, e il ricordo e la conoscenza di tali fatti: memoria e bistorta rerum gestarum.
Questa esauriente sintesi storica ricostruisce la complessità di un'epoca in cui i cristiani non conobbero unicamente martirio e vita clandestina, né tranquilla pace turbata solo qua e là da marginali episodi di persecuzione. Viene presentata la capacità del primo Cristianesimo di confrontarsi con le altre religioni e culture dell'impero, di esprimersi egualmente nei periodi di pace e in quelli di ostilità. Il rapporto con il potere politico, anziché di opposizione connaturata, fu portatore di ostilità e di pacificazioni, intessuto di persecuzioni e di incontri costruttivi, di possibilità di convivenza. Alla prima edizione di questo volume, pubblicata nel 1984 e più volte ristampata, segue ora l'edizione aggiornata e rielaborata.
La storia della Grecia dall'età arcaica all'inizio dell'Ellenismo è, per la stessa natura geografica della penisola ellenica, tutta protesa sul mare, per la presenza delle sue colonie sulle coste del mar Nero, dell'Asia Minore, dell'Africa, della Sicilia, della Spagna, della Gallia e dell'Italia, una storia del Mediterraneo. Tra la fine dell'VIII e la fine del IV secolo a.C. il Mediterraneo vide gli albori, lo sviluppo, lo splendore, il declino di quella civiltà che noi chiamiamo classica.
Il problema dei rapporti fra la guerra e il diritto, teorizzato dai Romani nella concezione del bellum iustum, affonda le sue radici, prima che nella propaganda degli stati, nella coscienza religiosa dei popoli: l’uccisione dell’uomo da parte dell’uomo è sempre oggetto di orrore presso i Greci e i Romani, ma diventa necessaria, e perciò giustificabile, quando lo esige la difesa propria e degli altri. Solo la necessità di respingere un’aggressione rende legittima l’uccisione di altri uomini e la guerra, ma, anche in questo caso, il sangue versato va in qualche modo espiato davanti alla divinità.
Questo breve saggio della grande studiosa dell'antichità affronta un passaggio della storia dell'impero romano che produce una svolta decisiva nell'età antica: l'avvento al trono di Valentiniano I segna, nella storia dell'impero romano - che la fondazione di Costantinopoli e la disastrosa campagna di Giuliano avevano sbilanciato verso Oriente -, l'ultima affermazione dell'Occidente. Con la scelta di Valentiniano di fare di Milano la capitale, l'impero romano-cristiano (la definizione è di Agostino nel De gratia Christi) prende coscienza di sé e assume nuovi simboli: questa nuova concezione dell'impero trova il suo interprete e il suo teorizzatore più autorevole in Ambrogio. L'arco temporale preso in esame dalla studiosa recentemente scomparsa, è quello che segue la fine della dinastia di Costantino e si spinge fino alla morte di Teodosio, un periodo di trent'anni circa, dal 364 al 395, durante il quale, pur essendo presenti già i sintomi della crisi, l'impero romano retto da grandi personalità mantiene il suo vigore e la sua capacità di resistenza, continuando a governare per buona parte del V secolo.
"Tra le lettere di San Paolo, la lettera a Filemone, con la sua estrema brevità e con il suo carattere pratico, è, in un certo senso, atipica: essa interpella più lo storico che il teologo e l'esegeta, perché rivela il comportamento concreto dell'Apostolo di fronte ad un problema che è di estrema importanza per lo studioso del mondo antico:il problema della schiavitù. E' pertanto mia intenzione di affrontare da storica, e soltanto da storica, la presentazione e il commento di questa lettera, dando spazio soprattutto al confronto fra il pensiero di Paolo e il comportamento da lui adottato nei confronti di un problema concreto posto dalla schiavitù (la fuga di uno schiavo e la sua restituzione al padrone) e il pensiero e la prassi del mondo greco e romano" . Dall'introduzione dell'Autore