Le concezioni naturalistiche si caratterizzano per avere sempre assunto il fatto quale fondamento oggettivo, come se esso fosse autonomo e autosufficiente, cioè non in relazione al soggetto che lo rileva. Di contro, la prospettiva metafisica, intesa in senso non dogmatico, ha riconosciuto che solo l'assoluto può valere quale autentico fondamento, ancorché esso non sia determinabile proprio perché assoluto. Per approfondire le aporie della concezione naturalistica, alla luce della prospettiva metafisica qui delineata, questa ricerca tematizza il ruolo svolto dall'atto di coscienza. Infatti, l'atto di coscienza, che è illuminato dal fondamento, dispone l'esperienza su tre livelli. Il primo livello è quello percettivo-sensibile, nel quale il dato appare come indipendente e, per questo, originario. Il secondo è quello concettuale-formale, nel quale si rivela la struttura costitutiva del dato, cioè la relazione che lo vincola a ogni altro dato e al soggetto cui è dato. Il terzo livello è quello trascendentale, nel quale la relazione non viene più intesa come nesso tra dati, ma come il riferirsi intrinseco di ciascuno, che fa di ogni dato un segno di quell'unico significato che emerge oltre l'esperienza ordinaria.
L'intentio Dei è l'esigenza di verità che anima la coscienza e la spinge oltre tutto ciò che è finito. Cogliere il limite delle cose equivale a trascenderle e la coscienza, nel cogliere anche il proprio limite, trascende se stessa. La verità non è soltanto il fine della tensione, ma costituisce anche ciò che la suscita e la orienta, così che l'intentio Dei è la presenza dell'infinito nel finito. È il Cristo stesso, perché indica il morire all'ego, che si attacca a sé e al mondo, per risorgere come spirito, il quale tende all'uno e intende essere uno con l'Uno, affidandosi e confidando in esso.