Parlare della donna significa spesso, oggi, soffermarsi sulle discriminazioni cui va incontro, sulla necessità di fare altri passi importanti nel campo dell'uguaglianza con l'uomo, sulla preoccupazione per l'escalation della violenza di genere. Molto cammino ci aspetta ancora, ma un aiuto prezioso può arrivarci da una strada finora poco percorsa, che supera gli stereotipi dei luoghi comuni e rovescia i termini della questione: non si tratta di promuovere la rincorsa della donna a essere 'come l'uomo', ma di evocare l'identità femminile come risorsa anche per l'uomo e per la società. Partendo dalla teoria psicoanalitica della donna come portatrice di un'apertura che crea varchi nella realtà ordinata e regolata dallo sguardo maschile, Francesco Stoppa costruisce un'originale riflessione su come l''anomalia' femminile, con la sua capacità di accogliere l'inatteso, di tracciare solchi e aprire spazi di incontro, possa rappresentare un modello diverso di approccio alla vita e di costruzione dei legami. Questa diversità della donna oppone infatti all'autoreferenzialità e alla semplificazione maschile l'esercizio di civiltà che consiste nel dare ospitalità a tutto ciò che non entra mai a regime, ma in cui riposano i tratti più autentici dell'umano. È come il comune 'gioco del quindici', ci suggerisce sorridendo Stoppa, dove è la casella assente a far funzionare tutto, a permettere, per il fatto di essere vuota, il movimento delle altre. Ed è come la costola perduta di Adamo: una 'rottura', una perdita di equilibrio, capace di riportare all'uomo un surplus di vita. «Questo è una donna per l'uomo: il precipitato, la forma, certo effimera ma per i suoi effetti miracolosa, grazie a cui il richiamo della vita, il suo mistero, trovano di che incarnarsi. La vita di cui allora possiamo anche cessare di avere paura, che possiamo accogliere in noi fino a prendercene cura, fino a esserle grati di aver interrotto il nostro sonno senza sogni».
Perché le nostre istituzioni - anche quelle fondamentali come la politica, la scuola, la sanità, i servizi sociali - ci sembrano spesso così lontane dai cittadini, dalle loro esigenze, dalla vita reale? È ancora possibile per loro stringere un nuovo patto con la comunità o sono condannate a rimanere confinate nell'autoreferenzialità, consegnate alla logica della programmazione e del controllo, se non dell'utile e del profitto? Educare, curare, governare non sono attività standardizzabili, assimilabili a quelle di una macchina impersonale, ma si interfacciano costantemente con l'imprevedibilità e l'eccedenza della vita, soprattutto nei suoi passaggi dolorosi come la malattia, il disagio, la violenza. Avvicinarsi a questa anima inquieta, al corpo pulsante della comunità non è possibile se si muove da strategie predefinite e da azioni pianificate all'interno di più o meno improbabili cabine di regia. Occorre invece 'entrare nel rischio' e dare ospitalità anche - e in primo luogo - alle manifestazioni più recalcitranti della natura umana che chiedono sempre, oltre che di essere ascoltate, di essere aiutate a definirsi, di essere dotate di confini entro cui esprimersi, e a volte addirittura di ricevere una voce e un nome che da sole non sanno darsi. C'è bisogno, insomma, che le istituzioni diventino il vero e proprio 'genius loci' chiamato a vigilare sul buon equilibrio di un territorio e della comunità che lo abita, aperto nei confronti delle energie vitali che vi circolano.
"Le persone della mia generazione vivono nell'inconscia convinzione che il mondo finirà con loro": da qui prende il via un'originale lettura dell'infanzia e dell'adolescenza, delle contraddizioni degli adulti d'oggi e del disagio moderno. Qual è il prezzo di essere figli in una società immobilizzata nel suo eterno presente, a contatto con genitori tanto premurosi quanto distratti e per nulla disposti a farsi da parte? Ma non è un bollettino delle catastrofi: lungo vie marginali, invisibili allo sguardo scettico degli adulti, una nuova generazione sta già tracciando inediti sentieri di rivitalizzazione del mondo e di restituzione dell'eredità ricevuta.