L'Italia è il Paese dei misteri. I colpevoli delle stragi non sono mai stati trovati né sono mai stati puniti. Tutto viene insabbiato e non si riesce mai a trovare il bandolo della matassa per chiudere definitivamente la stagione dolorosa delle bombe, la cosiddetta 'strategia della tensione', e consegnarla alla storia. Ogni volta sembra di ricominciare da capo: piazza Fontana, piazza della Loggia e stazione di Bologna sono soltanto alcune delle tappe di una laica via crucis che non ha mai fine e su cui ogni anno emergono particolari, false piste, rivelazioni vere o false. Se però sbirciamo oltre il muro delle tante assoluzioni, le cose non stanno proprio così. Ormai le testimonianze e le carte ci permettono di ricostruire con precisione quanto è successo in quella fase storica. Se Pasolini, in un suo articolo molto famoso, scriveva «io so, ma non ho le prove», ora possiamo dire che sappiamo e abbiamo le prove, di molto, se non di tutto, e spesso possiamo pure fare nomi e cognomi di esecutori e mandanti.
Un'Italia, quella della seconda metà del Novecento, che si è mossa tra le lacune dei depistaggi e le condotte spesso equivoche dei servizi segreti. Benedetta Tobagi racconta, sullo sfondo delle stragi, la dialettica tra intelligence, magistratura e potere esecutivo dalla P2 alla caduta del Muro. "Segreti e lacune", valendosi di documentazione d'intelligence declassificata in larga parte inedita, indaga i conflitti tra magistratura, servizi segreti e potere esecutivo nel corso dei processi per le grandi stragi terroristiche (1969-80), nel periodo compreso tra la riforma dei servizi segreti del 1977 e la metà degli anni Novanta, quando cioè l'Italia riemerge dal terremoto politico della fine della Guerra fredda. A partire da qui affronta temi più ampi, quali l'annoso problema di come esercitare un controllo democratico effettivo sull'attività dei servizi e insieme le possibilità e i limiti della ricostruzione storica di vicende dell'Italia repubblicana in cui la dimensione politica si intreccia a quella criminale: ovvero come affrontare con metodo rigoroso anche gli aspetti indicibili e la dimensione occulta della politica. In Italia i processi per le grandi stragi terroristiche, durati decenni e terminati spesso con assoluzioni generalizzate, costituiscono un terreno d'indagine perfetto per analizzare la conflittualità permanente tra magistratura e servizi segreti. In ciascuno di essi si manifestano infatti lentezze, gravi distorsioni e depistaggi veri e propri, messi in atto dagli organismi d'intelligence e da altre forze di sicurezza, operanti a servizio dell'esecutivo. Con la legge di riforma dei servizi del 1977 (varata proprio sull'onda degli scandali connessi alle stragi), che introduce per la prima volta un controllo politico e parlamentare sull'intelligence e insieme revisiona la disciplina del segreto di Stato, cresce l'attenzione pubblica, e insieme l'ipocrisia istituzionale, su questi temi. Il focus sugli anni Ottanta di questo libro consente di osservare nella pratica i limiti di questa pur importante e per molti versi innovativa legge di riforma, che aveva suscitato grandi speranze ben presto dissipate dallo scandalo P2. Nonostante la fine della Guerra fredda, con il corollario della «doppia lealtà» delle forze di sicurezza, depistaggi e degenerazioni nel funzionamento dell'intelligence continuano a riproporsi. "Segreti e lacune", prendendo in esame le mentalità, i motivi e i meccanismi che ostano alla trasparenza, nonché la fisiologia e patologia dei rapporti tra intelligence e potere politico, delinea le radici di questa continuità dai risvolti drammatici.
Le donne furono protagoniste della Resistenza: prestando assistenza, combattendo in prima persona, rischiando la vita. Una «metà della Storia» a lungo silenziata a cui Benedetta Tobagi ridà voce e volto, a partire dalle fotografie raccolte in decine di archivi. Ne viene fuori un inedito album di famiglia della Repubblica, in cui sono rimesse al loro posto le pagine strappate, o sminuite: le pagine che vedono protagoniste le donne. "La Resistenza delle donne" è dedicato «A tutte le antenate»: se fosse una mappa, alla fine ci sarebbe un grosso «Voi siete qui». Insieme alle domande: E tu, ora, cosa farai? Come raccoglierai questa eredità? La storia delle donne italiane ha nella Resistenza e nell'esperienza della guerra partigiana uno dei suoi punti nodali, forse il più importante. Benedetta Tobagi la ricostruisce facendo ricorso a tutti i suoi talenti: quello di storica, di intellettuale civile, di scrittrice. "La Resistenza delle donne" è prima di tutto un libro di storie, di traiettorie esistenziali, di tragedie, di speranze e rinascite, di vite. Da quella della «brava moglie» che decide di imbracciare le armi per affermare un'identità che vada oltre le etichette, alla ragazza che cerca (e trova) il riscatto da un'esistenza di miseria e violenza, da chi nell'aiuto ai combattenti vive una sorta di inedita maternità, a chi nella guerra cerca vendetta e chi invece si sente impegnata in una «guerra alla guerra», dalle studentesse che si imbarcano in una grande avventura (inclusa un'inedita libertà nel vivere il proprio corpo e a volte persino il sesso), alle lavoratrici per cui la lotta al fascismo è la naturale prosecuzione della lotta di classe. Tobagi racconta queste storie facendo parlare le fotografie che ha incontrato in decine di archivi storici. Ne viene fuori quasi un album di famiglia della Repubblica, ma in cui sono rimesse al loro posto le pagine strappate, o sminuite: le pagine che vedono protagoniste le donne. Un libro che possiede il rigore della ricostruzione storica, ma anche una straordinaria passione civile che fa muovere le vicende raccontate sullo sfondo dei problemi di oggi: qual è il ruolo delle donne, come affermare la propria identità in una società patriarcale, qual è l'intersezione tra libertà politiche, di classe e di genere, qual è il rapporto tra resistenza civile e armata, tra la scelta, o la necessità, di combattere e il desiderio di pace?
Giona è uno strano tipo di profeta, un uomo in fuga dal proprio compito e dal proprio destino, refrattario alle richieste del suo Dio. La sua storia mette in scena, in quattro brevissimi capitoli, un'esperienza universale: per ciascuno di noi esiste una chiamata e affrontarla è una delle sfide più importanti della nostra vita.
"L'importante è che la maestra sia brava": ecco il mantra che guida i genitori nella scelta della scuola dei propri figli. Sì, ma se poi in classe ci sono dei bambini stranieri? Potrebbero rallentare il programma... Per farla finita con i luoghi comuni (e i timori incontrollati) che serpeggiano fra i banchi, Benedetta Tobagi è andata a vedere cosa succede nelle scuole primarie. Scuole pubbliche, ovviamente. Un viaggio che è cominciato ad Amatrice, l'ombelico d'Italia, e ha toccato Roma, Brescia, Ancona, Torino, i paesini della bassa mantovana, ma anche realtà più di frontiera come Udine e Palermo. In Italia ci sono molti maestri e dirigenti bravissimi, ma la buona volontà non basta a far funzionare bene una scuola. I bambini stranieri in realtà si rivelano una ricchezza, non un ostacolo. Crescere e studiare in una classe mista permette di conoscere una porzione di mondo più grande. "È come fare un Erasmus stando a casa" e infatti capita a Palermo che studenti universitari e "minori stranieri non accompagnati" frequentino insieme gli stessi corsi di italiano. A Genova e Milano invece uno dei momenti più attesi dagli alunni è la condivisione di parole e storie legate al proprio Paese d'origine. Ci sono scuole che cercano di ampliare l'offerta formativa specializzandosi nello sport o nella musica, altre che istituiscono attività extra senza chiedere costi aggiuntivi ai genitori.
"L'importante è che la maestra sia brava": ecco il mantra che guida i genitori nella scelta della scuola dei propri figli. Sì, ma se poi in classe ci sono dei bambini stranieri? Potrebbero rallentare il programma... Per farla finita con i luoghi comuni (e i timori incontrollati) che serpeggiano fra i banchi, Benedetta Tobagi è andata a vedere cosa succede nelle scuole primarie. Scuole pubbliche, ovviamente. Un viaggio che è cominciato ad Amatrice, l'ombelico d'Italia, e ha toccato Roma, Brescia, Ancona, Torino, i paesini della bassa mantovana, ma anche realtà più di frontiera come Udine e Palermo. In Italia ci sono molti maestri e dirigenti bravissimi, ma la buona volontà non basta a far funzionare bene una scuola. I bambini stranieri in realtà si rivelano una ricchezza, non un ostacolo. Crescere e studiare in una classe mista permette di conoscere una porzione di mondo più grande. "È come fare un Erasmus stando a casa" e infatti capita a Palermo che studenti universitari e "minori stranieri non accompagnati" frequentino insieme gli stessi corsi di italiano. A Genova e Milano invece uno dei momenti più attesi dagli alunni è la condivisione di parole e storie legate al proprio Paese d'origine. Ci sono scuole che cercano di ampliare l'offerta formativa specializzandosi nello sport o nella musica, altre che istituiscono attività extra senza chiedere costi aggiuntivi ai genitori.
"Hanno ucciso papà. Ma queste cose succedono nei film, non può essere vero. I compagni dell'asilo non mi credono. Allora insisto: 'Hanno ammazzato papà, gli hanno sparato, bum! bum! bum! con la pistola' e mimo con le dita la forma dell'arma. Una P38". Walter Tobagi è morto a Milano il 28 maggio 1980, assassinato sotto casa da una semisconosciuta formazione terroristica. Era una delle firme piú prestigiose del "Corriere della Sera". Aveva trentatre anni. La figlia Benedetta aveva tre anni. Era lí. Oggi Benedetta vuole capire. Con forza, con delicatezza, ricostruisce la figura pubblica e privata del padre in un racconto che intreccia spietate vibrazioni intime ad analisi storiche lucide e rigorose. Cercando di comprendere cos'erano gli anni Settanta. Un libro tenero e terribile in cui batte il cuore di un padre ritrovato.
Manlio lavora in fabbrica fin da ragazzo; Livia studia per diventare insegnante. Quando si incontrano e si innamorano decidono di condividere tutto. Anche la mattina del 28 maggio 1974, in piazza della Loggia, sono insieme. Per puro caso, però, quando la bomba scoppia, Manlio sopravvive. Livia no. Da quel giorno, per Manlio Milani, inizia una seconda vita tra aule di tribunali, aspettando una giustizia che non è mai arrivata, collezionando frammenti di una verità sempre incompleta. Benedetta Tobagi - il cui padre è stato ucciso esattamente sei anni dopo la strage di Brescia - decide di sedersi accanto a Manlio, per provare, udienza dopo udienza, a raccontare la sua vita e quella di chi, come lui, ha vissuto quella stagione di lotte politiche e di risate, di discussioni estenuanti e di scioperi, di serate fra amici, di bombe e sotterranei tentativi di golpe, di paura e speranze. E quando trentasei anni dopo ascolta con Manlio l'ennesima sentenza di assoluzione, capisce cosa vuol dire provare rabbia e impotenza verso chi ha nascosto e manipolato la verità. Benedetta Tobagi compie un viaggio nei misteri recenti della storia italiana, rivisitando il capitolo rimosso della violenza neofascista, pronta, ancora una volta, a cercare di capire cosa furono quegli anni e a fare in modo che una strage non si riduca semplicemente a un luogo e una cifra: il numero dei morti.
Walter Tobagi è morto il 28 maggio 1980, gli hanno sparato alcuni membri di una semisconosciuta formazione terroristica di sinistra, la "Brigata XXVIII marzo". Tobagi era un giornalista del "Corriere della Sera", era uno storico e il presidente del sindacato dei giornalisti lombardi. Quando è morto aveva trentatré anni, il figlio Luca sette, Benedetta tre. Si può dire che Benedetta non ha conosciuto il padre, di lui conserva solo alcuni fotogrammi di ricordo e una grande incolmabile mancanza. Una volta cresciuta ha deciso di andare alla scoperta di questo padre immensamente amato, e ha provato a raccogliere ogni sua traccia. Ha scavato fra le carte pubbliche e professionali come fra quelle più intime e private, fra i libri letti e annotati, gli articoli, le pagine del diario, le lettere sentimentali. Ha ascoltato i ricordi di chi lo ha conosciuto: amici, familiari, politici, colleghi, la gente che lo ha incontrato solo di passaggio. Ha raccolto l'eredità, gli insegnamenti e le massime di vita del nonno Ulderico (che dalle povere campagne dell'Umbria si era spostato a Milano per garantire un futuro diverso all'unico figlio) sapendo leggere oltre le poche parole che lui era solito pronunciare. Le parole di un uomo forte e orgoglioso che ha seguito tutti gli appuntamenti di un lungo e a volte incomprensibile processo contro gli assassini del figlio. Benedetta ha letto e studiato tutti gli atti processuali, con rabbia, amarezza e tanta voglia di capire un periodo complesso come gli anni Settanta.
«Hanno ucciso papà. Ma queste cose succedono nei film, non può essere vero. I compagni dell'asilo non mi credono. Allora insisto: "Hanno ammazzato papà, gli hanno sparato, bum! bum!, con la pistola" e mimo con le dita la forma dell'arma. Una P38».
Walter Tobagi è stato ucciso a Milano il 28 maggio 1980. Gli hanno sparato sotto casa alcuni membri di una semisconosciuta formazione terroristica di sinistra, la «Brigata XXVIII marzo». Tobagi era un giornalista del «Corriere della Sera», era uno storico e il presidente del sindacato dei giornalisti lombardi.
Quando è morto aveva trentatre anni, il figlio Luca sette, Benedetta tre.
Si può dire che Benedetta non ha conosciuto il padre, di lui conserva solo alcuni fotogrammi di ricordo, qualche sguardo ritrovato e una grande incolmabile mancanza. Una volta cresciuta, ha deciso di andare alla scoperta di questo padre immensamente amato, e ne ha raccolto ogni traccia.
Per ricostruirne la figura pubblica e privata, Benedetta ha scavato fra le carte professionali come fra quelle intime. Ha riletto i suoi libri, gli articoli di giornale, le pagine di diario, gli appunti in cui il Tobagi storico riflette sulla situazione politica e le lettere sentimentali dove, giovane studente, cerca di affascinare una ragazza misteriosa.
Ha ascoltato i ricordi di chi lo ha conosciuto: i famigliari, gli amici, i politici, i colleghi del «Corriere», la gente che lo ha incontrato solo di passaggio e i molti personaggi, a volte ambigui o restii, che hanno incrociato la sua storia.
Ha letto e studiato gli atti processuali, con rabbia, amarezza e tanta voglia di capire un periodo complesso come gli anni Settanta; ancor più difficile da comprendere per chi in quegli anni nasceva. E lo ha analizzato con rigore, cercando il distacco dello storico.
Ne nasce un libro tenero e terribile, in cui si muovono figure e personaggi, buoni e cattivi, potenti e innocenti; in cui riecheggiano voci forti e silenzi senza fondo, gioie famigliari perdute e ferite mai rimarginate. E dove si intrecciano analisi storiche lucide e dettagliate e, per questo, spesso desolanti.
Il racconto possiede una forza narrativa che fa parlare i vuoti, una voce solida e vibrante che scandaglia i confini tra zone di luce e zone d'ombra, alla ricerca di una verità che sembra sempre sfuggire dalle mani.