La idea de esta obra surge del coloquio 'Dios en el siglo veintiuno' que se celebró en Lebanon Valley College en 2005. Entonces se apostó por establecer una serie de entrevistas con Gianni Vattimo y John D. Caputo ya que se tratan de dos de las voces más representativas en dos distintos modos de entender tanto la relación entre religión y la sociedad como la vigencia del pensamiento teológico.
A través de los textos y los diálogos de Después de la muerte de Dios, John D. Caputo y Gianni Vattimo exploran los cambios, distorsiones y reformas que configuran nuestra fe posmoderna y las fuerzas que constituyen el fenómeno de la religión en el mundo de hoy. Vinculando sus argumentos a cuestiones como el terrorismo y el fanatismo, y desde la política hasta los medios de comunicación y la cultura en general, estos pensadores alumbran en camino hacia una nueva filosofía de la religión.
En 1966, la revista Time sacó en portada la frase: ¿ha muerto Dios? El número, que se convirtió en el más vendido hasta la fecha, marcó un antes y un después en la popularización de esta pregunta. Antes, los pensadores más importantes ya se habían hecho esta pregunta: Kant, Nietszche, Dostoyevski, Marx, Freud y algunos más actuales como Michael Hardt o Toni Negri.
Las visiones de Vattimo y Caputo nos guían por cómo nos hemos ido desplazando del escepticismo religioso propio de la modernidad a una supuesta readhesión a la religión en el mundo posmoderno.
Frente a Vattimo, Caputo remitirá su filosofía de la muerte de Dios a la crítica reconstructiva. Frente a Caputo, Vattimo ofrecerá su interpretación de la muerte de Dios y los procesos modernos de secularización como una fiel recuperación del cristianismo kenótico y una reorientación hacia la auténtica esencia de la fe cristiana.
Desde la proclamación de la muerte de Dios, y desde la secularización hasta el retorno de la religión, a lo largo del libro se brinda la oportunidad de pensar de otra manera el fenómeno religioso en la contemporaneidad.
Esta obra ofrece lo aparentemente imposible: una teología tras la muerte de Dios y una filosofía de la religión sin religión.
Da quando nella cultura italiana si è aperto il dibattito sulla "crisi della ragione", attraverso di esso si è preso atto del fatto che non c'è un filo unificatore della storia, un sapere globale che riesca a coordinare i saperi particolari in una visione "vera" del mondo. Molto spesso, però, se ne è preso atto per istituire affrettatamente nuove forme parziali di razionalità o per avallare improbabili "ritorni" a vecchi valori. Questo libro ha tentato di spingersi oltre. Più voci, provenienti anche da campi disciplinari diversi, non necessariamente consonanti tra loro, suggeriscono un approccio più radicale. Quello che qui, con espressione provvisoria, è stato chiamato "pensiero debole" è un tentativo di sfondare le resistenze che le immagini "forti" della ragione continuano a innalzare. Nietzsche e Heidegger vengono chiamati in causa e messi a loro volta in discussione. Soltanto se ci liberiamo davvero dei fantasmi dell'irrazionalità, potremo infatti cominciare a scorgere un'idea di verità più mobile, più frastagliata, più tollerante: forse meno rassicurante, ma certo più vicina alla nostra realtà, e dunque alla fine più utile. Testi di Gianni Vattimo, Pier Aldo Rovatti, Umberto Eco, Gianni Carchia, Alessandro Dal Lago, Maurizio Ferraris, Leonardo Amoroso, Diego Marconi, Giampiero Comolli, Filippo Costa, Franco Crespi.
I temi della fede e della religione, e del loro conflitto con la cultura laica, sono da qualche tempo al centro di un interesse mediatico crescente, alimentato anche dalle polemiche politiche suscitate dal moltiplicarsi degli interventi e delle "scomuniche" del papa e della Conferenza Episcopale Italiana contro la modernità. Mancava fin qui, tuttavia, un testo di discussione, da punti di vista diversi e reciprocamente problematici, sulle ragioni dell'ateismo e della fede. Un confronto tra gli esponenti di tre posizioni ideologiche molto lontane tra loro, accomunate però dal rifiuto di ogni appartenenza accademica: il cristianesimo nietzschiano del "pensiero debole" di Gianni Vattimo, la saggezza atea di una tradizione antica rilanciata da Michel Onfray e l'empirismo naturalistico-esistenziale della "filosofia del finito" di Paolo Flores d'Arcais. In questo insolito dialogo a tre voci emergono tutti gli interrogativi essenziali legati al problema, a partire da quello più generale: quali devono essere i rapporti tra filosofia e ateismo? L'"ipotesi Dio" deve ormai essere considerata superflua anche dalla riflessione filosofica, visto che le scienze ne fanno metodologicamente a meno? Quali sono le conseguenze etiche e politiche dell'essere atei o, all'opposto, credenti?
Si può diventare comunisti dopo il 1989? Esserlo già stati è un altro conto: ma diventarlo (o ri-diventarlo)? Per Vattimo è possibile e doveroso visto che nessuna terza o quarta via, accettando di fatto il sempre più rigido elitarismo del capitale, è in grado di invertire l'odierna deriva d'ineguaglianza, in Italia e nel mondo. Se infatti il suo itinerario intellettuale - che l'autore descrive come una "lunga marcia attraverso le opposizioni" - si è sempre svolto in prossimità delle sinistre, è però solo con la fuoriuscita dai Democratici di Sinistra nel 2004 che Vattimo ha finito pienamente per ritrovare le ragioni della critica marxista alla democrazia borghese, schierandosi contro la dirigenza dalemiana e contro ogni sbiadimento riformista. Una versione certo personale dell'ideale comunista, ma al contempo ancorata alla sua tradizione storica e alla sua fondamentale esigenza di equità. Un comunismo anarchico, libertario e antitotalitario, debole ma non "debolista", che si serva degli strumenti del "sovversivismo democratico", che sia in grado di rinunciare a un "economicismo" ormai moralmente ed ecologicamente insostenibile; un comunismo che valga non solo come ideale regolativo, ma anche come efficace linea-guida nella realizzazione storica di una società giusta e realmente democratica: è questa la scommessa che Vattimo affida a questo manifesto lucido e sfrontato, persino brutale nella sua franchezza.
Gianni Vattimo guida il lettore e lo studente alla comprensione del pensiero di Friedrich Nietzsche, offrendo gli strumenti critici essenziali per intendere l'opera del filosofo alla luce delle molteplici prospettive storiografiche.
Richard Rorty e Gianni Vattimo si incontrano per dialogare su un terreno comune, quello di una dimensione religiosa riscoperta sia all'interno della riflessione filosofica sia all'interno di un percorso personale. Approdano a questa riflessione da due biografie diversissime e da percorsi intellettuali differenti: quello della filosofia analitica e del pragmatismo americano di stampo anticlericale, e quello del cosiddetto "pensiero debole" inteso come esito della matrice ebraico-cristiana dell'Occidente. Entrambi, però, non si sottraggono alla meditazione intorno alla dimensione religiosa del singolo individuo, così come alla condizione della religione istituzionalizzata nell'epoca postmoderna e postmetafisica.
La filosofia di Nietzsche, spesso oggetto di letture improprie e talvolta devianti o limitative, è al centro di questo illuminante saggio di Vattimo. A suo avviso, il problema principale posto dal filosofo tedesco è quello della necessaria allegoricità e profeticità del pensiero. Analizzando la strumentalizzazione delle dottrine di Nietzsche a opera delle teorie nazionalsocialiste, Vattimo mette in luce, oltre ai punti di forza, anche le debolezze di un pensiero tutto incentrato sul tema della liberazione. Un'interpretazione di un classico che si offre anche come un'importante riflessione sull'attuale fase della ricerca filosofica.