In passato si riteneva che nella storia del cristianesimo nessun secolo come il XX avesse avuto tanti martiri. Eppure, gli ultimi decenni sembrano già smentire quel convincimento e tratteggiare scenari in cui si intrecciano violenza e dolore, rancore e sete di rivalsa. Non è dunque un caso che proprio oggi aumenti l’attenzione, anche mediatica, per questo tema e per le beatificazioni e canonizzazioni dei «nuovi» martiri (spesso associati in grandi gruppi, come i «testimoni autentici del Vangelo» durante le guerre civili e i regimi totalitari, per esempio in Spagna e in Albania). L’interesse, d’altra parte, sembra accrescersi anche perché la Chiesa ha confermato di voler dare una lettura sempre più integrata e completa della morte per fede e sta insegnando a riconoscere – oltre alla forma di un martirio affrontato per non abiurare – anche il sacrificio di quanti perdono la vita per la giustizia e la carità.
Il libro, fonti alla mano e uno sguardo preferenziale alle più recenti cause approdate agli onori degli altari, spiega che cos’è il martirio cristiano, approfondisce alcuni casi, illustra gli orientamenti dei pontefici e riflette sulla struttura antropologica ed etica che la morte per la fede presuppone e implica.
Aprile 1951. Nei boschi che circondano il corso del fiume Morava, tra Slovacchia e Austria, il giovane sacerdote salesiano Titus Zeman viene arrestato dalle forze di polizia della Cecoslovacchia comunista. Catturano, con lui, alcuni sacerdoti diocesani perseguitati dal regime e molti chierici, che egli accompagnava a Torino per sottrarli alla rieducazione ideologica e permettere loro di raggiungere il traguardo del sacerdozio.
Nell’imminenza della beatificazione di Titus Zeman la Postulazione ha preparato la biografia ufficiale del prossimo beato della Famiglia Salesiana, a cura della Dott.ssa Lodovica Maria Zanet, collaboratrice della Postulazione e redattrice della Positio super martyrio del Venerabile Servo di Dio.
Titus era nato a Vajnory – allora piccolo paese agricolo alla porta di Bratislava – nel 1915. Sarebbe morto – dopo 18 feroci anni di torture, vessazioni fisiche, psichiche e morali – l’8 gennaio 1969. Era stato marchiato come «uomo destinato all’eliminazione», condannato per alto tradimento e spionaggio (ma assolto con formula piena pochi mesi dopo la morte, in un Processo di revisione); e trattato infine come «cavia da esperimento». Aveva vissuto nelle carceri più dure, accanto ad assassini e altri ergastolani. Buono sportivo, chimico e professore di materie scientifiche, animo coraggioso e intrepido che non temeva i pericoli di un itinerario tra i boschi e le montagne, dalla Slovacchia sino all’Alto Adige, Titus amava la Chiesa come un madre, «dando se stesso per lei anima e corpo». La sua vicenda – che si intreccia a quella di molti altri testimoni sofferenti della fede del Secolo dei Totalitarismi cui, pure, queste pagine danno voce – si configura come un vero e proprio martirio per il sacerdozio e la salvezza delle vocazioni. Uomo di confine e di frontiera, sempre presente dove si giocava la “Grande Storia”, Titus Zeman interpella oggi ciascuno di noi. Chiedendoci per che cosa siamo disposti a vivere, e sino a che punto la verità, la bontà, la bellezza di Cristo e del Suo vangelo meritino una testimonianza fino al supremo sacrificio della vita.
Lodovica Maria Zanet, dottore di ricerca, è docente invitato di “Antropologia della santità” presso la Pontificia Università Salesiana di Torino-Crocetta e collaboratrice della Postulazione Generale della Congregazione Salesiana, con l’incarico di redigere le Positiones sulle virtù eroiche o il martirio dei candidati agli onori degli altari. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo La santità dimostrabile. Antropologia e prassi della canonizzazione (EDB 2016).
In quali occasioni sperimentiamo in modo particolarmente incisivo la nostra umanità? Ci sono aspetti del vivere in corrispondenza dei quali la conoscenza di noi stessi e degli altri assume tratti di singolare pregnanza? Quale che sia la specifica risposta data alla domanda, la tesi dell’Autrice è radicale: «occorre per prima cosa prendere in considerazione il sentire».
Dedicata a questo aspetto originario della vita e al correlato mondo degli affetti, l’opera, insieme ai più celebri esponenti della ricerca fenomenologica del Novecento, riflette sui modi in cui un ordo amoris si costituisce e si manifesta, identificandone le diverse forme e i differenti ritmi.
Dall’amore – ricordano concordemente Hildebrand, Scheler e Stein – l’identità umana resta segnata in modo indelebile, mentre è chiamata alla fatica della coerenza e a riconoscere la propria e altrui singolarità, altrimenti inattingibile alla conoscenza.
Letto come un ultimo risultato della sempre ricca e vitale scuola fenomenologica o interpretato come un esercizio personale, attento e profondo di ricerca del senso, Immagini del sentire fa notare ciò che ogni persona non può ignorare: l’esigenza di apprendere la propria “grammatica del sentire”, l’insieme dei modi genericamente “possibili” e quindi antropologicamente ammessi per strutturare, nella logica di ricettività e responsività, un’esistenza intera.
Il giudizio più vero e più pieno sulla vita e il sacrificio di Titus Zeman viene da chi l'ha conosciuto e di lui dice: "Era santo ed è morto martire". Le motivazioni per le quali ha agito nella sua vita sono state l'amore delle anime, il bene e la salvezza integrale della persona nel tempo e nell'eternità. Aveva lasciato detto: "Non considererei sprecata la mia vita, se anche uno solo dei giovani che ho aiutato è divenuto sacerdote al posto mio". Il 30 settembre 2017 è beatificato come martire a Bratislava, dopo che il 27 febbraio 2017 Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto di martirio.