Il tema del Simposio è un banchetto in casa del tragediografo ateniese Agatone in cui politici, filosofi e intellettuali parlano di Eros. È il medico Erissimaco che propone l'argomento, sostenendo che Eros, dio dell'amore, nonostante sia fra i più antichi e i più importanti, venga trascurato dai poeti. Poiché ognuno esprimerà il proprio pensiero, il tema verrà sviscerato a tutto tondo: come dio, come sentimento e come mito. Socrate sarà l'ultimo a prendere la parola rivelando, attraverso i misteri svelatigli dalla sacerdotessa Diotima, l'essenza dell'amore: una forza che spinge l'essere umano ad andare oltre il mondo sensibile per arrivare a quello intelligibile, al mondo delle idee.
Chi avrebbe supposto che zoppia e mancinismo - oltretutto associati nella stessa figura ideale - venissero portati a vanto del pensiero in atto, come le sue insegne più onorifiche? A compiere il gesto di giustizia che li riscatta dalla difettività è Michel Serres, epistemologo ultraottantenne così intrigato dall'attuale sconvolgimento del sapere da farsene il supremo cantore, con un'euforia lungimirante e contagiosa, con un'audacia concettuale ignota ai colleghi giovani o a chi rimane abbarbicato a un "umanesimo di opposizione", e con uno stile ruscellante evocatore di mondi, al pari di Lucrezio. Alle idee astratte Serres preferisce da sempre le figure sintetiche. Il mancino zoppo è l'eroe dell'"età dolce", la nostra, che nella riconfigurazione digitale dello spazio-tempo si lascia alle spalle la "dura" rigidità euclidea, cartesiana, metrica, abitando la dimensione utopica del possibile e recuperando il concreto attraverso il virtuale. Ma è anche il simbolo vivo di ogni lavorio della mente degno di questo nome, dalla notte dei tempi: pensare vuol dire infatti deviare dai tracciati, avanzare di traverso e un po' sghembi, rompere le simmetrie, afferrare il segreto di ciò che sarà domani con la stessa "formidabile inventiva dell'Universo in espansione". No, non c'è posto per il già formattato, secondo Serres. "Non conosco alcun metodo che abbia mai aperto la strada a qualche invenzione; né alcuna invenzione trovata con metodo".
Hao Wang ha raccolto in questo volume le sue riflessioni su alcuni dei temi al centro del dibattito che riguarda la conoscenza e la logica. Egli considera criticamente il nodo di questo discorso, in particolare il rapporto tra logica e matematica da un lato, e tra logica e filosofia dall'altro, giungendo a conclusioni che divergono in modo notevole da quelle usualmente accettate da posizioni accademiche quali la filosofia analitica o il neopositivismo. Il punto di vista dell'autore si fa strada attraverso una penetrante discussione di concetti matematici generali e attraverso la considerazione di problemi di ampio interesse come il rapporto tra mente e macchine, tra specializzazione e unità della conoscenza, tra scienza e filosofia. Quello che Hao Wang propone è un nuovo metodo di approccio a questi problemi, da lui denominato "fattualismo sostanziale", particolarmente adeguato a sviluppare una posizione filosofica più comprensiva, tale da non banalizzare o distorcere i fatti di vasta portata della conoscenza umana.
Questo discorso del 1843 è uno sviluppo del concetto di "edificante" successivo a La prospettiva della fede e si presenta come un commento alle parole dell'apostolo Giacomo: "Ogni dono buono, ogni dono perfetto è dall'alto". Queste introducono alla controversa questione della "teodicea" come coniugare il bene proveniente da Dio e il male del mondo - declinata dal filosofo danese in chiave "esistenziale", spiega Umberto Regina nell'Introduzione, ripartendo dalla caratteristica distintiva dell'uomo: l'esistenza. L'uomo in quanto esistente ha un rapporto edificante con Dio: rispetto all'Eterno si innalza senza mai unirsi completamente. All'idea, avanzata da alcuni filosofi moderni, di una compromissione di Dio nell'imperfezione del mondo Kierkegaard risponde con il salto della fede, somma possibilità donata all'uomo per vincere sul male.
Si tratta del più completo lavoro che concerne l'Epistemologia Genetica e che insieme a "Biologie et Connaissance" rappresenta le posizioni che Jean Piaget ha assunto nei confronti del problema della costruzione delle conoscenze. Gli scritti piagetiani riportati in questo lavoro sono parte di una vasta opera di 1345 pagine, nella quale hanno scritto alcuni tra i più illustri rappresentanti di varie discipline: dal premio nobel per la fisica Louis de Broglie a Seymour Papert, da Jean-Blaise Grize a Pierre Greco e molti altri studiosi del periodo compreso tra il 1950 ed il 1970. Le pagine di Piaget rappresentano un ottimo raccordo tra le varie forme di conoscenza discusse ed allo stesso tempo propongono un metodo per realizzare un modo nuovo di intendere la conoscenza, fondandola sulle nozioni di complessità, costruzione e dialettica. Da questo punto di vista il presente lavoro, dato alle stampe nel 1967, si rivela ancor oggi di una sorprendente attualità, fornendo suggerimenti ed interessanti ipotesi di lavoro.
Il testo qui presentato in traduzione italiana costituisce un documento di grande valore per un'approfondita comprensione della riflessione filosofico-scientifica e politica di Popper sin dai suoi inizi negli anni Venti del secolo XX. Nelle pagine di questo volume Popper ripercorre infatti pressoché tutte le tematiche affrontate nei suoi numerosi scritti - dal falsificazionismo e dall'induttivismo alla concezione evoluzionistica della conoscenza, dallo storicismo all'antitotalitarismo alla società aperta commentando, ora in modo simpatetico ora con notevole vis polemica, i contributi critici di molti importanti pensatori, scienziati e storici della cultura sulle sue concezioni. Le repliche di Popper ai suoi critici, oltre a fornire importanti precisazioni e articolazioni delle principali tesi del filosofo austriaco, offrono altresì un fondamentale quadro storico-teorico dei più importanti dibattiti filosofici, scientifici e politici del secolo XX, ancora vivi e centrali nel nostro tempo.
Le sfide contemporanee, derivanti dall'incontro plurale fra le culture, impongono un ripensamento dei modi in cui le religioni concorrono al progresso spirituale dell'uomo. A quale spazio possono ambire, nel discorso politico, le religioni? E, prima, possono pretenderne uno? Una laicità temperata, tollerante e fertile non può che passare per il dialogo inclusivo, unica via per mettere fuori gioco ogni dogmatismo, senza con ciò perdere quello che di buono la sensibilità religiosa può ancora offrire al pensiero umano.
In questo saggio breve Caffo prende spunto dal celebre "aforisma 115" che Nietzsche scrisse ne La gaia scienza, l'aforisma chiamato "i quattro errori": 1) che l'uomo si vede sempre e solo incompiutamente; 2) che l'uomo si attribuisce qualità immaginarie; 3) che l'uomo si sente in una falsa condizione gerarchica rispetto alla natura e agli animali; 4) che l'uomo inventa sempre nuove tavole di valori considerandole per qualche tempo eterne e incondizionate. Attraverso la rilettura di questi quattro errori fondamentali, a cui viene dedicato un capitolo ciascuno, Leonardo Caffo vuole spingersi oltre l'antropocentrismo e il superomismo verso una nuova e imponente immagine dell'umanità del futuro. Del destino umano è una brillante rilettura della filosofia nietzschiana che sorprende per la capacità di interpretare in modo lucido ed efficace le esigenze e i problemi della nostra contemporaneità e per immaginare un'umanità futura possibile e diversa da quella attuale. L'"impresa" filosofica di Caffo è allora quella di ridisegnare, a partire da Nietzsche ma in un certo modo superandolo, una figura umana "uguale e contraria" a quella del superuomo: il tentativo di costruire una "condizione postumana" capace di andare oltre il nichilismo e l'individualismo.
"Il lettore troverà qui raccolti i principali articoli che ho pubblicato sia in Francia che all'estero negli ultimi quindici anni. Questa raccolta fa così seguito a 'Il conflitto delle interpretazioni', che copriva il periodo degli anni Sessanta [...]. Dico anzitutto che l'ermeneutica - ovvero teoria generale dell'interpretazione - non ha mai finito di 'fare i conti' con la fenomenologia husserliana [...]. Passo poi a ricostruite gli ascendenti che l'ermeneutica contemporanea - cioè postheideggeriana - riconosce insieme alla sua ascendenza husserliana [...]. I testi della seconda serie illustrano meglio il tono irenico che mi concedo in quest'opera. A questo punto faccio dell'ermeneutica. Ho appena detto da dove vengo. Ora dico dove vado [...]. Ciò che mi ha maggiormente interessato nell'analisi semiotica o semantica dei testi, è il carattere paradigmatico della loro configurazione rispetto alla strutturazione del campo pratico nel quale gli uomini agiscono o subiscono. Certo, i testi - in particolare quelli letterari - sono insiemi di segni che hanno poco o tanto spezzato i loro ancoraggi con le cose che si ritiene designino. Ma, tra queste cose dette, ci sono uomini che agiscono e che soffrono; anzi, i discorsi sono a loro volta delle azioni; ecco perché il legame mimetico - nel senso più attivo del termine - tra l'atto di dire (e di leggere) e l'agire effettivo non è mai del tutto spezzato". (Dalla Prefazione di Paul Ricoeur)
Il terzo volume delle Opere di Sini (La scrittura e i saperi) è interamente dedicato al nodo che stringe le forme, i supporti e i contesti delle pratiche di scrittura ai saperi che in esse si costruiscono e istituiscono. In questo primo tomo (L'alfabeto e l'Occidente) è documentato il cammino genealogico attraverso il quale, tra gli anni Ottanta e i Novanta, l'autore è giunto a formulare una delle tesi più note e originali della sua filosofia: l'esercizio della scrittura alfabetica, con le sue specificità rispetto a ogni altra modalità grafica, è la condizione pratica che ha reso possibile la nascita dei saperi concettuali e "desomatizzati", su cui si fonda la nozione occidentale di verità. Il percorso verso tale nozione di verità, che è il centro dell'intera enciclopedia filosofico-scientifica, è ricostruito da Sini nei suoi passaggi cruciali, dal mondo dell oralità alle civiltà della scrittura, fino alla "invenzione" dell'alfabeto e alla nascita della "mente logica" come luogo in cui emergono i tratti di una episteme universale: anelito incompiuto, istanza illusoria o concreto esito planetario di quell'Occidente che, oggi quanto mai, chiede di essere nuovamente interrogato, nella sua determinatezza storica e nelle sue - troppo spesso obliate - operazioni fondative. Il ricco apparato delle Appendici raccoglie saggi e articoli che documentano la vastità di orizzonti entro i quali Sini ha condotto la sua indagine intorno alle diverse pratiche di scrittura.
Carl Schmitt è ancora oggi un pensatore che divide, ma è indubbio che nessuno come lui sia stato capace di pensare rotture e instaurazioni dell'ordine politico e giuridico. Jean-Francois Kervégan "riparte" da Cari Schmitt in due modi, da un lato prendendone congedo quando necessario, dall'altro cogliendo i concetti che ci aiutano a reinterpretare il mondo contemporaneo: perché Schmitt, dalla sua posizione esterna e anche ostile nei riguardi dei presupposti delle nostre riflessioni sulla società moderna, ci aiuta a comprenderne le contraddizioni e ad affrontarle meglio.
Mai forse Paul Ricoeur aveva affrontato un campo così vasto come in quest'opera. Egli stesso definisce la problematica del presente volume "il carattere temporale dell'esperienza umana". L'autore così precisa: "Esiste tra l'attività di raccontare una storia e il carattere temporale dell'esperienza umana una correlazione necessaria e universale. In altri termini il tempo diviene 'tempo umano' nella misura in cui è articolato in un racconto; e d'altro canto, il racconto raggiunge il suo pieno significato quando diviene una condizione dell'esperienza temporale. Il tempo è un aspetto dei movimenti dell'universo. Se non ci fosse nessuno per contare gli intervalli non ci sarebbe tempo. L'attività del racconto consiste nel costruire degli insiemi temporali: configurare il tempo". La storia è dunque protagonista della teoria della narratività esposta in questo primo volume. Tempo e racconto si apre con una doppia prospettiva: la prima ci porta verso la meditazione sul tempo di sant'Agostino, la seconda verso la teoria del racconto di Aristotele. Le due prospettive vengono tessute dall'autore in una trama di pensiero che dall'affermazione secondo cui il tempo umano è sempre un tempo raccontato si apre ai sentieri della comprensione del racconto nella sua doppia veste di storia e di fiction.