Lo studio prende in esame l'opera che Burke dedica all'India lungo tutto l'arco della sua vita parlamentare, passando dall'esaltazione della libertà del mercato indiano e la possibilità di carriera offerta dalle colonie a giovani di talento alla disillusione all'indomani del crack del 1769, quando dilaga la corruzione e il malaffare dei funzionari della Compagnia, indifferenti ai guasti che provocano al tessuto sociale indigeno. Attraverso la lente dell'India l'immagine di Burke riesce finalmente a liberarsi dell'armatura ideologica di pensatore reazionario e antilluminista che certa storiografia italiana gli ha cucito addosso a espiazione dei suoi scritti sulla rivoluzione francese.
Sono qui raccolti gli epistolari intercorsi fra tre importanti rappresentati della cultura italiana Giovanni Papini, Giovanni Gentile ed Eugenio Garin. I primi due hanno imparato a conoscersi fin dall'inizio del secolo; più tardi, si aprirà per loro una nuova stagione di confronti che vede coinvolto anche il giovane studioso Garin. Nelle loro interpretazioni, è l'azione umana a risultare un elemento caratteristico dell'età rinascimentale, anche se diversamente modulato. La prassi e la cornice in cui essa è inserita è il problema che sottende le letture dei tre autori: Papini innesta gli esiti migliori del pragmatismo su una forte esigenza religiosa personale per leggere il Rinascimento come età caratterizzata da un determinato tipo di artista che opera attraverso l'imitazione dell'attività creatrice del Padre; Garin vede garantita, nell'intreccio di ermetismo, neoplatonismo e dottrine dei padri, la possibilità di una dimensione attiva dell'uomo caratterizzata dalla libertà e dalla proiezione morale e civile; Gentile invece risolve la prospettiva dell'azione umana all'interno dell'attività creatrice del pensiero come processo di autoformazione e di autoconoscenza.
"Parlami di filosofia" nasce dalla curiosità di una ragazzina che vuole sapere che cos'è quella materia che suo padre insegna al liceo. Già, perché s'insegna così tardi e solo al liceo? Perché è difficile, si dice, e parlarne ai ragazzini sarebbe come banalizzarla. Un dialogo tra padre e figlia, che si snoda per una settimana, ogni giorno un posto e un argomento diverso. Una passeggiata al parco, al mercato, al cinema... tra i luoghi che siamo soliti frequentare. La filosofia è lì, a portata di mano, basta saperla cogliere. E lasciarsi trasportare.
Che cos'è la creatività? Perché nel corso della vita le nostre potenzialità creative rimangono spesso nell'ombra? Sullo sfondo di un'analisi comparativa tra le diverse interpretazioni e teorie sulla creatività, l'autore focalizza la sua ricerca sui processi mentali che sono all'origine delle intuizioni e "illuminazioni" creative. La creatività assume una funzione particolarmente significativa in rapporto ai nostri processi cognitivi, come l'intuizione, la percezione, il pensiero analogico, la simulazione, l'associazione di idee, la ricerca nel contesto di un problema strutturato, la rielaborazione personale, il pensiero critico. La creatività coinvolge non solo il profilo cognitivo e metacognitivo, ma anche l'orizzonte affettivo-motivazionale della nostra soggettività, costituito da sentimenti, intuizioni, emozioni, bisogni, pulsioni, passioni, desideri. Per dare un senso alla nostra vita è fondamentale riuscire ad esprimere le potenzialità creative connaturate nella nostra interiorità: esteriorizzare le motivazioni più profonde che segnano e scandiscono i "colori" della nostra anima. Il primo dovere di ognuno è nei confronti della propria coscienza, del proprio tempo interiore: "essere se stessi" nel rispetto della vita autentica.
Il volume è composto da tre parti strutturalmente ben differenziate che riguardano, rispettivamente, il biografico-intellettuale, le principali opere e il pensiero di fabbro. La seconda parte, quella più lunga, prospetta una presentazione lineare delle opere che può servire da segnavia tematico per uno studio delle medesime; la terza, invece, più sintetica, presenta in maniera più articolata i punti più rilevanti e caratteristici del pensiero fabriano, sulla base della panoramica fornita dalla parte precedente.
Chiude il libro l'articolo "Libertà e persona in S. Tommaso", nel quale Fabro si confronta con Fichte e soprattutto con Heidegger per il recupero dell'Io come primo principio esistenziale.
Per costruire una giusta integrazione nella società intra-religiosa e intra-culturale occorre rinnovare il rapporto tra religione e politica, dunque il concetto di laicità.
L'autore
Vittorio V. Alberti, docente di Filosofia presso la Pontificia Università Lateranense, giornalista, officiale del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, collabora con il Cortile dei Gentili, con l'Istituto L. Sturzo e con La Civiltà Cattolica, è direttore della rivista on-line Sintesi Dialettica.
DESCRIZIONE: Accostarsi alla filosofia dell’interculturalità significa sostare sui suoi termini andando oltre il senso comune. Filosofia: crediamo sia patrimonio indiscusso della Grecia antica e “amore per la sapienza”; ma si può ritenere questa definizione una prerogativa assoluta della filosofia della physis e dell’essere, da contrapporsi al pensiero cinese di dao e qi, o hindu di Atman-Brahman? Ci soccorre il concetto di intercultura, assunto qui nell’accezione più forte: la possibilità e la necessità del confronto, non solo di una contaminazione, fra le diverse culture. Il passo in più è porsi in prospettiva filosofica: ciò si traduce nel problematizzare i propri sistemi di riferimento, nel mettersi in discussione prendendo sul serio le domande altre: è l’indicazione di un cammino da compiere, che ha nell’altro l’attore principale. Il volume si scandisce in vie di accesso tematiche e coppie concettuali che invitano alla riflessione dialogica: rovesciare lo sguardo per cogliere le differenze, e la loro origine – l’essere uomini quale condizione che rende possibile pensare e sciogliere gli attriti.
COMMENTO: L'interculturalità è la sfida del presente. L'autore ne traccia i lineamenti confrontando i concetti chiave su cui si dividono la cultura occidentale e orientale, per stabilire invece la base di un dialogo: identità/differenze, proprio/estraneo, sapienza/saggezza...
MARCELLO GHILARDI svolge attività di ricerca presso l’Università di Padova. Tra le sue pubblicazioni più recenti: L’enigma e lo specchio. Il problema del volto nell’esperienza estetica contemporanea (Padova 2006); Una logica del vedere. Estetica ed etica nel pensiero di Nishida Kitaro (Milano-Udine 2009); Arte e pensiero in Giappone. Corpo, immagine, gesto (Milano-Udine 2012); Il visibile differente. Sguardo e relazione in Derrida (Milano-Udine 2012).
Questo libro presenta la ricostruzione - resa possibile dai manoscritti benjaminiani ritrovati da Giorgio Agamben nel 1981 nella Biblioteca nazionale di Parigi - del libro su Baudelaire cui Benjamin aveva lavorato negli ultimi due anni della sua vita, quando, interrompendo la stesura dei "Passages di Parigi", decide di trasformare in un'opera autonoma quello che all'inizio si presentava come un capitolo del libro. Attraverso un paziente lavoro di edizione e di montaggio, che alterna testi inediti ad altri già noti (che trovano solo ora la loro collocazione e il loro senso nell'opera complessiva), il libro permette di seguire la genesi e lo sviluppo, nelle varie fasi della sua stesura, del work in progress che costituisce la summa della tarda produzione benjaminiana. Mentre del libro su Parigi noi abbiamo poco più che lo schedario, "Charles Baudelaire. Un poeta lirico nell'età del capitalismo avanzato" offre un'immagine articolata e coerente, anche se frammentaria, del laboratorio benjaminiano e del suo metodo compositivo. Sfatando la leggenda di un autore esoterico, il libro ci presenta, nel suo stesso farsi, il modello di una scrittura materialista, in cui non soltanto la teoria illumina i processi materiali della creazione, ma anche questi ultimi gettano una nuova luce sulla teoria.
Il libro tenta di dare una risposta a uno degli interrogativi più controversi di oggi e di sempre: è possibile arrivare a una riconciliazione tra scienza e religione? Il testo si apre con un'affermazione di Plantinga, secondo il quale Cristianesimo e teorie evoluzionistiche sarebbero conciliabili perché non è da escludere, in via ipotetica, che la creazione divina sia avvenuta tramite un processo evoluzionista. Un'ipotesi, questa, recisamente smentita da Dennett, che dà il via a un dibattito che si chiude con l'affermazione di una tesi da parte di entrambi i filosofi... scoprite quale!
Spaemann affronta una delle questioni cruciali del dibattito filosofico contemporaneo - il rapporto tra natura e persona - in una prospettiva inconsueta rispetto alla tradizione classica, che lo ha spesso concepito secondo uno schema oppositivo. Egli considera infatti persona e natura in un intreccio unitario: la persona è certo coscienza che trascende i limiti di una natura fissa, ma essa si esprime sempre all'interno della naturalità che è propria dell'essere umano. Secondo l'autore è proprio dell'uomo avere una natura e non essere natura: per questa via si è in grado di superare ogni opposizione dualistica, riscoprendo l'unità fondamentale dell'uomo stesso. Nel suo cammino Spaemann sostiene l'importanza di un ruolo "comprensivo" della filosofia anche per il nostro tempo, al fine di superare ogni specialismo e rimanere fedeli al dovere tipico della filosofia di mettere in discussione il proprio stesso statuto. Questa prospettiva non mancherà di coinvolgere studenti e appassionati di filosofia e teologia, offrendo spunti anche su temi scottanti del dibattito pubblico come quelli relativi a fine e inizio vita.
Edizione commentata e ragionata del pensiero stoico nei cinquecento anni del suo sviluppo in Grecia e a Roma. Attraverso una selezione di testi e frammenti, l'autore fa da guida attraverso gli elementi di continuità e di contraddizione dello stoicismo, di cui mette in risalto anche gli aspetti meno indagati. Filosofia come cura dell'anima e sapienza di vita, il cui fine è quello di mostrare agli uomini che il tutto è molto più delle sue parti: che siano schiavi come Epitteto o imperatori come Marco Aurelio, essi devono imparare a vedere le cose dall'alto, con l'occhio dell'universo.