Tutta la filosofia di Derrida può essere letta come un ininterrotto seminario sul segno, sulla sua natura arbitraria e sulla sua impossibilità costitutiva di restituire la presenza nella sua integrità. La tesi principale del filosofo francese sostiene che il nostro linguaggio è contagiato dalla dispersione, dall’assenza, dalla perdita, dal rischio continuo di non essere supportato. Da una parte, la filosofia tenta invano di controllare lo spargersi incontenibile del suo significato, si batte contro la ruvida grana del linguaggio per offrire una pulita rivelazione della verità. Dall’altra la letteratura esibisce la sua insincerità, abbandonandosi al dionisiaco fermento del linguaggio. In questo saggio più che in altri, Derrida imbastisce un festoso modello di giochi di parole, rimandi, eco e allusioni destinati a decostruire sia la pretesa della critica di dire la verità sulla letteratura, sia quella della filosofia di annettersi l’attendibilità e la testamentarietà del testo letterario.
Machiavelli, Pascal: un accostamento inatteso, per più versi sorprendente. Machiavelli, frugando nella biblioteca di suo padre, scopre la casistica medievale e mette il rapporto tra la norma e l'eccezione al centro di un mondo inventato (la "Mandragola") e di quello in cui vive e agisce ("Il Principe"). Pascal, feroce avversario della casistica (soprattutto quella dei gesuiti), legge Machiavelli attraverso la lente di Galileo, e la realtà del potere attraverso Machiavelli. Un viaggio negli intrichi della lettura, sulle tracce di due lettori straordinari - e dei loro interlocutori, avversari, seguaci. Vi si affacciano personaggi famosi (Campanella, Galileo) visti dal loro censore, il domenicano Niccolò Riccardi, detto «Padre Mostro»; e personaggi meno noti, come Johann Ludwig Fabricius, al quale una lettura obliqua delle "Provinciali" di Pascal consente di proporre un'immagine inedita del «religiosissimo» Machiavelli. Un invito a leggere tra le righe, lentamente, testi cifrati, spesso criptici. Per anni Carlo Ginzburg ha lavorato su casi molto diversi tra loro, tutti però fortemente anomali. L'incontro con la casistica - ossia la tradizione, all'incrocio tra teologia e diritto, che riflette sulla tensione tra norma e anomalia, a partire da casi specifici - era forse inevitabile. Un tema insieme lontanissimo e vicino: ferita a morte da Pascal e resuscitata dalla bioetica, la casistica non smette di interrogarci, nei suoi risvolti tragici o grotteschi.
Affermare una teoria e vivere il contrario è una contraddizione, una menzogna, una libertà? E se un genio, maligno, animasse la produzione dei grandi pensieri? Rousseau scrive un trattato sull’educazione, non malgrado, ma grazie all’abbandono dei suoi cinque figli. Kierkegaard redige i suoi testi religiosi mentre vive da libertino. Simone de Beauvoir fonda la filosofi a del femminismo pur godendo di una relazione servile con il suo amante americano. Foucault celebra il coraggio della verità e organizza il segreto della sua malattia... Nessuna compensazione, ma scissione di un pensiero che nutre le sue idee con la forza del diniego. Chi siamo quando pensiamo? Molteplici, senza dubbio. Invece di denunciare le loro ipocrisie, François Noudelmann mostra come i grandi filosofi possano creare le loro personalità multiple grazie alle loro teorie. Analizza la menzogna più complessa, quella che si dice a se stessi, attraverso le angosce, le fughe e le metamorfosi di questi filosofi dal doppio io.
Questo volume presenta due testi inediti di Platone, a lungo dimenticati poiché considerati apocrifi: il libro XI (nonché ultimo) della Repubblica, e la Lettera XIV agli amici d'Italia sulla giustizia. Entrambi i testi suscitano uno straordinario interesse perché documentano una svolta imprevista nel pensiero del grande filosofo: l'incontro di Socrate con l'enigmatica figura dello "straniero di Treviri", nel quale è forse possibile riconoscere un antico precursore di Karl Marx. Questo incontro è drammaticamente descritto nel libro XI della Repubblica. La Lettera invece documenta un episodio della storia d'Italia finora sconosciuto: un piccolo avventuriero, demagogo spregiatore della giustizia, esercita la tirannide con l'appoggio di alcune selvagge tribù di barbari del Nord. Entrambi gli scritti platonici sono accompagnati da ampi commenti critici e filologici.
Il volume raccoglie, con il testo greco originale a fronte, la traduzione curata da Mario Vegetti e Diego Lanza. Si tratta dei cinque scritti zoologici ("Ricerche sugli animali", "Le parti degli animali", "La locomozione degli animali", "La riproduzione degli animali" e "Il moto degli animali") e delle sette brevi opere di psicologia e fisiologia, i cosiddetti "Parva Naturalia" ("La percezione e i percepibili", "La memoria e il richiamo alla memoria", "Il sonno e la veglia", "I sogni", "La premonizione nel sonno", "La lunghezza e la brevità della vita" e "La respirazione").
La paura di fronte al futuro caratterizza il nostro tempo in Occidente. È aggravata dalla crisi demografica, da quella economica, dalla corruzione endemica, dalla fragilità della famiglia e di molte aggregazioni sociali. Per quali vie possiamo arrivare a inaugurare una nuova epoca, affrontando con coraggio e consapevolezza il dramma di un mondo che sta finendo? Quale il posto dell'educazione e delle nuove tecnologie? Che ruolo può ancora avere la religione nelle nostre società così individualistiche e secolarizzate? Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, e Mattia Ferraresi, inviato per «Il Foglio» negli Stati Uniti, affrontano queste e altre questioni in un intenso scambio epistolare, dando vita a un dialogo che si sviluppa su registri e toni differenti, per approdare «alla scoperta che esiste la possibilità di una vita felice oltre la paura. E non solo esiste: è addirittura raggiungibile».
La trascrizione di queste lezioni testimonia dell’interesse di Derrida per Marx, attivo già negli anni Settanta, segnati dal clima infuocato della contestazione nell’Università e nella società, soprattutto parigine. Il Marx che viene presentato è un pensatore non accademico, ma rivoluzionario, in grado di trasformare la nozione stessa di teoria, inconcepibile in termini autentici fuori da un’attività di radicale cambiamento sia nel pensiero sia nei gesti. La lettura derridiana si lascia attraversare da quella del suo più anziano collega Louis Althusser, uno dei maestri dell’interpretazione di Marx in chiave scientifica e rivoluzionaria, sia riguardo all’economia che alla lotta politica. La nozione di prassi che ne emerge risulta di estremo, bruciante interesse nel momento della società attuale, rinunciataria fino agli estremi limiti a progetti di trasformazione radicale e soprattutto incredula che l’individuo, soggetto di un desiderio e di un giudizio, possa avere un effettivo spazio e possibilità di azione nella sfera dei rapporti politici. Una nozione di prassi diversa dalle procedure tecnocratiche è la posta in gioco di questo libro.
Dove si trova oggi il potere? Ha ancora senso cercarlo negli spazi della politica, della vita militare e del mondo imprenditoriale, cioè negli ambiti con i quali è stato tradizionalmente identificato? Il filosofo Oreste Aime esprime l'idea che il potere vada cercato nella finanza e nella tecnica e, in particolare, nel loro intreccio. Sia l'una che l'altra, infatti, condividono la tensione alla crescita senza limiti perché il denaro vuole moltiplicarsi e la tecnica espandere la sua potenza.
In un'epoca, come l'attuale, caratterizzata da continui tentativi di eliminazione dell'umano e della sua dignità, da processi e pratiche orientate all'abuso e al sovvertimento delle sue grammatiche e sintassi fondamentali, la responsabilità etica del pensare il tempo che è dato da vivere è chiamata fortemente in causa. La necessità di pensare, responsabilmente, il proprio tempo costituisce, infatti, da sempre il tentativo di individuare una cifra in ordine alla ricerca della verità sull'essere e sull'agire umano per una convivenza plurale inclusiva, partecipativa e solidale. Per far fronte alla crisi che, principalmente, è di ordine antropologico, culturale ed etico, perché le conoscenze, i valori e i parametri di giudizio di cui ci si avvale nella quotidianità non sembrano essere più idonei a far vivere e comprendere il presente e ancor meno sembrano essere adeguati per la conoscenza del futuro, è urgente definire la responsabilità etica del filosofare, evitando sia un poco illuminato ritorno a forme e formulazioni tradizionali, immersi nella nostalgia di un passato vissuto e sperimentato come mitica «età dell'oro», sia lo «stare a guardare alla finestra» in attesa di tempi migliori, sia le strategie opportunistiche e faziose di adattamento al cambiamento, che si consumano nell'agonia dei logori meccanismi di potere più o meno occulti. Questo per superare l'imbarbarimento nefasto di logiche accattivanti, frutto di una irresponsabilità culturale che domina la scena pubblica in maniera scandalosa, indecente e senza pudore.
Siamo andati sulla Luna, ma le grandi domande filosofiche dei Greci, dei medievali, dei moderni e dei contemporanei, rimangono le medesime. Siamo creature misteriose, tanto piccole e tanto grandi, in un Cosmo immenso, ma non infinito, e portiamo a spasso, sulle nostre spalle, l'oggetto più complesso dell'Universo (il cervello). Siamo corpo e anima, cervello e mente; viviamo nello spazio e nel tempo, ma siamo proiettati sempre Oltre. Perché? Cosa significa questo immenso Enigma? Le neuroscienze, il dibattito sull'Intelligenza Artificiale, la Cosmologia del Big Bang, la dinamica del nostro venire alla luce... insomma, il sapere dell'uomo di oggi può dialogare con le riflessioni dei grandi filosofi che chi ci hanno preceduto, per permetterci di capire qualcosa, come in uno specchio.
Per la prima volta in un unico volume la ''Storia della filosofia greca e romana'' di Giovanni Reale: il grande antichista vi ha lavorato per quattro decenni, a partire dagli anni sessanta del secolo scorso. Questo volume intende rendere omaggio al fondatore della fortunata collana del Pensiero Occidentale, riprendendo integralmente - con una rinnovata bibliografia - i dieci volumi editi da Bompiani nel 2004, che a loro volta aggiornavano i cinque editi da Vita e Pensiero nel 1975-80.
Il tema di fondo è il ''logos'', la capacità di affrontare il mondo in maniera razionale, che distingue la filosofia da ogni altra forma di sapere.
Giovanni Reale ritrova le prime tracce di razionalità nei testi orfici, per poi proseguire in un’appassionata ricerca che da Esiodo attraversa più di mille anni. Il punto finale è il decreto di Giustiniano, con cui nel 529 vengono chiuse tutte le scuole dell’Impero guidate da docenti pagani. Tale conclusione è anche testimone dell’ormai consolidata nuova visione del mondo, che ha visto fondersi la novità del Cristianesimo con la tradizione filosofica.
Un termine segnato da quelli che per Reale sono i due momenti fondamentali del pensiero umano, la seconda e la terza navigazione. Platone usa questa metafora spiegando come dopo l’uso dei remi nel navigare si rendano necessarie le vele, figura del guardare oltre la realtà sensibile. Giovanni Reale propone anche una ''terza navigazione'', quella della fede, non presente nella filosofia greca e romana, ma da questa preparata. E' il programma di una vita, della sua personale vita, che spiega anche il tono appassionato con cui è scritto questo libro, testimone di una ricerca che supera l’anonimato e la freddezza dell’accademia.
Nel 1971 due dei più influenti e noti intellettuali del XX secolo vengono invitati dal filosofo olandese Fons Elders a discutere di una vecchia questione: esiste, nella natura umana, un senso innato di giustizia indipendente dalle nostre esperienze e dalle influenze esterne? Il risultato è stato un dibattito tra i più originali e provocatori, un viaggio attraverso l'ambiguo rapporto tra morale e potere che serve anche da introduzione alle singole teorie dei due filosofi. Quello che in partenza era un discorso radicato nella linguistica (Chomsky) e nella teoria della conoscenza (Foucault) si evolve ben presto in una discussione sui più vasti argomenti, dalla scienza alla storia, dalla psicologia comportamentale alla libertà e alla lotta per la giustizia. Quella giustizia che, per Chomsky, aveva un fondamento reale, assoluto, profondamente radicato nella nostra natura e che, per Foucault, era solo uno strumento del potere.