Attraverso l’amicizia tra due ragazze il ritratto di una generazione sul finire degli anni Sessanta nel corso di tre anni di scuola. Una educazione sentimentale e politica, una scoperta del mondo visto dalla periferia della città industriale popolata di immigrati, un manifesto dell’adolescenza dove fra Kerouac e Dylan Thomas, Linus e Bob Dylan ironia e dolore si mescolano, e fa irruzione la vita vera. La compagna Natalia è un racconto lieve e insieme profondo che coinvolge e commuove. "Questo romanzo è e resterà unico. Perché è scritto con passione, profondità, ironia, rigore, dolcezza, e con uno sguardo sobrio e intenso, poetico e politico sul mondo." Lella Costa Fine degli anni Sessanta, periferia torinese, una ragazzina, terminate le scuole medie, viene iscritta dai genitori a una scuola sperimentale per segretarie d’azienda, ospitata in un più grande istituto per periti tecnici, esclusivamente maschile e maschilista. Ogni giorno quando arriva in classe trova seduta al suo banco, tranquilla e concentrata, una ragazza diversa dalle altre. È la compagna Natalia, perfetta, forse per questo lei e le compagne tendono "ad evitarla pur essendo, tutte, fortemente attratte dalla sua aura" – appena poteva leggeva un libro bianco con delle righe rosse e i titoli neri, quasi fosse un vessillo.
Milano, 1969. Università occupate, cortei, tensioni nelle fabbriche. Il 12 dicembre la strage di piazza Fontana. Alberto Boscolo ha vent'anni, viene da una famiglia normale, né ricca né povera, è iscritto alla Statale ma vuole di più. Vuole realizzare un proprio progetto politico. Deluso dall'inconcludenza del Movimento Studentesco, si avvicina a quello che di lì a poco sarà il nucleo delle Brigate Rosse. I mesi passano, Alberto partecipa alle azioni dimostrative, alle rapine di autofinanziamento e al primo attentato incendiario, ma il suo senso di insoddisfazione non si placa. Vuole agire sul serio. Il gruppo organizza il sequestro lampo di Idalgo Macchiarini, un dirigente della Sit-Siemens, e lo sottopone al primo processo proletario. «Mordi e fuggi », scrivono i brigatisti. La stampa batte la notizia; nei bar degli operai non si parla d'altro, le Brigate Rosse sono pronte ad alzare il livello dello scontro. In una metropoli nebbiosa, violenta e indimenticabile, Alessandro Bertante dà vita a una vicenda umana tumultuosa e vibrante, nella quale, intrecciando fiction e cronaca, vediamo scorrere i fatti cruciali che innescheranno la tragica stagione degli anni di piombo. Un romanzo che non cerca facili risposte ma che apre nuove domande su uno dei periodi più drammatici della recente storia italiana.
Scritto all'indomani della morte di Primo Levi, Lettera alla madre è un "dialogo in forma di soliloquio" in cui, accanto a temi cruciali per l'opera di Edith Bruck, quali il racconto del trauma vissuto in prima persona nei campi di concentramento dell'Europa Centrale, la propria diaspora famigliare e il dramma storico della Shoah, l'autrice affronta, attraverso una prospettiva intima, la contrapposizione tra fede religiosa e laicità e propone una profonda riflessione su cosa significhi per un superstite dell'Olocausto avere la responsabilità di esserne testimone. Il confronto serrato e a tratti impietoso con la figura della madre, ebrea ungherese saldamente ancorata alle tradizioni, diventa il luogo per la rievocazione di un'infanzia sospesa tra ricordi e fantasmi, per un'analisi delle proprie scelte e per una interrogazione di sé e del proprio valore testimoniale.
Lo struggente racconto di un nonno ai nipotini è l'occasione per ripercorrere i giorni drammatici delle persecuzioni contro gli ebrei veneziani, in una testimonianza in cui il ricordo personale si alterna ai documenti e agli avvenimenti pubblici dell'epoca, e che restituisce non solo la storia di quegli anni, ma anche il senso di straniamento e incredulità delle vittime della Shoah. Proprio come le foglie al vento, anche le donne e gli uomini evocati nel racconto sono travolti da una forza superiore, violenta, incomprensibile, e da un orrore inimmaginabile. Molte cose, infatti, fino alla fine della Seconda guerra mondiale, non si sono sapute, e anche quello che si sapeva era troppo terribile per essere creduto, e chi ha vissuto in quegli anni ha preso coscienza di quella tragica realtà a poco a poco, tra incertezze e contraddizioni. Riccardo Calimani, uno dei massimi studiosi ed esperti di Venezia e della storia degli ebrei italiani, fonde in questo libro la dimensione privata con quella storica, e dà vita così a una memoria famigliare e nello stesso tempo a una ricostruzione rigorosa e densa degli anni più terribili del Ventesimo secolo.
Tanti anni prima Lorenza era una ragazza bella e insopportabile, dal fascino abbagliante. La donna che un pomeriggio di fine inverno Guido Guerrieri si trova di fronte nello studio non le assomiglia. Non ha nulla della lucentezza di allora, è diventata una donna opaca. Gli anni hanno infierito su di lei e, come se non bastasse, il figlio Iacopo è in carcere per omicidio volontario. Guido è tutt'altro che convinto, ma accetta lo stesso il caso; forse anche per rendere un malinconico omaggio ai fantasmi, ai privilegi perduti della giovinezza. Comincia così, quasi controvoglia, una sfida processuale ricca di colpi di scena, un appassionante viaggio nei meandri della giustizia, insidiosi e a volte letali.
Daniel vive a Quarto Oggiaro, periferia di Milano. In famiglia il clima è teso, pochi soldi e continui litigi. Cresce nei cortili delle case popolari, ama il calcio e in campo è il più forte, tanto che a dieci anni gioca con la maglia dell'Inter. Le aspettative su di lui sono altissime, e non vuole deluderle. Ma quando, durante una partita, Daniel manca il goal decisivo, il sogno di diventare un calciatore famoso è infranto per sempre. Alle medie Daniel è un bullo temuto da tutti, carico di rabbia e aggressività. Sente che l'unico modo per guadagnarsi il rispetto è incutere paura e non temere niente, neanche di fare un colpo in banca. E infatti, lui le rapine arriva a farle per davvero, finché finisce al Beccaria, il carcere minorile. È considerato un ragazzo perduto, irrecuperabile. A segnare la svolta, l'incontro con don Claudio, il cappellano del carcere. Daniel viene affidato alla sua comunità, che accoglie i "ragazzi difficili", e lentamente impara a guardare le cose da una nuova prospettiva... Dall'autore di #disobbediente! e Viva la Costituzione, un'appassionante storia vera di rinascita, amicizia e amore per la vita. Età di lettura: da 11 anni.
Russia, inverno 1942. Il sergente maggiore Mario Rigoni guida una compagnia di mitraglieri degli Alpini nelle operazioni belliche sul fronte orientale. Questo è il racconto della sua vicenda, realmente accaduta, vissuta in prima persona. Alla narrazione della vita di trincea sulla linea del fronte lungo il fiume Don segue quella della ritirata dalla disastrosa spedizione in Russia: il lungo esodo dei soldati sotto il fuoco nemico, attraverso le praterie coperte di neve. È il racconto della sofferenza e dell'orrore di un'esperienza che ha portato quegli uomini al limite delle loro capacità. Pubblicato nel 1953 e subito accolto con grande favore da lettori e critici, questo romanzo è una preziosa testimonianza di uno degli episodi che più rappresentano la memoria italiana della Seconda guerra mondiale. Età di lettura: da 12 anni.
Un bambino senza memoria viene ritrovato in un bosco della Valle dell'Inferno, quando tutti ormai avevano perso le speranze. Nico ha dodici anni e sembra stare bene: qualcuno l'ha nutrito, l'ha vestito, si è preso cura di lui. Ma è impossibile capire chi sia stato, perché Nico non parla. La sua coscienza è una casa buia e in apparenza inviolabile. L'unico in grado di risvegliarlo è l'addormentatore di bambini. Pietro Gerber, il miglior ipnotista di Firenze, viene chiamato a esplorare la mente di Nico, per scoprire quale sia la sua storia. E per quanto sembri impossibile, Gerber ce la fa. Riesce a individuare un innesco - un gesto, una combinazione di parole - che fa scattare qualcosa dentro Nico. Ma quando la voce del bambino inizia a raccontare una storia, Pietro Gerber comprende di aver spalancato le porte di una stanza dimenticata. L'ipnotista capisce di non aver molto tempo per salvare Nico, e presto si trova intrappolato in una selva di illusioni e inganni. Perché la voce sotto ipnosi è quella del bambino. Ma la storia che racconta non appartiene a lui.
«Sono finiti i caffè letterari, il colloquio stesso» confida Sciascia a Domenico Porzio. «Eppure colloquiare significava non soltanto chiacchiera, ma esperienza, urbanità». Ed è come se questo libro, che registra incontri avvenuti lungo il 1988 e il 1989 e interrotti dalla morte dello scrittore, i due amici l'avessero disegnato proprio per scongiurare la fine del libero colloquiare, la dilagante riduzione a intervista della conversazione. Provocato dalla inesauribile curiosità di Porzio, stimolato da un dialogo mutevole, schietto, indisciplinato, Sciascia parla con un'asciuttezza in cui il fervore è schermato dal riserbo e dalla precisione, offrendoci inattesi squarci sulla sua infanzia, quando il 2 novembre i bambini ricevevano i regali dei morti; sulla biblioteca della zia maestra e sul teatro di Racalmuto, responsabili della sua divorante passione per i libri e il cinema; sui drammi che l'hanno segnato, come il suicidio del fratello, cui è seguita quella che con ammirevole pudore definisce «una sequela di guai»; sull'impiego al Consorzio agrario, che gli ha assicurato «il primo impatto con la giustizia». Ma, insieme, vengono alla luce anche tutti i suoi amori: oltre ai libri, Parigi, il Settecento, Stendhal, Savinio, su cui ha pesato l'italica «avversione all'intelligenza», Borges, Pirandello, «incontrato nella natura, nei luoghi». E i segreti della sua officina, come la mescolanza dei generi suggeritagli da Malraux, che vedeva in Santuario di Faulkner «la tragedia greca ... calata nel romanzo poliziesco» - incluso il più spiazzante ed efficace: «Per me scrivere è una cosa allegra».
Questo libro è interdisciplinare: parla di pittura, di musica e di storia. Incrocia l’analisi tecnico-scientifica e stilistica dei ritratti con i dati noti o dubbi della biografia, alla ricerca di un volto vero, quello di Antonio Vivaldi, il Prete rosso, il settecentesco creatore delle Quattro stagioni e firma di una moltitudine di musiche barocche che si vanno ancora scoprendo. Chiunque segua la musica conosce il desiderio bruciante di vedere l’espressione del viso di chi compose una volta certe note che han-no attraversato secoli; e qui i primi capitoli, molto vivaci, indicano i pericoli, i falsi amici, le fuorvianti scorciatoie che l’iconografia musicale può incontrare. Così le pagine iniziali sono piene di buffi abbagli storici e divertenti para-dossi che nascono quando si pretende di ricavare le informazioni biografiche e caratteriali dai tratti somatici.
Nel caso del musicista veneziano è ancor più difficile scongiurare le trappole del riconoscimento, dato che Vivaldi, dopo la morte, cadde nell’oblio completo, per riuscirne solo agli inizi del Novecento. Le tracce sono quindi da di-stricare in una serie di dipinti e disegni a lungo anonimi, e in quelli identificati solo due secoli dopo, scoperti per un puro caso e attribuiti con scarso approfondimento. Questo libro intende fare il punto della situazione: quanti e quali sono i ritratti di Vivaldi; quali quelli autentici, dubbi o mal attribuiti. Di ciascuno analizzare il contesto storico, in relazione alla sua vicenda biografica. E per la prima volta indagare chi erano quei pittori e incisori che si cimentarono con il suo volto, perché lo ritrassero, quanto erano capaci e cos’altro erano soliti fare nella propria attività: così contestualizzati quei ritratti ci parlano diversa-mente. Alla fine si trovano conferme di tradizionali attribuzioni e smentite di altre ritenute sicure, spuntano rarità conosciute pochissimo nonché scoperte ex novo di ritratti finora ignoti, di cui uno forse importantissimo.
Perciò questi atti relativi all’effigie del Prete rosso formano un’indagine serrata, intellettualmente insidiosa, un’avventura dell’induzione e della deduzione in base a dati setacciati con precisione; limpida prova di ciò che è stato definito il «paradigma indiziario», ovvero un’anatomia di dettagli per accedere al grande fatto artistico e culturale.
«Sai perché siamo un popolo nomade?», chiese il nonno Nacor al piccolo Abram. «Perché abbiamo nostalgia di casa», continuò sorridendo, mentre osservava il volto stupito di suo nipote. «Cos'è la nostalgia, nonno?» «La nostalgia è quando ti manca qualcosa che ami». «Andremo a casa?», chiese Abram. «Sì, piccolo mio». «E dove si trova?» «La nostra casa è il cuore di Dio. In ogni altro luogo, noi saremo sempre degli stranieri». È la nostalgia dell'Infinito, desiderio che abita il cuore di ogni donna e uomo, a spingere Abram oltre se stesso, oltre la sua terra, oltre ogni certezza acquisita. È quel desiderio di Infinito a rendere la sua avventura umana una delle pagine più cariche di umanità, nella sua ricchezza e nella sua fragilità. Una delle pagine capaci di parlare al cuore di uomini e donne di oggi.
Seguire i voli delle rondini o le fioriture delle veroniche. Scoprire che il rospo si «innamora» per primo e che il picchio sa vedere nel futuro. Ricordare che della pervinca scriveva Giovanni Pascoli, dell’usignolo John Keats, e dell’upupa il poeta persiano Farid ad-din Attar. Per spalancare il panorama di meraviglie che l’universo naturale contiene non occorrono grandi spedizioni, possono bastare un parco cittadino, un balcone, persino una fessura nel pavimento di casa. Tenendo gli occhi e la mente bene aperti impareremo a decifrare le voci delle rondini e le abitudini dei merli, ad amare alcuni insetti e a combatterne altri, a seguire il ritmo con cui di stagione in stagione si vestono e si svestono gli alberi, dal flessuoso salice al burbero castagno. «Da quando ho memoria di me, le scienze naturali sono sempre state la mia unica vera passione» ricorda Susanna Tamaro. Una passione mai sopita e che in un tempo di lutti e difficoltà come l’attuale si impone come una necessità, quella di tornare a meravigliarsi, a provare gratitudine per la ricchezza e lo splendore dell’esistente. Il suo «taccuino di appunti» prende vita lungo i mesi grazie a un’osservazione quotidiana colta e intima, che si incanta per il volo delle coccinelle e dialoga con i grandi autori del passato, da Plinio il Vecchio a Charles Darwin. Ritroviamo così una dimensione domestica e sorprendente della natura che appartiene a tutti noi e che abbiamo il diritto di conoscere di più e meglio: perché la conoscenza è la prima e più necessaria forma dell’amore.