La storia della tomba di Alessandro è la storia di un'avventura. Con l'affermarsi del cristianesimo, infatti, il sepolcro di Alessandro, eretto nella città che portava il suo nome e oggetto di venerazione per sette secoli, in pochi anni cadde nell'oblio e se ne perse ogni traccia. Tuttavia su Alessandria continuò ad aleggiare il fantasma del suo fondatore, che riprese vigore a partire dalla campagna napoleonica in Egitto: archeologi, avventurieri e tante persone comuni hanno cercato, invano, di ritrovare il corpo del più grande condottiero di tutti i tempi. Valerio Massimo Manfredi ci conduce in questo viaggio nel cuore dell'enigma unendo l'esperienza e la competenza dell'archeologo alla narrazione coinvolgente e appassionata del grande romanziere, mostrandoci luoghi e reperti dell'antichità per ricostruire su di essi un mondo brulicante di vita, di sterminata ambizione e grandi sogni.
"È con l'anima sulle labbra che scrissi in quegli anni appassionati la maggior parte delle pagine incluse in questa raccolta che a suo tempo interessarono giovani incatenati da una guerra non voluta, da un linguaggio grottesco, da coercizioni medievali e ritrovarono non tanto nelle mie parole quanto nei libri che proponevo le loro ansie libertarie, i loro sogni di anarchia, di democrazia, di sincerità. Ancora adesso, cinquantanni dopo questa Antologia di Spoon River, questo libretto tanto disprezzato dalle Accademie, viene scambiato tra ragazzi innamorati come una specie di pegno d'amore. E anche per questa passione di poco spenta dagli anni che Edgar Lee Masters apre la presente edizione. Ecco. Ormai questi autori che io amavo mentre stavano trasformando la storia della letteratura americana sono diventati dei classici: se dovessi scrivere adesso queste presentazioni potrei aiutarmi con decine e decine di biografie e monografie che riempiono i miei scaffali. Ma quella felicità di scoperta, quella gioia di trasmetterla ad altri, forse oggi non l'avrei più; forse l'anima non mi salirebbe più sulle labbra." (dalla prefazione di Fernanda Pivano)
Il primo sorriso Caterina e Lorenzo se l'erano scambiato al 'party' del sindaco - "Ca lu chiamava party picchè faceva cchiù moderno." Era da un pezzo che Lorenzo teneva nel cuore quella malattia, ma aveva cercato di non pensarci: perché sulla "vuaglioncella" aveva messo gli occhi Rancio Fellone, il figlio dell'uomo più ricco del paese, e lui, Lorenzo, era solo il nipote dello scarparo: "Pirciò aviva deciso ca Caterina se l'aviva levare da la capa". Poi, quella sera, lei lo aveva guardato, e non aveva smesso di guardarlo mentre lui suonava la tammorra come mai prima. E da allora si erano visti di nascosto, ogni domenica mattina, al mare. Ma Rancio Fellone sapeva: e aveva deciso di vendicarsi, e insieme di togliersi quel "vulìo". Così, il giorno della festa di San Vito, mentre sulla piazza del paese tutti si preparavano a scatenarsi nella pizzica, Rancio Fellone, insieme ai suoi degni compari Cicciariello e Capa di Ciuccio, aveva aspettato i due ragazzi nel campo di girasoli dove si erano dati appuntamento. E la cosa sarebbe finita male se non lontano da quello stesso campo non si fossero fermati, dopo aver goffamente svaligiato un banco lotto, due rapinatori improvvisati: Dummenico, un operaio disoccupato, e il Professore, uno di quelli che ancora credevano alla solidarietà, al popolo e alla rivoluzione proletaria. Saranno questi due "angeli con la pistola" (comprata, peraltro, in un negozio di giocattoli) il deus ex machina della vicenda...
Marco Barbarigo è un uomo fortunato: non pago dell'amore della dolce cugina Flaminia Corner s'intrattiene in giochi sempre più arditi anche con Bianca Mocenigo e con la sua servetta Mariella. Ma se Marco abbandonasse per un istante i suoi giochi d'amore scorgerebbe grosse nubi all'orizzonte della laguna: l'ombra sempre più lunga della potenza ottomana inizia a inquietare tutte le potenze cristiane del Mediterraneo. Così, quando Venezia si decide a unirsi alla Lega Santa e ad armare la propria flotta, Marco si rivela troppo ambizioso per dare ascolto all'ammonizione del vecchio Giuseppe Loredan: "Le strade che portano al potere sono irte e malfide. Qualche volta è meglio guardare da lontano", troppo curioso della vita per rifiutare di imbarcarsi su una delle galee che si disporranno lungo un fronte di quattro miglia al largo della città di Lepanto, e saranno protagoniste di una battaglia terribile e grandiosa. Scampato per miracolo alla carneficina, giunto a Istanbul riuscirà a salvarsi solo grazie alle misteriose lettere fitte di caratteri ebraici che a Venezia gli sono state affidate da Ester Conegliano. A Venezia, prima che Marco sia riuscito a rientrare, Bianca, Flaminia e Mariella partoriscono ciascuna un figlio e cercano un matrimonio riparatore; una pestilenza decima gli abitanti della città, il Palazzo Ducale brucia mentre nella notte sfolgora una misteriosa cometa, gli ebrei del ghetto sono in pericolo e Giordano Bruno viene consegnato all'Inquisizione romana...
Pirandello inizia a scrivere novelle alla fine dell'Ottocento, muovendo dai retaggi di un verismo di cui veniva disintegrando gli stessi presupposti teorici, e continua fino agli ultimi giorni di vita. Al progetto, rimasto incompiuto, di raccogliere la produzione breve in un corpus compatto di trecentosessantacinque racconti, le Novelle per un anno, Pirandello dedicò molte energie, testimoniando quanto questo genere letterario ben radicato nella tradizione italiana rappresentasse per lui un serbatoio prezioso di figure e di temi, un momento ineliminabile di confronto tra lo scrittore e i suoi ricorrenti fantasmi, calati nelle vesti di personaggi. Questo volume raccoglie trentaquattro novelle tra le più celebri e conosciute, da La patente a Ciàula scopre la Luna a Una giornata: copioni spesso di derivazione ancora ottocentesca nei loro temi narrativi, che offrono uno spaccato a tutto campo della società italiana del primo Novecento, ma che rimangono impressi soprattutto per il punto di vista, quello del "filosofo", dell'"umorista", dal quale fatti ordinari vengono osservati. Lo scarto, l'anomalia, l'emarginazione diventano la molla che permette il sovvertimento di quel "pantano della vita ordinaria" in cui annaspa l'anti-eroe pirandelliano, nel quale l'uomo del XXI secolo non può non riconoscersi.
Cento anni fa, nel 1911, il genio letterario di G. K. Chesterton inventò il suo personaggio più fortunato, Padre Brown, prete investigatore che ha affascinato generazioni di lettori, insieme alla sua spalla, il ladro convertito Flambeau. Chesterton abbandonò il suo personaggio intorno alla Prima guerra mondiale, per dedicarsi ad altre opere. Padre Brown ovviamente è un personaggio di fantasia, ma... se fosse realmente esistito? Paolo Gulisano realizza un romanzo di fantastoria partendo da questa fantastica ipotesi: e se nel conclave del 1939 non fosse stato eletto papa Eugenio Pacelli, ma un certo cardinale Brown, ovvero Padre Brown assurto ai vertici della carriera ecclesiastica? Il libro ripercorre questa carriera, a partire dal 1917 (quando Chesterton abbandona Padre Brown e Gulisano lo raccoglie) fino al conclave decisivo. Troviamo quindi Padre Brown sul fronte di guerra italiano, a Caporetto tra Cadorna e l’agente segreto Kipling. Lo seguiamo nell’Irlanda rivoluzionaria di Michael Collins, nella Roma della Marcia di Mussolini, nella Torino di Frassati con don Sturzo. Un Padre Brown che diventa prima monsignore e poi cardinale, amico e collega di Eugenio Pacelli, al servizio di Pio XI. Nel libro, oltre a diversi personaggi storici realmente esistiti, di cui si tratteggiano vicende e filosofie, ritroviamo gli amici di Chesterton, come Belloc o padre McNabb, e i suoi personaggi letterari, come Basil Grant e Patrick Dalroy.
Paolo Gulisano, nato a Milano nel 1959, risiede a Lecco. All’attività di medico affianca da anni un importante impegno di scrittore. È considerato uno dei più autorevoli esperti di Tolkien e della letteratura fantasy, nonché della cultura britannica. Ha pubblicato numerosi scritti di saggistica dedicati alle figure e alle opere di C. S. Lewis, l’autore delle Cronache di Narnia, di G. K. Chesterton, Hilaire Belloc, George MacDonald, Oscar Wilde, Vincent McNabb, il beato John Henry Newman. Ha dedicato diversi studi al mondo celtico, dalla Scozia all’Irlanda, passando per il mito di Re Artù. Ha pubblicato inoltre diverse opere su argomenti di storia, e in particolare di storia del cristianesimo, dai martiri messicani delle persecuzioni anticristiane alla biografia dell’irlandese san Colombano, all’eroe del Tirolo Andreas Hofer. Collabora con diversi periodici e riviste culturali e col quotidiano della Santa Sede L’Osservatore Romano. Numerosi volumi di Gulisano sono stati tradotti e pubblicati all’estero. Il destino di Padre Brown rappresenta quell’esordio nella narrativa che i suoi lettori attendevano da tempo.
Giovanni Buscemi, detto u magu, è uno psicoterapeuta tornato da poco a Cittanova, in Calabria, da dove era fuggito ancora ragazzo per inseguire i suoi sogni. In paese incontra Livia Antonietta, il suo amore di gioventù. La donna le chiede di aiutare Maria, una diciassettenne che la madre crede posseduta dal demonio.
Giovanni comincia la terapia e, con la forza della parola, inizia a scavare nel passato della ragazza, orfana di padre e cresciuta in un ambiente repressivo. Cosa tormenta Maria e la rende preda di crisi convulsive così terribili da farla sembrare indemoniata? Nonostante la cura sembri funzionare, c’è ancora qualcosa nascosto nel cuore della ragazza. Nel frattempo a Cittanuova le malelingue dicono che tra medico e paziente ci sia in realtà una relazione, e Maria viene aggredita verbalmente e fisicamente da alcune donne del paese. Sarà Giovanni – che ha riallacciato i rapporti sentimentali con Livia – a sal- varla dalle megere e a riuscire, con pazienza e intuito, a liberare la ragazza dai suoi dèmoni.
Mary cura gli ammalati con le erbe del bosco. È questo il suo unico potere, e frate Matthew lo sa. Ecco perché tenta invano di salvarla durante il processo per stregoneria, anche se questo significa rischiare una dolorosa punizione, l'esilio. Costretto ad abbandonare il suo quieto monastero inglese, il frate intraprende un viaggio pericoloso attraverso la Francia, diretto al luogo dove dovrà scontare la pena. Ma presto scopre che il destino ha in serbo per lui qualcosa di diverso, ed è proprio lo spirito di Mary a indicargli la strada verso Felik, un villaggio sperduto fra le Alpi. Qui un atroce castigo divino sta per abbattersi sugli abitanti, che sembrano aver inaridito il proprio cuore. E un giorno, inaspettatamente, su Felik inizia a cadere una fitta neve tinta di rosso. Un grande affresco medievale che intreccia amore, avventura e mistero.
In questo romanzo Niccolò Ammaniti va al cuore della sua narrativa, con una storia tesa e dal ritmo serrato, un congegno a orologeria che si carica fino a una conclusione sorprendente: e mette in scena la paura stessa. Michele Amitrano, nove anni, si trova di colpo a fare i conti con un segreto cosi grande e terribile da non poterlo nemmeno raccontare. E per affrontarlo dovrà trovare la forza proprio nelle sue fantasie di bambino, mentre il lettore assiste a una doppia storia: quella vista con gli occhi di Michele e quella, tragica, che coinvolge i grandi di Acqua Traverse, misera frazione dispersa tra i campi di grano. Il risultato è un racconto potente e di assoluta felicità narrativa, dove si respirano atmosfere che vanno da Clive Barker alle Avventure di Tom Sawyer, alle Fiabe italiane di Calvino. La storia è ambientata nell'estate torrida del 1978 nella campagna di un Sud dell'Italia non identificato, ma evocato con rara forza descrittiva. In questo paesaggio dominato dal contrasto tra la luce abbagliante del sole e il buio della notte, Ammaniti alterna, a colpi di scena sapienti, la commedia, il mondo dei rapporti infantili, la lingua e la buffa saggezza dei bambini, la loro tenacia, la forza dell'amicizia e il dramma del tradimento.
La caccia che viene narrata da Rigoni Stern in questi quattordici racconti non è un hobby o uno sport, è una passione. È una lotta contro se stessi, contro la fame, la stanchezza, il sonno, il freddo, sapendo che bisogna essere giusti al momento giusto, perché alla base c'è un rapporto non tanto con l'animale, quanto con il selvatico, la preda. Eppure queste storie, attraverso un linguaggio lirico e allo stesso tempo semplice, non ci parlano solo di uomini in attesa e animali braccati, ma anche di silenzi più importanti delle parole, di verità che scottano come il fuoco, di valori incontestabili e solenni. Sono storie a volte commoventi a volte un po' barbare, ma la violenza non è mai gratuita, è inesorabilmente regolata dai meccanismi della natura. Perché il male, sembra ricordarci Rigoni Stern, è solo dell'uomo, quando dimentica o disprezza o distrugge gli equilibri della montagna e del bosco.
Il 17 marzo 2011 sono stati celebrati i 150 anni della nascita dello stato italiano, ma è sufficiente questo per ricordare gli splendori della storia italica? Sicuramente questa è una bella occasione per celebrare, conoscere e rinnovare gli onori, la cultura, il coraggio, la fede, l’umanità, la bellezza, l’ardore e le tante virtù del popolo italiano che, ben prima della formazione dello Stato, hanno scritto una storia gloriosa della nostra amata Italia. Grandi benefici ha portato l’Unità d’Italia, ma la nostra identità non può limitarsi a riconoscere le ragioni dello stato unitario, è il cuore che ci dice che il sentimento di Patria è qualcosa di più profondo e che è strettamente legato alla testimonianza e alle virtù peculiari che nella storia hanno alimentato la nascita e la morte di tanti eroi e santi. Il primo tra gli autori che hanno colpito la nostra immaginazione e che fornì un contributo decisivo al Risorgimento e alla formazione degli italiani è stato sicuramente Silvio Pellico. Si tratta di un personaggio che una certa pubblicistica ha cercato di nascondere, ma che al suo tempo era ai primi posti per qualità letteraria, patriottismo, virtù morali, passione. Ecco che si fa quindi necessaria la ripubblicazione, a distanza di molti anni, del breve libro morale Dei doveri degli uomini, scritto da un testimone vero, che cercò in ogni modo di conciliare il desiderio d’unità con l’identità cattolica degli italiani.
Silvio Pellico nacque a Saluzzo il 25 giugno 1789. Dopo aver studiato a Pinerolo e a Torino, andò a Lione per fare pratica nel settore commerciale; rientrato in Italia nel 1809, si stabilì a Milano. Qui conobbe il Monti ed il Foscolo e qui cominciò a scrivere opere teatrali e divenne direttore del “Conciliatore”. Nel 1820 venne arrestato con l'accusa di carboneria: condannato a morte, la sentenza fu commutata in quindici anni di carcere da scontare nella fortezza di Spielberg, in Moravia. Nel 1830 arrivò anticipatamente la grazia imperiale e, tornato in Italia, lo scrittore si ritirò completamente dalla vita politica. Nella sua opera memorialistica più famosa, Le mie prigioni, del 1832, si narrano l'arresto, la vita nel carcere e la liberazione dello stesso Pellico, che volle però porre l'accento sul percorso spirituale legato alla vicenda, i cui effetti furono la riscoperta della fede e una rassegnata indulgenza verso l’esistenza e verso gli esseri umani. Morì a Torino il 31 gennaio 1854.