I corpi privi di vita di due senzatetto vengono ritrovati nella periferia di Brescia. La ricca e bella moglie di un medico molto in vista nella città viene barbaramente uccisa davanti a casa sua. Due casi di omicidio apparentemente lontanissimi, ma entrambi molto scomodi perché attirano l'attenzione pubblica. Due casi che scottano sulla scrivania del commissario Miceli. Ma anche questa volta Miceli non sarà solo a sbrogliare l'intricata matassa: al suo fianco, oltre ai collaboratori più fidati troveremo l'ex giudice Petri, che, assetato di giustizia e insofferente della sua altrimenti noiosa vita da pensionato, non esita a buttarsi in una nuova indagine. Ma se il primo caso sembra non trovare risposta - chi poteva avercela con due barboni che non avevano mai dato fastidio a nessuno? - il secondo parrebbe averne troppe, perché molti potevano avere interesse a togliere di mezzo la bella signora -il marito, dall'alibi zoppicante, l'amante troppo giovane per lei, il marito dell'amica assetato di soldi... Un giallo noir teso fino alle ultime pagine.
In una casa sul mare, una giovane donna, schiva e solitaria, assiste il padre malato con la stessa devozione che riserva ai suoi fiori, confinati al caldo, in una serra. Tra quelle alte mura, avamposto di una terra chiusa e inospitale, c’è solo silenzio, un lento rincorrersi di gesti che si ripetono uguali da anni, da quando suo padre è immobilizzato in un letto.
Una notte un uomo che sa di vento e di sale forza l’immota tranquillità di quella casa, spingendosi al di là del cancello, oltre il recinto che separa e che allontana, ma il cane, che è il custode di quel regno, lo aggredisce ferendolo a un fianco. È straniero, parla una lingua sconosciuta, ha sul corpo i segni di un lungo viaggio e negli occhi l’ombra di un passato doloroso. Da quando, da qualche giorno, una misteriosa nave color petrolio è approdata nel porto, a ostruire l’orizzonte, la giovane donna non pensa ad altro che a partire. Aprire la porta a quell’uomo indifeso, spaventato, bisognoso delle stesse cure di cui suo padre non può più fare a meno, farlo entrare senza chiedersi perché, rappresenta la sua grande occasione. Lei vorrebbe una vita altrove, lui nasconde una storia.
La cura è il romanzo di un amore fatto di silenzi, che vive di gesti, perché se non c’è una lingua da condividere, le parole si fanno deboli, fragili, inconsistenti. È il racconto di una guarigione che attraversa il corpo per arrivare fino all’anima. È la storia della fuga di chi è costretto a partire, della voce di chi si ritrova a cercare, e di porte che si aprono e non si chiudono.
Quella nave è come te. Non si sa perché sei venuto e non si sa perché te ne andrai.
Siamo in provincia di Sassari. A undici anni il piccolo Mario, rimasto orfano di madre, viene abbandonato dal padre e inizia a vagare per le campagne in cerca di un lavoro, che significa cibo e riparo. Pastore di capre prima e poi manovale nei campi, attraversa in lungo e in largo una terra abitata da miserabili, da prepotenti, da persone umane e generose. La natura aspra e selvaggia. La povertà assoluta. I briganti. La diffidenza. Le superstizioni. Mario cresce affrontando tutto questo e il suo cammino è la più avvincente delle avventure. Senza mai arrendersi, con lo sguardo pulito, il coraggio della disperazione e un cuore che si mantiene sempre buono nonostante tutto. Sullo sfondo, gli anni del Dopoguerra e un'Italia lontana contadina, che Mario incontra talvolta nelle città della costa, o quando una troupe cinematografica arriva a girare sulle sue montagne, o quando entra per lo prima volta alla Rinascente... “Nato all'inferno” è il racconto autobiografico della vita di Mario Gregu, dal suo primo ricordo alla sua partenza per emigrare prima in Germania e poi a Milano, la città dove vivrà per anni e troverà sicurezza economica e serenità prima di tornare da pensionato in Sardegna.
San Carlo, Maremma Toscana. Il conte Alinaro Bonaiuti ha invitato nel suo maniero degli ospiti per la battuta di caccia del fine settimana; tra questi, c’è il noto gourmet Pellegrino Artusi. La prima sera del week-end, a cena, il padrone di casa è di umore allegro. Accenna ad una grossa vincita ai cavalli, quindi invita gli ospiti nella sala da fumo dove brinderanno alla vincita. Poi, scusandosi, spiega di non poter bere champagne per i suoi problemi di stomaco, e ripiega sul suo solito Porto. Durante la notte si sente male. Questa volta Malvaldi si cimenta con un giallo di impianto classico - l’ambientazione ottocentesca, il castello, i delitti, la nobiltà decaduta, il maggiordomo - illuminato però dalla presenza di Artusi, il grande gastronomo che con la sua “Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” dette dignità alle pietanze di tutti i giorni. Sarà proprio Pellegrino - studioso di storia naturale oltre che letterato - a trovare con il suo acume e la sua curiosità la chiave per arrivare alla verità, mentre Malvaldi - lasciati per il momento i quattro vecchietti del BarLume - ci consegna il magnifico ritratto di un italiano memorabile che si muove a suo agio in mezzo a personaggi di invenzione.
L'equipe che cura per i Meridiani le opere di Dante tradizionalmente definite "minori" è diretta da Marco Santagata. L'edizione si articola in tre volumi in cui le opere per la prima volta sono disposte in ordine cronologico, superando la consueta divisione fra il Dante latino e quello volgare. Significativa è l'attenzione riservata al pensiero politico di Dante, alla sua speculazione filosofica, alle sue riflessioni sulla lingua, che vengono studiati da esperti dei singoli ambiti. In questo primo volume viene presentata la poesia di Dante e la sua riflessione sulla poesia. Punti di forza sono il ricchissimo e innovativo commento di Claudio Giunta alle Rime; e quello di Mirko Tavoni al De vulgari eloquentia, le cui ricerche modificano in profondità il quadro del pensiero linguistico dantesco. Per la Vita Nova si ripropone, appositamente rivista e aggiornata, l'edizione pubblicata da Einaudi nel 1996 a cura di Guglielmo Gorni. La collocazione cronologica delle Rime prima della Vita Nova consente di seguire lo sperimentalismo di Dante giovane, impegnato su ogni accordo della tastiera lirica contemporanea e capace poi di operare una consapevole scelta critica e interpretativa. Di grande respiro l'Introduzione generale, firmata dallo stesso Santagata, che delinea un panorama originale della poetica e del pensiero di Dante, seguendone l'evoluzione e rintracciandone i motivi ricorrenti all'interno delle opere. Introduzione di Marco Santagata.
Il volume, che comprende quattro imprescindibili Romanzi di Alba de Céspedes, “Nessuno torna indietro” (1938), “Dalla parte di lei” (1949), “Quaderno proibito” (1952) e “Nel buio della notte” (1976), offre anche un importante inedito, “Con grande amore”: un romanzo incompiuto su Cuba cui l'autrice lavorò a lungo e che contiene splendide pagine di ricordi familiari e di storia cubana. Troppo spesso aggiogata al carro della "letteratura rosa", la de Céspedes con giusto risentimento rivendicava invece il riconoscimento critico del valore letterario e innovativo della sua scrittura, e il lettore moderno non faticherà a individuarlo in questa scelta di testi, operata da Marina Zancan, docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea all'università romana della Sapienza. Zancan guida il lettore alla scoperta di un'autrice oggi un po' dimenticata ma che fu fra le prime e più convinte sostenitrici dell'impegno e dell'importanza del ruolo della donna anche al di fuori dell'ambito familiare. Un'analisi psicologica attenta, una scrittura tesa a rispecchiare il parlato, la forzatura - quando non la dissoluzione - della forma-romanzo tradizionale fanno di questi testi una lettura interessante e avvincente.
Un padre rievoca al figlio alcuni episodi della propria vita. Nel 1915 la sua famiglia, come tante altre, è migrata all’estero in cerca di fortuna. Il padre ricorda la morte del fratello Beniamino, la scoperta del mondo al di fuori delle mura domestiche (quando accompagnava il padre in giro per affari) e il lungo viaggio in nave che l’ha riportato a Genova. Dopo un anno passato in convento per mettere alla prova la vocazione religiosa che sente pulsare dentro di sé, l’uomo si immergerà nuovamente nel mondo, nella Storia: sono gli anni del fascismo e della resistenza. In seguito sarà un medico molto stimato. Alla morte del genitore, il figlio si ritrova con un’eredità di ricordi ed esperienze che cerca di mettere a frutto tenendo a bada il dolore per la perdita. Si rinchiude nella casa del padre e trova rifugio nella letteratura e nel mito, compiendo un immaginario viaggio catartico – in compagnia di Tristano e Lancillotto – che gli varrà come personalissima elaborazione del lutto.
Delia e Gaetano erano una coppia. Ora non lo sono più, e stasera devono imparare a non esserlo. Si ritrovano a cena, in un ristorante all’aperto, poco tempo dopo aver rotto quella che fu una famiglia. Lui si è trasferito in un residence, lei è rimasta nella casa con i piccoli Cosmo e Nico. Delia e Gaetano sono ancora giovani – più di trenta, meno di quaranta, un’età in cui si può ricominciare. La loro carne è ancora calda e inquieta. Sognano la pace ma sono tentati dall’altro e dall’altrove. Ma dove hanno sbagliato? Il fatto è che non lo sanno. La passione dell’inizio e la rabbia della fine sono ancora pericolosamente vicine. Cresciuti in un’epoca in cui tutto sembra già essere stato detto, si scambiano parole che non riescono a dare voce alle loro solitudini, alle loro urgenze, perché nate nelle acque confuse di un analfabetismo affettivo. Eppure parole capaci di bagliori improvvisi, che sanno toccare il nucleo ustionante dei ricordi, mettere in scena sul palcoscenico quieto di una sera d’estate il dramma senza tempo dell’amore e del disamore. Margaret Mazzantini ci consegna un romanzo che è l’autobiografia sentimentale di una generazione. La storia di cenere e fiamme di una coppia contemporanea con le sue trasgressioni ordinarie, con la sua quotidianità avventurosa. Una coppia come tante, come noi. Contemporaneamente a noi.
Uno scritto che arreca conforto alla mente di chi legge per capire, o per lavoro, per svago, per distrasi. Parla a tutti, fa riconoscere le generazioni. Ci fa identificare, sognare, ricordare.
Alcina è una donna coraggiosa e fiera che ha paura di una sola cosa: i sentimenti. Tanto che per non esserne sopraffatta si è dovuta costruire una corazza di orgogliosa solitudine. Nel ’48 ha trentatré anni e una guerra partigiana alle spalle, e sembra che il suo destino sia ormai quello di vivere per sempre con lo sguardo rivolto al passato, in un continuo parlare coi propri morti e con un cane selvatico. Ma un giorno Alcina riceve una lettera che sull’onda travolgente del ricordo di un unico, lunghissimo bacio le dà la forza di lasciare il suo casolare in Umbria e di partire per l’Argentina. Ad aspettarla c’è Spaltero, un uomo più giovane di lei ma con un carattere forte e sicuro e sempre proiettato verso il futuro. Ma è sufficiente la fragile promessa contenuta nel ricordo di un bacio a spingere a cambiare vita? Basterà la forza dell’amore per resistere al violento irrompere della Storia?
In un’epoca di sentimenti sfilacciati, esili e precari, Romana Petri ha scelto di raccontare la storia di un amore eterno e indissolubile, al quale il passare del tempo solo aggiunge senza mai sottrarre.
Otto storie, tanto perfette e compiute da costituire ciascuna un breve romanzo. Ci sono i personaggi della Vigàta di ogni tempo, l’inventario di una Sicilia dalle inesauribili sfaccettature: avvocati brillanti, chiromanti improvvisate, contadini e studentesse, preti e federali, comunisti sfegatati, donne risolute, un repertorio che suscita il sorriso o la pietà, e sempre un forte coinvolgimento. Ma in queste storie c’è anche un elemento fiabesco, mitico, un improvviso scarto dalla narrazione che ritorna insistente. È una traccia sotterranea che si mescola con il momento storico che è sempre ben definito, al punto che sin dalle prime righe di ogni storia la narrazione viene incastonata in una data precisa, la fine dell’Ottocento, l’alba del 1900, ma più spesso gli anni del fascismo, dello sbarco, del dopoguerra. Quasi sempre è l’ironia, la burla a dominare, o il gallismo brancatiano, oppure l’umanità solidale che non manca mai nelle storie di Camilleri che in quella «piazza della memoria» che è Vigàta, attinge a storie vere o verosimili depositate fra i suoi ricordi, per reinventarle e raccontarle con la sua capacità affabulatoria, tutte spruzzate da una polvere di simpatia.
È il 101 d.C, l'anno in cui Roma, all'apice della sua potenza ed espansione, intraprende forse la sua più grande e meno conosciuta guerra: la campagna per la conquista della Dacia, l'odierna Romania. Il carismatico imperatore Traiano guida l'impresa, ossessionato dall'idea di emulare le gesta di Alessandro Magno. Ma se i romani possono mettere in campo la disciplina, la strategia e la collaudata forza delle legioni, i daci, condotti dal re Decebalo, hanno fama leggendaria di essere uomini dal sovrumano coraggio, guerrieri pronti a tutto. E a contrastare la minaccia dell'invasore appaiono anche alcune misteriose creature, assetate di sangue romano. All'ombra delle operazioni dirette da Traiano si intrecciano i destini di due fratelli romani: Tiberio Claudio Massimo, valoroso cavaliere, soldato ambizioso e determinato, e Marco, indolente e refrattario alle responsabilità. Tiberio passerà alla storia come colui che catturò il temibile Decebalo: la colonna traiana e la sua stele ritrovata nel secolo scorso lo raffigurano mentre tenta di impedire al sovrano nemico di suicidarsi. Marco invece è un frumentarius, una spia, un infiltrato nelle file daciche, eppure per la vittoria finale anche le sue mosse sotterranee risulteranno decisive.