Uno sbandato "che scappa da tutto e da tutti", sullo sfondo di una guerra civile tra le montagne vicino al confine. Si imbatte in una dimora abbandonata, costruita in un luogo inospitale ma protetta da una faggeta antichissima, sorta tra gole inesplorate. Un giovane canuto, incontrato nella casa, promette di aiutarlo a passare il confine come guida di un viaggio di cui entrambi conoscono i rischi. Ma qual è la presenza che ossessiona il protagonista e che sembra nascondersi dentro la casa? A partire da prestiti importanti (Racconto d'autunno di Tommaso Landolfi e Stalker di Andrej Tarkovskij) l'autore costruisce un libro che può essere letto come un gotico, un racconto filosofico, un poema in prosa o un romanzo d'avventura. Si tratta in realtà di un viaggio di parole attraverso il quale prendono vita tre personaggi senza nome e una casa sventrata. Racconto d'inverno è la storia della loro storia.
Ad accogliere i viaggiatori che d'estate sbarcano sul molo di Bellano dal traghetto Savoia c'è solo la scalcagnata fanfara guidata dal maestro Zaccaria Vergottini, prima cornetta e direttore. Un organico di otto elementi che fa sfigurare l'intero paese, anche se nel gruppetto svetta il virtuoso del bombardino, Lindo Nasazzi, fresco vedovo alle prese con la giovane e robusta seconda moglie Noemi. Per dare alla città un Corpo Musicale degno di questo nome ci vuole un uomo di polso, un visionario che sappia però districarsi nelle trame e nelle inerzie della politica e della burocrazia, che riesca a metter d'accordo il podestà Parpaiola, il segretario comunale Fainetti, il segretario della locale sezione del Partito Bongioanni, il parroco e tutti i notabili della zona. Un insieme di imprevedibili circostanze - assai fortunato per alcuni, e invece piuttosto sfortunato per altri - può forse portare verso Bellano il ragionier Onorato Geminazzi, che vive sull'altra sponda del lago, a Menaggio, con la consorte Estenuata e la numerosa prole. "Almeno il cappello" racconta la gloriosa avventura del Corpo Musicale Bellanese, le mille difficoltà dell'impresa e la determinazione di chi volle farsene artefice. A ritmo di valzer e mazurca, con il contorno di marcette e inni, Andrea Vitali s'inventa un'altra storia tutta italiana, fatta di furbizie e sogni, ripicche e generosità, pettegolezzi e amori.
Andrea Dell'Arti ha trentacinque anni ma ne dimostra meno di trenta. E soprattutto ha una fortuna sfacciata: non quella di chi vince al Superenalotto o a poker, o trova un sacchetto pieno di euro davanti al bancomat. No, è solo che, giorno dopo giorno, la vita sta esaudendo tutti i suoi desideri: l'amore e la famiglia, il lavoro e le aspirazioni creative... Insomma, tutto quello che gli italiani della sua età in genere hanno già smesso di desiderare. Ad Andrea, invece, va tutto bene, senza troppa fatica. Persino sua suocera lo adora... E tutto questo accade, per di più, in una città corrotta e malata, e negli ambienti più difficili. Contro ogni logica, al di là di ogni merito. Andrea non ha niente di diverso dai suoi amici e coetanei, solo che si trova sempre al posto giusto nel momento giusto: perché ogni volta c'è qualcuno che ha bisogno di un ragazzo brillante (ma non troppo), volonteroso (ma non troppo), ambizioso (ma non troppo), idealista (ma non troppo). Come un novello Candide, questo pavido eroe del nostro tempo attraversa lo scalcagnato inferno contemporaneo. "Esco presto" la mattina è una godibile satira, che non risparmia la politica e la letteratura, la famiglia e il cinema, per farceli vedere così come sono.
Per spiegare molte delle storture del mondo contemporaneo basta una semplice considerazione: la mente umana è relativamente nuova, viene usata intensamente solo da una decina di migliaia di anni. Lo stomaco invece, tanto per fare un esempio, ha avuto a disposizione centinaia di migliaia di anni per perfezionarsi. Tra i disastri che discendono dalla scarsa capacità umana di usare il cervello c'è l'enorme difficoltà di costruire storie d'amore davvero soddisfacenti. Piuttosto recente, infatti, è anche l'affermarsi dell'amore romantico come fulcro dell'esistenza degli individui: per migliaia di anni l'uomo ha avuto priorità drammaticamente più urgenti: mangiare, trovare riparo per la notte, sfuggire ai briganti e ai soldati del re. Logico quindi che non abbiamo accumulato molta esperienza come amanti... È l'ambito, così poco conosciuto ma così importante, affrontato da Jacopo Fo in questa "Corretta manutenzione del maschio" (però in realtà anche delle femmine), che fornisce alcune informazioni essenziali sull'amore a partire proprio dal cervello, completamente diverso nell'uomo e nella donna. Lo fa in modo divertito, leggero, tra osservazione quotidiana e vita domestica, scienza e teatro. Ma ogni gioco teatrale, si sa, è cosa seria. O almeno, felicemente semiseria.
"Tempo fa mi è capitato tra le mani questo libro. Con cosa avessi a che fare l'ho capito dopo un po', man mano che ogni pagina mi strappava il sorriso, e alla fine, quando mi sono scoperto commosso nonostante i dialoghi irresistibili e le risate. Il protagonista della storia è un buffo ragazzo, tenero e insopportabile insieme. Uno convinto di picchiare duro, ma che finisce steso in due secondi nel cortile della scuola; che straparla e non piange mai, nascondendo sogni e fragilità dietro un'irriducibile arroganza, pur continuando a buscarle ogni giorno dalla vita, e perfino da Chiara, la ragazza bella e inaccessibile di cui s'innamora. Uno così o lo ami o lo odi, e io l'ho amato, questo sedicenne protagonista di un romanzo in cui ho ritrovato tutta la gloriosa tradizione dei perdenti di talento, dal "Giovane Golden" ai personaggi di John Fante, col loro immancabile campionario di lividi. Ecco dunque che c'è un padre - "il Capo" - quasi alcolista; e c'è la "Foca Monaca", ubbidiente e grigiastra sorella timorata di Dio. Quanto alla madre, è scappata col tizio della stazione di servizio. La periferia torinese di fine anni Ottanta e il Muro di Berlino che crolla, insieme a un gioco di rimandi pop e cinematografici e a una scrittura esilarante quanto aggressiva nel suo realismo, fanno da sfondo a questo esordio: la prova che la narrativa italiana si muove, in direzioni nuove, inaspettate e potenti." (Giuseppe Genna)
Vienna, una notte di fine Settecento: gravemente ferito in seguito a un'aggressione, un uomo si lamenta riverso sulla strada e viene riportato a casa da un suo servitore che passava di là per caso. Responsabile, apprenderemo, è un marito geloso che ha esagerato nella bastonatura. Quell'uomo è Wolfgang Amadeus Mozart, che Franco Pappalardo La Rosa segue passo passo in questo tragico frangente della sua vita, basandosi su fonti documentarie poco note, ma anche liberamente inventando ambienti e situazioni. Ne deriva un romanzo storico di evidenza visiva, con le strade, le case, i palazzi del potere, la vita quotidiana di quella Vienna d'epoca, che ti balzano incontro con la vivezza e l'attualità di un reportage. Tuttavia, come dice Giorgio Bàrberi Squarotti nella postfazione, è ugualmente un romanzo su un "mistero" al quale certo non sono estranei intrighi, depistaggi e menzogne che hanno coinvolto ai massimi livelli la Corte imperiale.
Per il giudice Alessandro Maniero quella nuova indagine è una vera scocciatura. Alla sua età, ormai, restare a Cagliari nel mese di agosto è inaccettabile e quei due morti nella villa del tedesco proprio non ci volevano. La scena del crimine, composta da due uomini, Paulus Saint Paul de L'Aire, il padrone di casa, e Gino, il suo autista, seduti compostamente di fronte a uno splendido quadro, morti probabilmente per avvelenamento, fa pensare a un suicidio, cosa che velocizzerebbe sicuramente la soluzione delle indagini e l'inizio delle tanto agognate vacanze. Purtroppo, però, ci sono quell'armadio distrutto a colpi d'ascia, quel quadro che non è inventariato negli archivi di Saint Paul, noto mercante d'arte, e quella donna, la Zina, governante della villa, che pare troppo sconvolta per essere estranea ai fatti. Sarà una lunga estate quella che porterà Maniero a scoprire il morboso legame che univa i due uomini alla Zina, il motivo degli strani viaggi dell'autista sul continente e un segreto nel passato apparentemente cristallino di Saint Paul, risalente alla Berlino di Hitler. E il filo rosso sarà sempre quel maledetto quadro.
Il passato raccontato da Michele Mari è quello mitico e irrecuperabile dell'infanzia, eroso negli anni da una diaspora di oggetti e sentimenti il cui ricordo continua a sanguinare. Ma in questi racconti non c'è mai il rimpianto di una perduta età dell'oro, perché la violenza immaginifica dell'autore opera un recupero altissimo di emozioni infantili legate a un universo in cui le sole figure amiche sono quelle dei propri personali mostri e di pochi, semplici ma "fatidici" giocattoli. Ogni pagina spalanca abissi di malinconia dove fanno irruzione visioni fantastiche e terrificanti, in cui riecheggiano nitide le voci degli autori più amati, Stevenson, London, Poe, Melville. Così i giardinetti che accolgono gli svaghi pomeridiani dei bambini diventano lande inospitali, dove s'aggirano tremende creature mitologiche come le Antiche Madri; così un puzzle segna l'iniziazione a un'ascesi quasi monastica, così le copertine di Urania o le canzoni degli alpini diventano la palestra di ossessive elucubrazioni mentali, e tutto è tanto più feticisticamente inventariato quanto più la vita sembra cosa riservata ad altri. Una narrazione di trasalimenti e precoci nevrosi, condotta con commozione ma anche con feroce umorismo dalla voce inconfondibile di Michele Mari. Il ritorno di un libro uscito da Mondadori nel 1997, e già considerato da molti un piccolo, imprescindibile classico.
Roma, 9 settembre 1944. Al Teatro Valle si spengono le luci di scena del varietà satirico intitolato al destriero bianco di Mussolini: "Il suo cavallo", per l'appunto. Nella città da poco liberata, lo spettacolo va alla meno peggio. Sembra però che il pubblico "continui a divertirsi molto alla imitazione di Mussolini fatta da Campanini". È Steno che, con la collaborazione di Castellani, Soldati e Longanesi, ha messo su lo spettacolo. Soldati si rivolge agli amici e, quasi per sfida, annuncia che parte come inviato speciale per il fronte: sulle piste degli Alleati e del Corpo Italiano di Liberazione; là dove si combatte contro le truppe tedesche che, tra varie atrocità, continuano a occupare il paese, lontano da una capitale che sgangheratamente ride della sua recente pagliacciata storica e intanto crede di emanciparsi parlando un italiano lubrificato dallo slang degli Alleati. Le corrispondenze di guerra, scritte per l'"Avanti!" e per "l'Unità", edite e inedite, in parte raccolte dallo stesso Soldati ma mai date in volume, sono il necessario complemento del libretto "Fuga in Italia", pubblicato nel 1947: il libro edito racconta "una disavventura picaresca ed antieroica", una prima "fuga" da Roma, nel generale sbandamento succeduto all'armistizio fra l'Italia e gli angloamericani, e alla dispersione dell'esercito italiano; questo libro inedito è una seconda "fuga" da Roma, nel "tentativo di trovare un'anima eroica alla rinascente Italia".
Renata e Maria sono sorelle gemelle, ma non si assomigliano per niente. Diversa l'altezza, diverso il coraggio, diverso il modo di andare alla deriva. Renata ama Jorge, ma lo perde passando di letto in letto; Maria si affida all'eroina. La loro madre adora l'opera e lotta per aprire la sua erboristeria in pieno centro a Saragozza. Dice che la paura è un mucchio di cose: ciascuno vi passa accanto e raccoglie quello che vuole. Per le figlie si preoccupa solo delle cose pratiche, "non dell'anima". Crede fermamente nell'indipendenza. Ma "le peggiori dipendenze non sono quelle economiche", e la peggiore infedeltà è l'infedeltà a se stessi. Rivivendo corse in motorino, sedute di terapia 'light' nei centri di disintossicazione, seduzioni vampiresche e notti strane, Renata a quarant'anni si spoglia a poco a poco di ogni forma di autoinganno, decisa a entrare a occhi aperti nella vita che verrà.
La Riviera luccicante degli anni Venti, tra i balli e il casinò, le spiagge e i campi da golf, è lo scenario di questa storia in cui cospirazioni di corte, trame massoniche e manovre dei Servizi segreti sospingono i destini dei personaggi in un gioco che può rivelarsi mortale. È a Sanremo infatti che soggiorna Maometto VI, sultano in esilio. E poco distante, a Bordighera, ha la sua dimora la regina madre Margherita di Savoia. Ma quando il medico del sultano muore in circostanze misteriose, Fatima viene fatta fuggire dalla corte perché ha visto qualcosa che non doveva vedere. Sotto una copertura insospettabile si nasconde a Isolabona, paesino dell'entroterra ligure che "crede nella Madonna e nel silenzio". Qui trascorre le sue giornate aspettando Michel e l'ineluttabile compiersi del destino, mentre dal grammofono di Ricò, all'ingresso del paese, escono le note malinconiche di una canzone sudamericana che inspiegabilmente si interrompe sempre prima della fine. Ma il nascondiglio di Fatima si fa sempre meno sicuro: sono in troppi a voler conoscere il suo segreto. A partire da Gino Cariolato, lo chauffeur-coiffeur della regina, che invidioso delle sue doti di pettinatrice rischia di mettere a repentaglio la vita del sultano.