Nel gelido inverno del 1944, il giovane maestro Oriol Fontelles e sua moglie si trasferiscono a Torena, nelle valli dei Pirenei, ignari degli odi che la guerra civile ha seminato nel paese e delle drammatiche vicende che da lì a poco sconvolgeranno per sempre le loro vite. Sessant'anni dopo la maestra Tina Bros recupera per caso dei quaderni nascosti dietro la lavagna della vecchia scuola di Torena che sta per essere demolita. Sono le confessioni che Oriol Fontelles, prima di morire, scrive per scagionarsi agli occhi della figlia che non ha mai conosciuto. Intrecciando la sua vita personale a quella di Oriol e dell'affascinante nobildonna Elisenda Vilabrù, Tina riporta alla luce odi e amori, tradimenti e segreti volutamente custoditi per mezzo secolo. Con Le voci del fiume Cabré, grande conoscitore dell'animo umano e delle sue ombre, indaga il sentimento della vendetta e dell'odio, ma anche il valore del ricordo e della memoria, come unica forma di salvezza.
Firenze, giugno 1441: nei pressi della locanda dell'Orso, un ragazzo che conversa con Lorenzo Ghiberti, celebre scultore e pittore, si accascia al suolo con una daga piantata tra le scapole. Poco lontano, un uomo fugge in direzione dell'Arno.
Anversa e Tournai, durante lo stesso anno: due giovani apprendisti di Van Eyck, il grande artista delle Fiandre cui si deve l'invenzione della pittura a olio, vengono trovati cadaveri con la gola tagliata e della Terra di Verona in bocca.
Bruges, ancora nel 1441: Jan, il giovane figlio adottivo di Van Eyck, di ritorno a casa verso sera, si imbatte nel corpo di un uomo con gli occhi strappati, la gola squarciata e una polvere verdastra che gli cola dalle labbra...
«Si sta avvicinando. Anversa e Tournai, oggi Bruges»: è l'amaro commento di Van Eyck.
A che cosa alludono realmente queste parole? Perché l'assassino dovrebbe avvicinarsi alla città del riverito pittore?
Tra le brume delle Fiandre e il cielo luminoso della Toscana, si snoda un thriller carico di suspense e di avventura, oltre che un impeccabile romanzo storico che ci riporta all'epoca d'oro della pittura.
Irlanda del Nord, 1892. Charlotte Ormond, quattro anni, viene trovata morta nella stanza del guardaroba della dimora di famiglia. Ha le mani legate con una calza annodata a un anello infisso nel muro. La piccola si è strangolata nel tentativo di liberarsi. A chiuderla lì dentro è stata la madre Harriet, mettendo in atto i rigidissimi principi educativi in cui crede: la situazione le è sfuggita di mano, la sua colpevolezza è evidente, ma le cose sono davvero andate nel modo che appare più ovvio?
Sessanta anni dopo, Maddie, la vecchia tata di Charlotte, nel ricevere una lettera di Anna, l’ultima discendente degli Ormond, capisce che è giunto il momento di confessare un segreto che serba ormai da troppo tempo: solo lei sa cosa accadde veramente nell’ultimo giorno di vita di Charlotte.
Al racconto di Maddie si alternano le pagine del diario che Harriet Ormond ha scritto in carcere dopo la condanna con cui si è concluso il processo a suo carico. Due voci potenti e straordinarie, quella arcaica, intrisa di spunti gotici, della popolana Maddie, e quella secca, tagliente, aristocratica di Harriet, una donna fiera e indipendente, algida e volitiva, incapace di scendere a compromessi. La piccola comunità del luogo è stata pronta a giudicarla, ma il suo diario rivela una realtà ben più complessa.
Dall’affascinante trasposizione letteraria di una vicenda realmente accaduta, una mystery story dai risvolti psicologici e ricca di suspense, emerge con forza il contrappunto di due vite intense e misteriose, a rivelare le mille sfaccettature di un’apparente verità.
l'autore
Bernie McGill, commediografa, nel 2008 ha vinto il premio Zoetrope: All-Story Short Fiction Contest, voluto da Francis Ford Coppola. La donna che collezionava farfalle è il suo primo romanzo. Vive a Portstewart, nell’Irlanda del Nord, con la sua famiglia.
In terra c’è una borsa aperta, contiene già alcuni indumenti da notte, dei documenti, un tubetto di dentifricio. Manca solo un libro, e poi può essere chiusa. Sul vialetto davanti a casa è parcheggiata l’auto di un’amica, la persona che accompagnerà Brenda in ospedale.
Il libro che verrà infilato proprio sotto la zip è la prima cosa che lei prenderà in mano, quando si ritroverà in una stanza vuota, in un luogo che nemmeno riesce a immaginare. È una scelta importante, dev’essere il libro giusto, e Brenda Walker, scrittrice e docente di letteratura, è sempre vissuta di libri.
Ora che è diventata anche altro – una paziente – non può abbandonare la narrazione.
La diagnosi di tumore al seno è stata come una vertigine, la sensazione di precipitare in caduta libera. La paura per sé, per quel figlio che ancora deve finire di crescere, e poi la consapevolezza dei passi da compiere: leggeri ma decisi, via dalla morte, verso uno scopo. Verso la speranza. Sono cinque le fasi di questo pericoloso viaggio e i titoli hanno un suono netto, inequivocabile: chirurgia, chemioterapia, radioterapia, ricostruzione, sopravvivenza.
Viaggio scandito dai libri giusti, quelli che offrono sostegno ma non per forza consolazione, perché se uno scrittore può portarci in luoghi strani, difficili, le sue sono mani fidate. Quei libri che ci fanno vivere altre vite, altri amori, altre paure che la nostra singola esistenza non può contenere. Il percorso tumultuoso di Brenda verso la guarigione, grazie ai libri, è diventato denso di bagliori, rivelazioni che hanno tenuto a bada la paura. Così ha riletto – e noi con lei – da Don DeLillo a Dante, da Beckett a Karen Blixen, da Nabokov a Dickens, da Tolstoj a Cunningham, da Remarque a Coetzee.
Non vuole fuggire dalla realtà, Brenda, vuole acquisire una più profonda consapevolezza dell’amore di madre, della somiglianza tra fratelli, della meraviglia del corpo, della dolcezza di un’amicizia, di tutto ciò che la possibilità della nostra morte rende essenziale comprendere.
Aisha Farouk è una donna libanese che vive in Italia. Il suo compagno, libanese anch'esso, si è trasformato da normale musulmano in un estremista islamico. Oltre ad averla costretta al burqa e alla morte civile, è riuscito a rapire il loro unico figlio, Marco, e ad affidarlo a una zia di Beirut. Aisha non vede suo figlio da cinque anni perché la famiglia del compagno, forte anche di una sentenza del tribunale islamico, l'ha dichiarata una persona indegna di essere madre. Oggi Aisha si è liberata del burqa e del compagno. Ma non è ancora riuscita a rivedere il figlio. La battaglia legale per riallacciare quel cordone ombelicale spezzato è ancora sospesa e resa complicata dal coinvolgimento di ambasciate, diritto internazionale e fondamentalismi vari. “Lettera al mio bambino rapito” è il racconto, giorno dopo giorno, di questa vicenda tanto incredibile quanto coinvolgente. Comincia con la felice infanzia di Aisha in una Beirut appena ricostruita dopo la guerra, col viaggio in Italia per studiare medicina, lo sbocciare di un amore che si trasforma in prigione, sevizie e negazione dei diritti umani, fino al peggiore degli incubi: il rapimento e la privazione del diritto di essere madre. Una storia terribile e straordinaria, il cui finale è ancora tutto da scrivere.
Il portoghese Yanez de Gomera e il principe malese Sandokan vedono minacciati i loro beni, le loro stesse vite e quelle dei loro amici quando subiscono l’attacco di una misteriosa forza maligna che si manifesta attraverso una nebbia verde e lascia dietro di sé una scia di cadaveri. I due vecchi pirati libertari sono allora costretti a richiamare a raccolta le Tigri della Malesia per intraprendere quella che si presenta come la più pericolosa delle loro avventure. Una vera e propria discesa agli inferi su un’imbarcazione che porta il nome di La Mentirosa. Ben presto incontreranno Friedrich Engels, il professor Moriarty, sottomarini minacciosi, società segrete cinesi, Rudyard Kipling, i postriboli della Cambogia, gli orangutan del Borneo, trafficanti di schiavi, una sopravvissuta della Comune di Parigi, fondamentalisti islamici, filologi greci, la flotta militare britannica, filosofi stoici, piante carnivore, messaggi cifrati, banchieri filippini alleati di José Martí, spie antimperialiste… Paco Ignacio Taibo II sceglie di scrivere, sotto forma di pastiche, un nuovo, avvincente capitolo della saga salgariana. Un intreccio di avventura, sesso e politica, dove felicemente coesistono lo spirito ribelle e antimperialista del narratore, l’attenzione alla Storia e i grandi modelli del feuilleton ottocentesco.
Non si è mai soli a Kaikurussi, piccolo villaggio del Kerala. C’è sempre un vicino che dispensa consigli, che vuole sapere, che ficca il naso nella vita degli altri, pronto a giudicare e a commentare quello che ha scoperto. Una rete di chiacchiere che potrebbero portare anche il migliore degli uomini a comportarsi male. Ma esiste un uomo migliore di altri a Kaikurussi? È forse Mukundan che, pensionato, torna al paese dei genitori e si trova a combattere con i fantasmi del passato e con gli incubi del presente? O magari è Bhasi il pittore, laureato con il massimo dei voti, ma rassegnato a passare il resto della vita appollaiato su una scala di bambù a dipingere pareti, ascoltare le lamentele dei clienti e curare a modo suo chi ne ha bisogno? Di sicuro non è Achuthan, il padre tiranno di Mukundan, che il figlio, nonostante non sia più un ragazzo e abbia una sua vita, ancora teme, né il ricchissimo Ramakrishnan, intenzionato, nonostante i moltissimi soldi vinti alla lotteria, ad arricchirsi ancora di più calpestando chiunque osi mettersi sulla sua strada.
Toccherà a Mukundan scoprirlo sulla propria pelle, imparando per la prima volta nella vita ad avere fiducia in se stesso, a non lasciarsi condizionare dal giudizio di nessuno, ad aprirsi alle emozioni curandosi solo di chi gli è veramente vicino.
Il romanzo che diede a Bulgakov celebrità in vita, prima della fama universale postuma raggiunta con “Il maestro e Margherita”. Tutto ruota attorno alle vicende dei tre fratelli Turbin (Aleksej, Nikolka ed Elena) nella tempestosa Kiev del convulso inverno 1919-1920. La città è nelle mani dell'avventuriero Simon Petljura ma si trova anche nella morsa di un duplice accerchiamento, quello dell'atamano (cosacco) Shoropadskij e dei bolscevichi. Le avventure dei fratelli Turbin si susseguono fra malattie,guarigioni miracolose, preghiere, eroismi, fughe, divorzi, amori e amicizie. Sullo sfondo, tratteggiata con rapidità futurista ma allo stesso tempo con potente affiato epico, la Storia di una nazione e di un popolo fotografati in un momento decisivo.
Erica Falck è tornata nella casa dei genitori a Fjällbacka, incantevole località turistica sulla costa occidentale della Svezia che, come sempre d'inverno, sembra immersa nella quiete più assoluta. Ma il ritrovamento del corpo di Alexandra, l'amica d'infanzia, in una vasca di ghiaccio riapre una misteriosa vicenda che aveva profondamente turbato il piccolo paese dell'arcipelago molti anni prima.
Un regolamento di conti che affonda le sue radici nel passato sembra essere all'origine del delitto del vicolo del Giardino del Tesoro: qualcuno è entrato nella stanza di Yin Lige, solitaria scrittrice dissidente con un'infelice storia d'amore alle spalle, e l'ha soffocata. Un caso che le autorità di Partito giudicano di competenza della squadra speciale, perché "politicamente sensibile". Massima discrezione, dunque. Dato che l'ispettore capo Chen è in congedo per avere accettato l'allettante offerta di un ricchissimo imprenditore legato alle Triadi, tocca al suo vice Yu indagare la complessa realtà della shikumen dove Yin abitava e raccogliere le testimonianze di una comunità che sembra vivere ancora all'ombra della Rivoluzione culturale, quasi ricoperta dalla polvere del passato. Mentre tutt'intorno ambiziosi progetti urbanistici trasformano incessantemente Shanghai, scintillante delle luci dei nuovi palazzi e dei locali di lusso, al di là della porta scricchiolante di questo malandato complesso tipico dell'età coloniale, incastrato in un labirinto di vicoli, Yu entra nel mondo segreto che popola le strade più nascoste di una città divisa, quelle dei bassifondi dove decine di famiglie vivono stipate in stanze anguste, lontane anni luce dallo splendore e lo sfarzo destinati alle nuove classi emergenti.
Quando nel 1973 uscì “I due allegri indiani”, l'aggettivo “demenziale” non ancora entrato nel lessico della critica italiana: il primo film dei Monty Python sarebbe stato distribuito solo un anno dopo, “Hellzapoppin” e “La guerra lampo” dei fratelli Marx erano noti a una sparuta minoranza di cinofili e gli unici esempi di «demenzialità» proposti alle italiche genti erano i personaggi di “Alto gradimento”. Inoltre, Rodolfo Wilcock era un ospite assai singolare della nostra letteratura, quasi un alieno. Cresciuto alla scuola di Borges, già autore di parecchi libri nel suo Paese, si era reinventato come scrittore in una lingua, l'italiano, che aveva a sua volta reinventato con una estrosità, o meglio, una sfrenatezza, paragonabile solo a quella che Nabokov aveva inoculato nella lingua inglese. Forse perciò ci sono voluti anni prima che Wilcock venisse riconosciuto per quello che è: un maestro del fantastico e del grottesco - e un maestro della prosa italiana. “I due allegri indiani” si potrebbe definire un «romanzo rivista» , nel doppio senso della parola: perché è articolato nei trenta numeri della rivista «Il Maneggio» , diretta e redatta dal protagonista del romanzo stesso, che muta continuamente nome; perché ogni numero di questa rivista è come un susseguirsi esilarante di sketch di avanspettacolo, il cui autore fosse però un letterato abilissimo, un genio della satira. Gli indiani del romanzo sono da intendere, infatti, per lo più come italiani e, come scrisse Enzo Siciliano, «i fatti curiosi, i “minima moralia” recitati con ghigno sulfureo, la babele irrefrenabile dei referti, l'insensatezza programmatica dei trenta episodi che dovrebbero comporre il romanzo, concernono il costume italiano, i vizi del vivere all'italiana - vizi politici, letterari, psicologici, sessuali, religiosi» .Ma attenzione: “I due allegri indiani” è soprattutto una fonte continua di divertimento: si ride a ogni pagina, a ogni episodio, a ogni sberleffo, a ogni nuova invenzione verbale.
Una satira irriverente e pungente scritta dal grande autore irlandese. Swift parla del infanzia e dell'adolescenza provocando il lettore con l'esposizione di un'idea agghiacciante: Usare i bambini come carne da macello per le tavole delle classi benestanti irlandesi. Questo scritto e' di una attualita' sconcertante perche' a distanza di 250 anni i piu' deboli sono ancora oggetto di ogni tipo di violenza e sopruso. Molti sono ''gli orchi'' che si cibano in vario modo dell'ingenuita', della dolcezza, della fiducia della speranza dei piu' piccoli. Dalla violazione del diritto alla vita alla violenza psicologica e fisica la tavola e' imbandita di ogni ben di Dio per i palati fini dei mostri del ventunesimo secolo.