Precious Ramotswe, titolare della prima agenzia investigativa femminile del Botswana, è abituata da sempre alle stranezze del comportamento umano, nonché a muoversi in ambienti ben diversi da quelli in cui conduce la propria paciosa esistenza. In questo nuovo episodio, però, deve scendere su un terreno per lei davvero ostico: un campo da calcio; infatti il nuovo caso che ha accettato la spinge a investigare su una strana serie di sconfitte subite da una squadra favorita sulla carta: i Falchi del Kalahari.
Immersa nelle indagini, trova comunque il tempo per consolare la sua sempre leale assistente: quella signorina Makutsi con i grandi occhiali e la pelle difficile che ora vede insidiato il futuro matrimonio con il facoltoso proprietario del mobilificio Double Comfort. Il suo ingenuo fidanzato ha assunto nientemeno che la perfida rubamariti Violet Sephotho, avvenente venditrice di letti nonché millantatrice di voti alti alla Scuola per segretarie.
Tra tanti crucci, per fortuna c’è il tè. La signora Ramotswe si accomoda su una sedia, ne porge o ne accetta una tazza e comincia a esercitare la dote che più le si confà: quella dell’ascolto. Leggendo tra le righe, in una frase sussurrata a mezza voce, o nell’osservazione casuale di un bambino, trova il bandolo della matassa e fa sì che la pace torni di nuovo in Tlokweng Road, rinfrancante come la stagione delle piogge.
«La sera la mamma mi domandò che cosa avevo fatto durante il giorno. Le raccontai che ero stato insieme ai ragazzi più grandi. Mi domandò se mi prendevano così senz'altro con loro e io le spiegai che ora sì, mi prendevano con loro, perché avevo superato al prova. Ero stato all'osservatorio. Lei mi domandò che cos'era, un osservatorio. Risposi che lo sapeva benissimo, che lì c'erano i cadaveri e che sapeva anche benissimo che mio padre era stato gettato sopra gli altri cadaveri e che non aveva neppure un lenzuolo e io avevo detto ai bambini che ne aveva sì uno, mentre avevo visto benissimo che non ne aveva. Mi misi a strillare che lei era matta a lasciare che lo buttassero così sugli altri cadaveri senza lenzuolo e che non mi aveva neppure raccontato che era stato portato via dalla baracca dell'infermeria e che io volevo andare almeno a salutarlo un'ultima volta e che lei era stata cattiva e che era colpa sua se era lì così nudo sopra i cadaveri».
La voce narrante è un pittore privo di talento che conosciamo solo per la sua iniziale, H., un ritrattista ufficiale che comprende finalmente che la sua non è affatto arte ma una forma di schiavitù al potere. Da quel momento sarà la scrittura – e quindi la calligrafia – a dover trasmettere ciò che avrebbe dovuto passare attraverso la pittura. Nella migrazione da una forma d'arte all'altra, dalla pittura alla calligrafia, dalle immagini alla rappresentazione verbale, si snoda la storia della crisi di un uomo e di un paese, un percorso che simbolicamente si conclude il giorno della caduta del regime fascista portoghese.
Un romanzo definito dal suo autore "forse il mio libro più autobiografico", sospeso fra il Portogallo e l'amatissima Italia. Un percorso di rinascita di un uomo, di un artista e di una nazione.
"Questo Viaggio in Portogallo è una storia. Storia di un viaggiatore all'interno del viaggio da lui compiuto, storia di un viaggio che in se stesso ha trasportato un viaggiatore, storia di un viaggio e di un viaggiatore riuniti nella fusione ricercata di colui che vede e di quel che è visto… Prenda il lettore le pagine che seguono come sfida e invito. Faccia il proprio viaggio secondo un proprio progetto, presti minimo ascolto alla facilità degli itinerari comodi e frequentati, accetti di sbagliare strada e di tornare indietro, o, al contrario, perseveri fino a inventare inusuali vie d'uscita verso il mondo. Non potrà fare miglior viaggio."
Una "guida" anomala che va oltre la geografia di un paese amato, per addentrarsi nella psicologia di un popolo. Un invito a perdersi, più che a trovare la strada.
«Un paese è ciò che noi siamo nel momento in cui lo visitiamo».
Il Marocco bisogna intuirlo, immaginarlo, fare attenzione ai particolari, è un enigma da sedurre con garbo: per affrontarlo non serve una guida da scorrere distrattamente ma un libro che ci accolga con la stessa ospitalità dei suoi abitanti.
E dato che la vita privata di un paese passa anche per l'immaginario e per le storie che ha ispirato, questo libro dovrebbe essere come un romanzo che ne contiene altri mille - alcuni fedeli alla sua anima, altri splendidamente infedeli.
Sembrerebbe un libro impossibile, eppure è esattamente quello che ha scritto Tahar Ben Jelloun: l'autore di Creatura di sabbia accompagna il lettore verso l'anima più autentica del Marocco, in un itinerario le cui tappe sono le città e i deserti, i ricordi personali e la storia ufficiale, le leggende della sua terra e le tracce lasciate dagli stranieri che l'hanno attraversata.
Si parte da Tangeri («una città abituata all'abbandono, che produce eroi stanchi») - anzi dal suo famoso Café de Paris da dove osservare i tanti viaggiatori, da Ginsberg a Burroughs, da Bowles a Barthes, che come pellegrini vi sono giunti in cerca di piaceri promiscui, di oblio o di un nuovo inizio - per poi proseguire verso Casablanca, Fes, Marrakech, fino ai sentieri meno battuti della Chaouia o a uno sperduto accampamento ai piedi dell'Atlante.
Lo sguardo partecipe e affettuoso di Ben Jelloun non ignora nemmeno le ineguaglianze che ancora feriscono il Marocco, dalla corruzione a tutte quelle cattive abitudini che «si fanno certezze agli occhi di una popolazione che le accetta rassegnata». Perché se è vero «che ci sono paesi che ci incantano e altri che ci maltrattano o che sono una pena per gli occhi e ci danno l'emicrania», è anche vero che molto dipende dalla nostra disposizione ad accogliere quello che ci viene presentato: «L'anima non si dà, non si concede, non svela niente della sua intimità. È in noi o non è».
«Adesso ogni cosa è via, e lí è tutto un susseguirsi di spazi vuoti, come se un folletto maligno avesse eliminato tutto quello che io adoravo»
Conclusione della trilogia autobiografica iniziata con Le nozze in casa, Spazi vuoti (1985) racconta gli anni tra il '63 e il '73, la nouvelle vague praghese, il successo letterario, e poi i carri armati sovietici, i libri mandati al macero, l'abbandono forzato della vecchia casa e il trasloco in un anonimo palazzo di periferia. Attraverso la voce della moglie Pipsi, Hrabal si mette a nudo rivelando ciò che si nasconde dietro la maschera dello sbruffone da osteria: le sue piccole vigliaccherie, il narcisismo, l'amore per i gatti, la paura delle malattie e il terrore della morte. Finora inedito in Italia, l'ultimo tassello dell'autobiografia di uno scrittore-personaggio negli anni più belli e più drammatici del suo Paese.
23 agosto 1989, il ministero dell'Interno iracheno viene informato che nel corso di un inventario eseguito nella sede del Comando centrale della Polizia di Baghdad è stato trovato un manoscritto in un archivio. Scarabocchiato a matita, risulta essere il diario di un giovane detenuto di nome Furat. Dal manoscritto scopriamo che era uno studente di Lettere e poeta alle prime armi, dotato di uno spirito sardonico e corrosivo, arrestato un bel giorno di aprile, mentre guardava il cielo di Baghdad seduto su una panchina ad aspettare Arij, la sua fidanzata. Furat rievoca l'incubo delle carceri del regime e, in parallelo, la sua vita quotidiana fino all'arresto: l'adolescenza, la famiglia, l'università, la dittatura, la guerra Iraq-Iran, le partitedi calcio allo stadio, i primi amori. Racconta di un Iraq impossibile, dove il regime è ovunque, nella vita pubblica come in quella privata, dell'isteria della dittatura ba thista, così simile al nostro fascismo. Solo nel finale, ambientato in una Baghdad apocalittica e deserta, sembra profilarsi una speranza, ma forse è solo un'illusione, un miraggio. Breve e intenso, Rapsodia irachena ci offre in poche pagine un ritratto emozionante della vita nell'Iraq di Saddam Hussein, una miniatura delle sofferenze degli iracheni, dai ba thisti a Bush.
Da più di vent'anni una dolorosa faida lacera la famiglia Hult: Ephraim, il predicatore che infiammava le folle promettendo guarigione e salvezza, ha lasciato ai suoi discendenti un'eredità molto controversa. Il peso del sospetto continua a gravare su un ramo del clan, coinvolto suo malgrado nella sparizione di due ragazze risalente a molti anni prima. Una vicenda che nel delizioso paesino di Fjallbacka, sulla costa occidentale della Svezia invasa dai turisti per la bella stagione, torna a essere sulla bocca di tutti dopo l'omicidio di una giovane donna, quando in una splendida gola naturale, sotto quel corpo martoriato, la polizia scopre anche i resti di due scheletri. La calda estate di Erica Falck e Patrik Hedstròm, che presto avranno un bambino, viene cosi sconvolta da un'indagine che, in un'angosciosa lotta contro il tempo, cerca di sviscerare i meccanismi della seduzione del potere, sfidando la malevolenza di una piccola comunità di provincia carica di segreti. In questo secondo episodio della serie di Erica Falck, Camilla Lackberg si conferma maestra nel tessere gli intrighi di una società chiusa, dove l'apparenza conta sopra ogni cosa e scoprire cosa accade realmente nella vita degli altri si rivela un'impresa alquanto complessa.
Esattamente 110 anni fa, il 30 novembre del 1900 moriva a quarantasei anni Oscar Wilde, umiliato dalla povertà e dalla malattia, uno dei geni più rari e brillanti della letteratura e del teatro moderni.
Piano B edizioni presenta La disciplina del Dandy una selezione di saggi dell'intellettuale irlandese, uno Wilde diverso dal romanziere e drammaturgo apprezzato in tutto il mondo, e che in questi lavori mostra il suo talento di osservatore acuto e intelligente degli uomini e dei costumi degli uomini, passando in rassegna, quasi da antropologo e filosofo, temi come etica, morale, bellezza e politica.
Vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente esiste, ecco tutto.
Chiunque può simpatizzare col dolore di un amico, ma solo chi ha un animo nobile riesce a simpatizzare col successo di un amico.
Ne La disciplina del Dandy l’arte della provocazione e il gusto del paradosso, la scrittura aforistica, l’immediatezza e la vivacità del periodo, si confrontano con i temi della bellezza e del rapporto tra morale e arte, come in La decadenza della menzogna, o nelle teorie politiche anarchiche e sorprendenti ne L’Anima dell’uomo sotto il socialismo, uno dei lavori meno conosciuti e più sottostimati di Wilde. Completano il volume Impressioni dall’America – ironico resoconto sugli usi e costumi americani e le due raccolte di aforismi pubblicate per riviste studentesche e in forma anonima: Alcune massime per l’istruzione dei troppo istruiti e Frasi e filosofie ad uso dei giovani. Il volume si chiude con la Prefazione a Il ritratto di Dorian Gray, scritta da Wilde per rispondere alle accuse e alle polemiche in seguito alla pubblicazione de Il Ritratto di Dorian Gray.
E’ l’individuo e l’individualità ad essere centrale e ad emergere come in tutta la sua produzione saggistica, il singolo uomo libero da condizionamenti morali, politici e artistici, l’uomo innamorato della vita e della bellezza, il dandy, di cui Wilde auspica l’affermazione come superiore “modello” di uomo.
Le buone intenzioni sono state la rovina del mondo. I soli che hanno compiuto qualche cosa nel mondo sono stati coloro che non avevano nessuna intenzione.
Una storia d'amore, di vita e di morte, incentrata sulla vicenda del maratoneta portoghese Francisco Lázaro, che morì a causa di un'insolazione dopo aver corso trenta chilometri alle Olimpiadi di Stoccolma del 1912.
Un romanzo aspro e allo stesso tempo commovente che coinvolge il lettore nell'alternarsi di esistenze ricche di luci e ombre, di silenzi e risa, di timori e speranze.
«José Luís Peixoto è una delle più sorprendenti rivelazioni della letteratura portoghese contemporanea».
José Saramago
In questa cronaca familiare portoghese si alternano e sovrappongono le voci di un padre e di un figlio. Il primo, morto dopo una lunga malattia, ripercorre la propria esistenza, fatta di molte illusioni e molti fallimenti, e osserva, senza intervenire, il presente da cui ormai è escluso; il secondo rivive il passato e immagina il futuro mentre, ai Giochi olimpici di Stoccolma del 1912, partecipa alla maratona. Non avrà la gioia di conoscere il bambino che sua moglie sta per mettere al mondo: è destinato infatti a morire durante la corsa, stroncato da un'insolazione. Le parole di entrambi si mescolano nel ripercorrere un quadro atemporale e trascendente in cui l'esistenza si rivela mistero e solitudine. Al centro degli avvenimenti, la bottega di falegname di Francisco Lázaro che, tramandata di padre in figlio, nasconde una stanza tenuta sempre chiusa: è stipata di vecchi e malandati pianoforti, muti testimoni delle alterne vicissitudini della vita.
Frammentario e solo apparentemente sconnesso, perché modellato sulla tortuosità del filo dei ricordi, lo stile virtuoso e musicale di Peixoto conduce il lettore nell'intimità più pudica e miserabile dei suoi personaggi, dove la tenerezza si scontra con la crudeltà, e la morte, nonostante tutto, concede spazio alla vita. Quella stanza chiusa, il cimitero dei pianoforti, è la metafora dell'esistenza, è quella zona d'ombra e di conforto in cui si recuperano gli stimoli necessari per andare avanti.
Le indagini di un abile e tenace «Maigret delle Ande».
A Naccos, desolato cantiere minerario situato in una zona impervia delle Ande peruviane, il caporale della Guardia Civíl Lituma e il suo fedele aiutante, il giovane Tomás, indagano sulla misteriosa scomparsa di tre manovali, svaniti improvvisamente nel nulla. Da tempo la cordigliera è teatro delle azioni terroristiche di Sendero Luminoso, movimento rivoluzionario di ispirazione maoista, e appare subito assai probabile che i tre uomini siano stati rapiti e forse uccisi dai guerriglieri. Di - sordinata accozzaglia di giovani, donne e persino bambini, armati di pietre, randelli, coltelli, essi sottopongono i loro prigionieri a processi sommari in nome della giustizia proletaria. Tuttavia, il caporale Lituma non si ferma ai primi indizi e alle conclusioni piú ovvie. Giorno dopo giorno, caparbiamente, si immerge nella vita quotidiana degli sperduti villaggi per comprenderne l'umanità dolente di poveri contadini e minatori. E scopre cosí un mondo inesplorato di credenze antiche e riti ancestrali, radicati profondamente nel cuore degli indigeni. Ed è in questo modo che il caporale raggiunge infine, dopo una serie di colpi di scena, la sconvolgente verità che avrebbe preferito ignorare.