Gennaio 1497. L'arrivo di alcune lettere anonime contenenti inquietanti insinuazioni getta la corte di papa Alessandro VI nello scompiglio. A Milano, nel refettorio di Santa Maria delle Grazie, Leonardo da Vinci starebbe ultimando la realizzazione di un'opera dal contenuto blasfemo se non addirittura diabolico. L'affresco dell'"Ultima cena", infatti, presenta anomalie a dir poco sconcertanti: sul capo di Cristo e degli apostoli non vi è traccia di aureola; sulla tavola non si vedono il pane e il vino dell'eucarestia; e come se non bastasse l'artista ha avuto l'ardire di ritrarre se stesso nell'atto di dare le spalle a Gesù. Padre Agostino Leyre, inquisitore domenicano esperto nell'arte di interpretare messaggi cifrati, viene inviato d'urgenza nella città lombarda con il compito di fare chiarezza e di scoprire cosa abbia spinto il maestro toscano a stravolgere il testo biblico e a disattendere le aspettative dei committenti. E se Da Vinci fosse un eretico? Mentre una serie di efferati delitti semina il panico dentro e fuori le mura di Santa Maria delle Grazie, con il procedere delle indagini appare sempre più chiaro che l'"Ultima cena" nasconde un messaggio capace di sfidare i fondamenti stessi della dottrina cristiana. A quindici anni dalla sua prima comparsa, torna il romanzo in una nuova edizione ampliata e arricchita da immagini.
C'è un paese che non c'è. Al centro di una valle nebbiosa, circondato da un bosco dai cui rami scheletrici penzolano cadaveri di impiccati, il paese - un nucleo isolato di case in rovina, una locanda, un bagno pubblico - vive una non-vita immota e immutabile, congelata in un'eterna ripetizione di gesti, riti, culti. L'inverno è lungo, l'estate corta, le gravidanze durano due anni: nemmeno i bambini vogliono nascere, nella valle della Verhovina. Nulla turba questa quiete che non è un letargo; è un corna: gli abitanti - il capo della brigata per il controllo delle acque, Anatol Korkodus; il giovane Adam, uscito dal penitenziario di Monor Gledin per aiutare il brigadiere nelle sue mansioni; la curatrice Nika Karanika, che sa resuscitare i morti; la sarta Aliwanka, che predice il futuro nei fazzoletti inzuppati di lacrime - aspettano; aspettano che in paese arrivi qualcuno, ma non arriva mai nessuno, e quei pochi che arrivano se ne vanno, o scompaiono, o si gettano nelle acque della sorgente numero due, dove tutto ciò che cade «diventa blu, e dopo un po' di tempo vi si deposita sopra una specie di cristallo blu in aghi appuntiti». Anche gli uccelli sono spariti: sono volati via, un giorno, e non sono più tornati. Ultimo romanzo di Ádám Bodor, «l'autore più spietato, più crudele della letteratura contemporanea est-europea» nelle parole di László Krasznahorkai, "Boscomatto" è una successione di tavole bruegeliane in cui le situazioni si ripetono in modo ossessivo, come se i personaggi - lunga teoria di figure sole'e disperate, accomunate da un desiderio perennemente frustrato di contatto umano - fossero condannati a replicare senza sosta i gesti di una farsa insensata. Del resto, nella valle della Verhovina non esistono passato, presente e futuro; il filo del tempo è un cappio e ogni vita, congelata nel ghiaccio, è un fossile imperfetto che ci arriva dalla fine dei giorni, alla cui sorte siamo tutti fraterni.
Il "De profundis" (1897) è fra le ultime opere del grande autore irlandese. Composta in parte durante la sua detenzione nel carcere di Reading, si presenta in forma di lettera indirizzata al giovando amante Bosie. È un testo ricco di motivi e provocazioni intellettuali, ove non manca il consueto atteggiamento di ribellione contro il conformismo bigotto della società dell'epoca vittoriana, ma neppure un certo vittimismo di matrice romantica, né quel gusto per la teatralità e l'istrionismo - la maschera e il volto - che, a dispetto delle circostanze, sempre contraddistingue la scrittura di Oscar Wilde. Centrale rimane comunque nell'opera il tema dell'inevitabile isolamento dell'artista moderno. Introduzione di Silvia Mondardini.
Alla confluenza di due mondi quello cristiano e quello musulmano sorge Visegrad, in Bosnia, da sempre città di incontro fra diverse razze, religioni e culture. Ed è qui che nel Cinquecento il visir Mehmed-pascià fece erigere un ponte, diventato un simbolo dell'oppressione perché costruito grazie alla fatica e ai sacrifici di molti cristiani, ma anche una testimonianza della fusione di due diversi mondi. Il ponte è il centro del romanzo di Andric: un grande affresco che va dal Cinquecento alla Prima guerra mondiale e che ha per sfondo una Bosnia romantica, con le sue complesse vicende storiche ma anche con i drammi quotidiani degli uomini che vi abitano. Andric si conferma interprete e commosso cantore di questa terra tormentata.
È il 1939 nella Germania nazista. Tutto il Paese è col fiato sospeso. La Morte non ha mai avuto tanto da fare, ed è solo l'inizio. Il giorno del funerale del suo fratellino, Liesel Meminger raccoglie un oggetto seminascosto nella neve, qualcosa di sconosciuto e confortante al tempo stesso, un libriccino abbandonato lì, forse, o dimenticato dai custodi del minuscolo cimitero. Liesel non ci pensa due volte, le pare un segno, la prova tangibile di un ricordo per il futuro: lo ruba e lo porta con sé. Così comincia la storia di una piccola ladra, la storia d'amore di Liesel con i libri e con le parole, che per lei diventano un talismano contro l'orrore che la circonda. Grazie al padre adottivo impara a leggere e ben presto si fa più esperta e temeraria: prima strappa i libri ai roghi nazisti perché «ai tedeschi piaceva bruciare cose. Negozi, sinagoghe, case e libri», poi li sottrae dalla biblioteca della moglie del sindaco, e interviene tutte le volte che ce n'è uno in pericolo. Lei li salva, come farebbe con qualsiasi creatura. Ma i tempi si fanno sempre più difficili. Quando la famiglia putativa di Liesel nasconde un ebreo in cantina, il mondo della ragazzina all'improvviso diventa più piccolo. E, al contempo, più vasto.
Chi era il nonno dei robot? Il golem è forse uno dei più antichi esseri artificiali leggendari: un gigante di argilla creato, su ispirazione divina, da un rabbino, in aiuto degli Ebrei di Praga; un enorme fantoccio che si anima solo quando in fronte gli viene inciso il completo nome di Dio. In un primo tempo il golem ubbidirà agli ordini, ma poi comincerà ad avere vita propria, a essere invaso dalla malinconia, a sentirsi solo e diverso. E tra mito, filosofia e fantascienza, la sua storia avrà un finale fiabesco, che lo accomuna a quello commovente e immortale della "Bella e la Bestia". Età di lettura: da 12 anni.
Il romanzo si svolge su due principali piani narrativi, ai quali corrispondono due differenti ambientazioni. La prima di queste è la Mosca degli anni trenta del Novecento, in cui si trova in visita Satana nei panni di Woland, un misterioso professore straniero, esperto di magia nera, attorniato da personaggi alquanto particolari: il valletto Korov'ev, soprannominato Fagotto, un ex maestro di cappella sempre vestito con abiti grotteschi, il gatto Behemot, il sicario Azazello , il pallido Abadonna, con il suo sguardo mortale e la strega Hella. L'arrivo del gruppo porta scompiglio non solo fra i membri di un'importante associazione letteraria sovietica, la MASSOLIT, luogo di convegno dell'alta società moscovita, ma in tutta Mosca. La seconda storia, che si sviluppa nel corso dell'intero romanzo interrompendo la narrazione principale sui fatti di Mosca, rievoca gli avvenimenti accaduti a Gerusalemme durante il periodo pasquale al tempo del procuratore romano Ponzio Pilato...
Riduci
Fuga senza fine fu pubblicato nel 1927 e rispecchia il clima tra le due guerre mondiali facendo presagire l'avvento del nazismo. Le vicende di Tunda sono il pretesto narrativo di cui Roth si serve per dipingere con ironia gli squarci della società europea dell'epoca. Tunda, ben lungi dall'essere un eroe positivo, è un uomo in balia degli eventi, rassegnato alla propria sorte. Tunda è un "sintomo" della malattia che altri hanno già contratto. I ricevimenti mondani, la folla per le strade, le conversazioni piatte e superficiali, il denaro che conferisce valore all'esistenza e un generale senso di fugacità sono resi da Roth in modo davvero avvincente. All'interno - come in tutti i volumi Fermento - gli "Indicatori" per consentire al lettore un agevole viaggio dentro il libro.
Nel mondo dell'"upper class" britannica, l'aristocratica Guendalina manifesta la sua predilezione per il nome Ernesto (Ernest, nella lingua inglese, si pronuncia come la parola earnest, aggettivo utilizzato per indicare colui che è serio, coscienzioso, franco) e il giovane Giovanni Worthing (Nino) ha assunto tale nome allo scopo di farle la corte, inventandosi pure un fratello scapestrato, impersonato dall'amico Algernon, che ama a sua volta la piccola Cecilia e che approfitta dall'inganno escogitato dal primo per starle accanto. La vicenda, da sempre rappresentata sui palcoscenici di tutto il mondo, si snoda in maniera quanto mai brillante, sospesa com'è fra equivoci geniali e dialoghi superbi che Wilde sa abilmente condurre sino a un lieto fine che, ancora una volta, conferma il paradosso della superiorità delle parole sui fatti anticipando tutte le risultanze del teatro dell'assurdo.
Nella casa in mezzo al bosco che fu l'abitazione e l'atelier di Amada Masahiko, il grande artista autore del misterioso quadro «L'assassinio del Commendatore», vive ormai da qualche mese il giovane pittore protagonista di questa storia. La dimora è sperduta, ma non del tutto isolata: nel primo volume, «Idee che affiorano», avevamo conosciuto Menshiki, un vicino ricchissimo e sfuggente mosso da motivazioni solo a lui note. O la piccola Akikawa Marie, studentessa del corso di disegno tenuto dal protagonista, che per una volta sembra abbassare le difese e stringere un legame profondo col suo professore. Per non parlare del Commendatore stesso... Con «Metafore che si trasformano» si conclude l'«Assassinio del Commendatore». Come un mago al culmine del suo potere incantatorio, Murakami Haruki dà vita a un intero universo (a più di uno, a dire il vero...) popolato di personaggi, storie e enigmi che hanno la potenza indimenticabile dei sogni più vividi. Ma non è solo il gusto per il racconto a muoverlo: una volta giunto al termine di questo viaggio visionario, il lettore si scopre trasformato come i personaggi di cui ha letto le avventure, esposto, quasi senza averne avuto consapevolezza, al cuore pulsante della grande letteratura. «L'assassinio del Commendatore», a quel punto, inizia a svelare i suoi mille volti: una riflessione, molto realistica (e attuale), sulle ferite della storia, sulla colpa e la responsabilità. Una terapia per sopravvivere ai traumi. Una guida pratica per orientarsi nel mondo delle metafore. Ma anche un racconto fantastico sui mostri che ci divorano dall'interno, sulle paure che ci sbranano nella notte dell'anima; e su come, quei mostri, possiamo vincerli: prendendoci cura di chi arriverà dopo di noi.
Thomas Edison, genio, scienziato, inventore della lampadina e di un altro migliaio di brevetti, si trova in un momento di difficoltà, che questa volta non sa superare. A mancargli è il denaro, quello che gli serve per le sue ricerche e soprattutto per realizzare i prodotti che ha immaginato. E proprio quando la situazione diventa insostenibile, si presenta alla sua porta chi del denaro ha fatto il proprio mestiere, con lo stesso talento e la stessa dedizione che Thomas mette nell'inventare. J. P. Morgan è famoso in tutta l'America: perché è un banchiere di enorme successo, perché emana un potere quasi assoluto e certamente perché ha una disponibilità di denaro sostanzialmente infinita. Per lui, offrirne una parte a Edison non è che un altro investimento. Per Thomas, è la soluzione a tutti i problemi. Ma quello che il genio stipula è un patto col diavolo: invischiato nella vita privata di Morgan, sempre più avido dei privilegi che la ricchezza gli garantisce, Edison non si rende conto di essere solo uno strumento per arricchire uomini già ricchi, per rendere più potenti uomini già potenti. Finché un giorno, si risveglia dal suo torpore e ascolta la folla. Che reclama a gran voce: che luce sia!
Brooklyn, ai giorni nostri. Durante una tempesta di neve, Richard Bowmaster, professore universitario spigoloso e riservato, tampona la macchina di Evelyn Ortega, una giovane donna emigrata illegalmente dal Guatemala. Quello che sembra solo un banale incidente prende tutt'altra piega quando Evelyn si presenta a casa del professore per chiedere aiuto. Smarrito, Richard si rivolge alla vicina, che conosce a malapena, Lucia Maraz, una matura donna cilena con una vita complicata alle spalle. Lucia, Evelyn e Richard, tre persone molto diverse tra loro, si ritrovano coinvolte in un thriller dalle conseguenze imprevedibili. Tre destini che Isabel Allende incrocia per dare vita a un romanzo molto attuale sull'emigrazione e l'identità americana, le seconde opportunità e la speranza che, oltre l'inverno, ci aspetti sempre un'invincibile estate.