Investita da una tormenta di neve, la città è un miscuglio di etnie e fazioni politiche. Ci sono turchi, curdi, georgiani, nazionalisti laici e integralisti religiosi. C'è la polizia segreta, c'è l'esercito e ci sono i terroristi islamici. Ka inizia la sua indagine, mentre la neve continua a cadere e le strade vengono chiuse. Kars è isolata. In città, Ka rivede dopo diversi anni Ipek, una compagna di università molto bella. Ka se ne innamora e sogna di portarla con sé in Germania. Per realizzare questo sogno, farà di tutto. La situazione precipita quando una compagnia di teatro mette in scena un dramma degli anni Venti, scritto in sostegno della laicità dello Stato fondato da Atatùrk, dove una donna, coraggiosamente, brucia il chador in pubblico. Durante lo spettacolo alcuni giovani del liceo religioso inscenano una protesta. E la serata finisce nel sangue. Ka viene coinvolto suo malgrado. È uno spettatore imparziale, ma molto confuso. Non sa nemmeno rispondere alla domanda: credi in Dio? Sostiene che a Kars ha ritrovato Allah, ma poi l'unica cosa che gli interessa è la ricerca, molto occidentale, della felicità. Il dilemma di Ka ruota intorno al confronto tra Occidente e Islam.
Un gorilla nello zoo ad Abu Dhabi. Un contadino nella foresta polacca di Bolimowska. Le foglie dell'ippocastano ingiallite in un autunno berlinese. Con il fiuto del reporter valoroso, Kapuscinski si insinua fra passato e presente, fra un luogo del mondo e l'altro e, ogni volta, in ogni occasione, scatta una straordinaria, fulminea, intelligenza degli uomini e delle cose. Questo volume è un libero intarsio di meditazioni che traggono ispirazione dai viaggi, dalle letture, dalle riflessioni, dall'esperienza. Dalla pagina di diario all'analisi politico-economica, dal resoconto di incontri con artisti e intellettuali (ma anche con la vicina di casa) alla lettura di libri, classici e recenti, alle suggestioni che gli arrivano dal cinema e dalla musica, Kapuscinski si rivela un osservatore acutissimo e uno scrittore coinvolgente, capace di tenere insieme il variare degli scenari e delle sollecitazioni con la formidabile duttilità della narrazione. Che parli di televisione, giornalismo, letteratura, cinema, musica pop o comunicazione in genere, Kapuscinski sfronda le informazioni e mette in guardia da ciò che è futile o solo marginale. Tra le pietre miliari che compongono il suo lapidario non poche indicano "direzione pericolosa".
Iraq, 2003: lo scoppio di una bomba copre una donna di detriti e fa emergere dal suolo un piccolo cono d'argilla, un oggetto usato dai Sumeri per contare, 5000 anni fa. La donna, Aémer, è sopravvissuta, e il suo mestiere è proprio setacciare, alla ricerca di oggetti come i calculi d'argilla, il suolo del Paese dove fu inventata la scrittura delle lettere e dei numeri. Fa l'archeologa. Ma questa terra custodisce anche il mistero delle sue vite precedenti: sacerdotessa dell'amore a Uruk, prostituta a Ur, interprete di sogni a Babilonia, danzatrice a Bagdad nel IX secolo... A ciascuna di queste figure femminili corrisponde una tappa della storia del numero zero, cominciata in Mesopotamia e passata attraverso la cultura babilonese e araba. Ma nella vita quotidiana delle cinque donne ritroviamo la medesima Aémer, la cui vitalità cerca di colmare un vuoto non dissimile da ciò che lo zero rappresenta.
In queste pagine si racconta la vicenda di una fanciulla, Effi Briest appunto, che sposa giovanissima un antico spasimante della madre, salvo poi tradirlo più per noia che per passione. L'amore clandestino ha vita breve ed Effi ritorna a essere una sposa devota e fedele. Ma il destino è in agguato, e dopo anni di serena vita coniugale il marito scopre l'antico adulterio. Nei tragici sviluppi della vicenda a Effi, innocentemente colpevole, rimarrà solo l'affetto del padre cui aggrapparsi.
Hyok vive nel villaggio di Unsong, in Corea del Nord. È un ragazzino sveglio e vivace, un piccolo scavezzacollo che fa la vita di tutti i suoi coetanei: va a scuola, canta le canzoncine della propaganda di regime, viene obbligato a presenziare alle esecuzioni pubbliche, lavora, assiste alle più maniacali forme di repressione, viene punito per ogni cosa, anche per la sua passione per il disegno. Eppure non c'è dubbio, quello che l'onnipresente Kim-il-Sung, "Il Cervello Perfetto", "Il Sole", ha creato per loro è "Il Paradiso": lo ripete senza sosta la radio, bloccata sui programmi di Radio Pyongyang, lo ripetono a scuola i maestri e gli altoparlanti nelle piazze. Intanto, Hyok fa la fame. La sua classe si è dimezzata a causa della mortalità da denutrizione. Si mangia quello che si può e più spesso quello che non si dovrebbe: corteccia di pino bollita, erba, funghi tossici, a volte ratti. Il Paradiso ormai trabocca di "rondini", di bambini che cercano per terra briciole e chicchi di riso. Fino al giorno in cui, con la sua famiglia, Hyok non decide di scappare. Via, lungo il confine, verso un mondo sconosciuto che gli avevano insegnato a temere e disprezzare, in fuga dal Paradiso. Per conquistarsi quel che resta dell'infanzia. Per trovare davvero una vita.
Quando questo romanzo venne pubblicato, Fëdor Dostoevskij aveva ventiquattro anni; fu un successo travolgente: la critica fu subito concorde nel dichiarare che il suo autore era un genio, un genio, però, che viveva nella miseria più nera, quella miseria senza speranza che ispira, appunto, "Povera gente". Due giovani si scrivono, si raccontano le loro piccole vicende quotidiane, le loro speranze, i loro sogni. Nasce così un amore che potrebbe aprire a entrambi la via della felicità, ma la loro miseria è tale che la ragazza deciderà di sposare un uomo non più giovane, ma ricco nella folle speranza di poter aiutare il suo infelice amico. Un romanzo epistolare che scosse la Russia e segnò l'inizio della carriera di un titano della letteratura mondiale. Introduzione di Fausto Malcovati.
È un rapporto molto conflittuale, fatto di continue rotture e difficili riconciliazioni, a legare la narratrice a Emerenc Szeredàs, la donna che la aiuta nelle faccende domestiche. La padrona di casa, una scrittrice inadatta ad affrontare i problemi della vita quotidiana, fatica a capire il rigido moralismo di Emerenc, ne subisce le spesso indecifrabili decisioni, non sa cosa pensare dell'alone di mistero che ne circonda l'esistenza e soprattutto la casa, con quella porta che nessuno può varcare. In un crescendo di rivelazioni scopre che le scelte spesso bizzarre e crudeli, ma sempre assolutamente coerenti dell'anziana donna, affondano in un destino segnato dagli avvenimenti più drammatici del Novecento.
Quando, nell'ottobre 2004, Wangari Maathai riceve la notizia dell'assegnazione del premio Nobel per la Pace, decide di festeggiarlo nel modo migliore che conosca: piantando un albero. Attorniata da una folla di spettatori e giornalisti, scava la terra rossa e calda della valle dominata dal Monte Kenya e, commossa, vi depone una pianticella. Negli oltre trent'anni di lotta incessante in difesa dell'ambiente e della democrazia, gli alberi sono sempre stati la sua fonte d'ispirazione: da loro ha imparato che, per quanto si tenti di distruggerle, una volta che giustizia e verità hanno messo radici nel cuore di un popolo germoglieranno per sempre; come gli alberi, ha attinto forza e nutrimento dalla sua terra, restandovi ben piantata, ma allo stesso tempo è riuscita a svettare verso il cielo, diventando un esempio di speranza e coraggio per il mondo intero. Ripercorrendo gli ultimi cinquant' anni della storia del Kenya, Wangari Maathai racconta in questa autobiografia una vita di battaglie pubbliche e private: l'infanzia in un villaggio, gli studi negli Stati Uniti dell'era Kennedy, il rientro in Africa all'indomani dell'indipendenza, la fondazione del Green Belt Movement - che arriverà a piantare oltre trenta milioni di alberi -, i numerosi riconoscimenti internazionali. Ma anche la discriminazione etnica e sessuale, la fine della carriera all'Università di Nairobi, il divorzio, gli anni bui del governo autoritario di Daniel arap Moi, le minacce di morte, il carcere.
André Schwarz-Bart nello scrivere questo romanzo, romanzo che sfocia nell'immane tragedia dell'Olocausto, con l'intento di ricostruire il lungo percorso dell'essere ebraico e di una continuità storica che era innanzitutto continuità spirituale. Il legame tra passato e presente, il filo unico di questa continuità è affidato alla Leggenda dei Giusti, uomini che assumono su di sé la sofferenza degli altri, rendendone possibile la sopravvivenza in un mondo carico di dolore.
Manaka, ventitré anni, è cresciuta in una casa circondata da un grande giardino, a pochi passi dalla casa di Hiroshi che, dopo essere stato il compagno di giochi dell'infanzia e l'amico intimo dell'adolescenza, è diventato suo marito. La loro vita sembra procedere senza scosse fino alla morte del nonno di Hiroshi con cui il ragazzo ha sempre vissuto, dopo essere stato lasciato da entrambi i genitori che avevano deciso di far parte di una setta religiosa in America. Nel mettere a posto la casa del nonno, emergono particolari che gettano una luce sinistra sullo spirito della setta e che spiegano le angosce da cui Hiroshi è talvolta sovrastato.
"E' il rendiconto psicologico di un delitto. Un giovane, che è stato espulso dall'Università e vive in condizioni di estrema indigenza, suggestionato, per leggerezza e instabilità di concezioni, da alcune strane idee non concrete che sono nell'aria, si è improvvisamente risolto a uscire dalla brutta situazione. Ha deciso di uccidere una vecchia che presta denaro a usura..." (Dostoevskij).