Racchiude le corrispondenze dei personaggi più importanti della storia dell'umanità. Grandi filosofi, artisti, musicisti, scrittori immortali che ci aprono le porte dei loro cuori, consegnando un loro ritratto inedito e coinvolgente, facendoci partecipi del loro rapporto con l'amato, uomo o donna che sia. È così che potremo scoprire il travagliato rapporto tra Napoleone e Giuseppina Beauharnais o le accorate missive di Beethoven alla sua Amata Immortale. Quelle di Edgar Allan Poe, di Wagner, di Baudelaire, fino a quelle di Gramsci e di Pessoa, passando da Jack London e Oscar Wilde. Una raccolta che come un libro di poesie può lasciarsi leggere una lettera al giorno, centellinando le scoperte; oppure può offrirsi alla curiosità di passare da un autore all'altro, senza sosta, per un'abbuffata d'amore.
Nel 1530 un giovane si reca in una villa nella campagna modenese per incontrare la vedova di Aldo Manuzio, il famoso stampatore veneziano, e mostrarle la biografia che ha scritto su di lui. Non sa che la storia vera è molto diversa dai toni epici del suo racconto. Da quando era approdato a Venezia nel 1489 con il proposito di realizzare raffinati volumi dei tesori della letteratura greca, Manuzio aveva dovuto affrontare difficoltà impensabili, come il furto dei manoscritti, le imposizioni commerciali del cinico Andrea Torresani – suocero nonché proprietario della stamperia – e la censura dei potenti. Le edizioni con testo originale a fronte, il corsivo, il libro tascabile, innovazioni per le quali Manuzio sarebbe stato ricordato per sempre, erano frutto di compromessi, trucchi, debiti, e lui per realizzarle si era dovuto difendere da attacchi e boicottaggi. Lo stampatore di Venezia racconta gli aspetti più passionali e intimi di Aldo Manuzio, la sua devozione per la cultura classica e il suo cerebrale epicureismo. E racconta gli esordi dell’editoria all’epoca dei Medici, di Savonarola, Tiziano, Pico della Mirandola, Erasmo da Rotterdam: un momento storico di crisi e cambiamento nel quale sono riconoscibili le sfide che ancora oggi l’editoria moderna si trova a fronteggiare.
Ogni sera, alla stessa ora, l'intero paese si ferma e si mette in ascolto davanti alla radio. Mentre nelle case si diffondono le prime note della sigla musicale, nel piccolo studio di calle Caspe, a Barcellona, cala il silenzio, una luce comincia a lampeggiare e due labbra dipinte di rosso si avvicinano al microfono per augurare la buona notte agli ascoltatori. Sono le labbra di Aurora, la presentatrice di uno dei programmi radiofonici più popolari nella Spagna degli anni settanta: "La posta della señorita Leo". Quando Aurora inizia la sua collaborazione con la radio, non può certo immaginare quanto quel lavoro le cambierà la vita. Per molte persone la señorita Leo è una vera e propria ancora di salvezza, una confidente, un'amica via etere. Persone come Germán, un rappresentante di biancheria intima che ogni sera ascolta quella voce calda e rassicurante sognando di trovare l'amore; Sole, che non ha il coraggio di affrontare il marito violento; ed Elisa, un'adolescente solitaria e tormentata. Nelle lettere che riceve, Aurora trova sogni, speranze e paure, ma quando scopre che l'emittente censura la maggior parte delle missive perché il programma deve mantenere un tono frivolo e scanzonato, decide di fare di testa propria. Dopo anni di remissiva ubbidienza e anonimato, avrà una missione nella vita: salvare le lettere della gente comune e dare voce alle storie del cuore, che meritano tutte di essere ascoltate.
Sudafrica. In un ipotetico futuro scoppiano disordini di tale entità da costringere i bianchi alla fuga. Bam e Maureen Smales con i loro tre figli, alla disperata ricerca di una via di fuga, accettano il suggerimento del loro servitore nero, Luglio, e si rifugiano nel suo villaggio. Separati all'improvviso da tutto ciò a cui erano abituati, capovolti integralmente i rapporti di forza, per cui sono gli Smales a dipendere integralmente da Luglio, si vedono costretti a prendere di nuovo le misure del mondo, a rapportarsi in modo completamente inaspettato con se stessi e con gli altri.
Spiegelgrund non esiste più. Le mura che circondavano l’ospedale viennese sono state abbattute e tutto quello che il personale aveva giurato di non rivelare mai a nessuno non è più un segreto. Tra il 1940 e il 1945, in quel diabolico istituto il cui obiettivo ufficiale era di raddrizzare i bambini più ribelli e di assistere quelli affetti da malattie psichiche, la realtà era tragicamente diversa. Adrian Ziegler vi arriva nel gennaio del 1941, in una fredda e limpida mattina d’inverno scintillante di brina. Quegli edifici pallidi all’ombra della collina, con le facciate di mattoni scrostate e le inferriate alle finestre, diventeranno la sua casa negli anni a venire. La sua, come quella degli altri bambini rinchiusi a Spiegelgrund – orfani, ritardati, disabili, piccoli delinquenti, «degenerati razziali» –, è una vita indegna di essere vissuta. Non ci sono cure ad attenderli, solo medici pronti ad attuare il programma nazista di eutanasia infantile voluto da Berlino. Persone convinte che contrastare la malattia, fisica o morale, sia necessario per rafforzare la razza, o forse, banalmente, solo attirate dall’opportunità di tormentare qualcuno. E ancora, ligi esecutori degli ordini, perché a seguire le leggi in vigore non c’è ragione di sentirsi in colpa. Come l’infermiera Anna Katschenka, che pur amando i bambini ubbidisce per lealtà e senso del dovere e, quasi senza rendersene conto, finisce per scivolare dalla parte dei mostri. Dopo "Gli spodestati", attraverso i destini di Adrian e Anna, e del coro di personaggi che popolano il microcosmo di Spiegelgrund nel cuore dell’Europa nazista, Steve Sem-Sandberg torna a intrecciare magistralmente storia e finzione in un potente romanzo polifonico che, come ha dichiarato la giuria dell’August Prize, «bisogna leggere e mai dimenticare». Un libro che, con la sua scrittura intensa e profonda, racchiude una riflessione memorabile sull’umana capacità di fare il male, e di resistere.
«Tra Parigi e Stoccolma passa il meridiano del dolore e della consolazione» scrive Nelly Sachs nel 1959, all'inizio di questo cruciale e rarefatto carteggio che coinvolge due ebrei protagonisti del Novecento, il poeta romeno Paul Celan (1920-1970) che vive a Parigi e la poetessa e premio Nobel Nelly Sachs (1891-1970) fuggita a Stoccolma dal nazismo. Qualche anno più tardi Celan intitolerà Il Meridiano il suo discorso per il conferimento del premio Büchner. Lo scambio epistolare qui pubblicato in una edizione rivista e aggiornata è qualcosa di più di un carteggio, è una vera ancora: si affrontano due esseri umani segnati da un analogo destino di sopravvissuti, due «fratelli nello spirito» che si parlano in versi e con ostinazione cercano, fino alla soglia della morte, una dimora nella parola.
Nel quarto, emozionante capitolo della saga bestseller "Le sette sorelle", Lucinda Riley ci regala una storia ricca di intrighi e passione, di colpi di scena e personaggi indimenticabili: "La ragazza delle perle" è la storia di CeCe.
Da quando Star ha trovato la sua vera famiglia e un nuovo amore, CeCe si sente sola, vulnerabile e inadeguata. Ha ormai perso tutto: il rapporto speciale che aveva con la sorella, e anche l’ispirazione per i suoi quadri.
In fuga da una vita in cui non si riconosce più, si ritrova in volo per l’Australia, sulle tracce che il padre le ha lasciato prima di morire: una foto in bianco e nero e il nome di una donna sconosciuta.
Ma quello che doveva essere lo scalo di una notte a Bangkok si trasforma nella prima tappa di un viaggio eccitante e avventuroso. Sulle meravigliose spiagge di Krabi, CeCe incontra Ace, un giovane affascinante, solitario e alquanto misterioso.
Tra un bagno nelle acque cristalline e una cena romantica, Ace l’aiuta a scoprire la storia della sua antenata Kitty McBride, donna forte e coraggiosa, emigrata in Australia agli inizi del Novecento: sulla scia fatale di una rarissima perla rosata, Kitty si ritrova divisa tra l’amore di due fratelli rivali, e al centro delle trame di una famiglia che possiede un vero e proprio impero…
Quando infine CeCe arriva nel caldo feroce del deserto australiano, la sua creatività si risveglia all’improvviso: forse questo continente immenso e selvaggio è davvero casa.
"Ti raccontiamo alcune pagine di Anna Frank, una ragazzina ebrea di 13 anni, figlia di un ricco banchiere tedesco." Il diario di Anna Frank tradotto in simboli dai giovani adulti della comunità Arca di Bologna per la nuova collana INBook Parimenti. Proprio perché cresco dedicata a lettori con disabilità cognitive. Un testo celebre che, grazie a questo nuovo adattamento nato sotto la supervisione del Centro Studi INBook, potrà essere portato nelle scuole e nelle comunità educative così che la sua lettura risulti finalmente accessibile a quel pubblico di giovani adulti, anche stranieri, che si approcciano con difficoltà ai testi tradizionali.
Ambientato nei dedali dei ghetti, nelle case o nei retrobottega, ma anche nei luoghi più ufficiali del commercio o alla sala Borsa, «Storielle ebraiche» rappresenta il felice esito del lavoro di raccolta di Raymond Geiger, folklorista del primo Novecento; mosso dalla convinzione che esistesse un'essenza dell'"umorismo ebraico", Geiger andò direttamente alla fonte, ascoltando centinaia di storie della variegata comunità aschenazita europea e d'oltreoceano. Ne emerse un irresistibile campionario di aneddoti sparsi. Tratti distintivi di questa psicologia collettiva sono la tendenza alla grassa ironia, il desiderio di conoscere e discutere di qualsiasi cosa, lo smaliziato ottimismo e lo sguardo impietoso che non risparmia nessuno, soprattutto se stessi. Sono, queste, storielle che più di qualsiasi saggio riescono a sintetizzare una tradizione orale ricca quanto volatile, impresa riuscita anche grazie al loro essere distillate, brevissime e cariche di quello humour unico, caustico e sornione, tipico della cultura ebraica.
L'inverno è alle porte, Kaede e Kataoka sono ritornati in Giappone e Shizukuishi ritrova il calore del tempo trascorso insieme e si sente finalmente un po' più a casa. A breve, tuttavia, dovrà spostarsi di nuovo: ha deciso di andare a vivere con Shin'chiro, e così si mettono alla ricerca di un posto dove abitare, tra appartamenti improbabili e agenti immobiliari dalle dubbie capacità. Le persone, però, non sempre sono ciò che sembrano, e questo vale anche per Shin'chiro. Basterà un viaggio nel passato per rompere tutti gli equilibri e gettare Shizukuishi nella disperazione consentendole al contempo di crescere. Un serpente di giada, una donna prorompente, un giardino fuori dal mondo: questi e altri gli ingredienti di una storia di dolore e speranza in puro stile Yoshimoto.
“Scrive in un modo libero, sensuale e impetuoso” Alessandro Piperno
Iris – quarantacinque anni, sposata, con due figli – pensa di essersi lasciata alle spalle i due grandi traumi della sua vita: l’abbandono da parte del primo amore, Eitan, che l’aveva indotta giovanissima a desiderare la morte e, anni dopo, l’attentato di cui è stata vittima, che l’aveva portata tra la vita e la morte. A distanza di dieci anni da quell’attentato, Iris non si aspetta certo il riaffiorare del dolore fisico, di quei ricordi terribili, ma soprattutto non si aspetta di reincontrare per caso Eitan. Se a questo si aggiungono il sospetto che il marito Michi abbia un’amante e la preoccupazione per la figlia, plagiata da un uomo molto più grande di lei, la vita di Iris sembra andare di nuovo in frantumi e la situazione appare ingestibile.
Solo una grande scrittrice come Zeruya Shalev, con la sua scrittura sensuale e fluente, poteva dar voce alla profonda complessità della vita e delle relazioni, e tirare con pazienza i fili della storia fino a comporre una trama impeccabile e portarci in un toccante viaggio catartico attraverso il dolore e il suo contrario.
“‘Sei bellissima, avrei una gran voglia di farti la corte.’ ‘Paul, ti dispenso da questa fatica! Mi offri una sigaretta?’”
“Nei singoli uomini non si è verificata la benché minima trasformazione, non è accaduto altro se non che diverse inibizioni sono state spazzate via e che ogni specie di mascalzonate e furfanterie possono essere commesse oggi con un rischio relativamente minore, in ogni senso sia morale che materiale, di quanto non accadeva in passato. Inoltre si parla un po’ più di cibo e di denaro.” Così Arthur Schnitzler descriveva, nel 1924, la sua epoca, difendendo Signorina Else dalle critiche di coloro che la consideravano un’opera appartenente a un mondo “finito e sorpassato”. In realtà, la vicenda della giovane donna, ospite della zia nel Grand Hotel di San Martino di Castrozza, che per salvare il padre dalla rovina economica deve mostrarsi nuda a un vecchio conoscente, è quanto mai sintomatica della lotta della dignità umana contro il potere del denaro. Ma soprattutto, in questo monologo-delirio interiore, Schnitzler raggiunge i vertici della sua creazione artistica cadenzando, come in uno degli ultimi quartetti di Beethoven, il progressivo scivolamento dalla disperazione, al sonno, alla morte.