Non esiste luogo in cui l’amore non possa vincere
«Lale cerca di non alzare lo sguardo. Allunga la mano e prende il pezzo di carta che gli viene porto. Deve trasferire le cinque cifre sulla ragazza che lo stringe. Quando ha terminato, la trattiene per un braccio un attimo più del necessario e la guarda negli occhi. Abbozza un sorriso timido e sforzato e lei risponde con un sorriso ancora più timido. Tuttavia gli occhi di lei gli danzano davanti. Mentre li fissa, sembra che il suo cuore allo stesso tempo smetta di battere e ricominci per la prima volta, impetuoso, minacciando quasi di scoppiargli fuori dal petto. Lale abbassa lo sguardo verso il suolo che oscilla sotto i suoi piedi. Quando risolleva lo sguardo, lei non c’è più.»
Il cielo di un grigio sconosciuto incombe sulla fila di donne. Da quel momento non saranno più donne, saranno solo una sequenza inanimata di numeri tatuati sul braccio. Ad Auschwitz, è Lale a essere incaricato di quell’orrendo compito: proprio lui, un ebreo come loro. Giorno dopo giorno Lale lavora a testa bassa per non vedere un dolore così simile al suo finché una volta alza lo sguardo, per un solo istante: è allora che incrocia due occhi che in quel mondo senza colori nascondono un intero arcobaleno. Il suo nome è Gita. Un nome che Lale non potrà più dimenticare.
Perché Gita diventa la sua luce in quel buio infinito: racconta poco di lei, come se non essendoci un futuro non avesse senso nemmeno un passato, ma sono le emozioni a parlare per loro. Sono i piccoli momenti rubati a quella assurda quotidianità ad avvicinarli. Dove sono rinchiusi non c’è posto per l’amore. Dove si combatte per un pezzo di pane e per salvare la propria vita, l’amore è un sogno ormai dimenticato. Ma non per Lale e Gita, che sono pronti a tutto per nascondere e proteggere quello che hanno. E quando il destino tenta di separarli, le parole che hanno solo potuto sussurrare restano strozzate in gola. Parole che sognano un domani insieme che a loro sembra precluso. Dovranno lottare per poterle pronunciare di nuovo. Dovranno conservare la speranza per urlarle finalmente in un abbraccio. Senza più morte e dolore intorno. Solo due giovani e la loro voglia di stare insieme. Solo due giovani più forti della malvagità del mondo.
Il tatuatore di Auschwitz è il libro del 2018 e nessun editore ha potuto lasciarsi scappare una storia così intensa da far vibrare le corde più profonde dell’animo. Una storia che presto diventerà un film. Il dolore che Lale e Gita hanno conosciuto e l’amore grazie al quale lo hanno sconfitto sono un insegnamento profondo: perché restano ancora molte verità da scoprire sull’Olocausto e non bisogna mai smettere di ricordare. Un romanzo sul potere della sofferenza e sulle luci della speranza. Su una promessa di futuro quando intorno tutto è buio.
Fishke lo zoppo è considerato il capolavoro di narrativa di Mendele Moicher Sfurim: dalle sue pagine emerge l’universo degli schnorrer, accattoni vagabondi, descritto con fedeltà e bonaria ironia. È come un’affettuosa esortazione ad abbandonare l’arretratezza e la chiusura dell’isolato mondo dello shtetl nel rispetto dell’autentica tradizione.
Anche per questo Sfurim è unanimemente riconosciuto come il primo grande classico della letteratura jiddisch: nella sua opera trovano una perfetta sintesi l’entusiasmo riformistico degli illuministi e l’incrollabile saldezza dell’ebreo orientale dinanzi alle aggressioni della storia, la pietas tenerissima e la sbrigliata invenzione linguistica, con la sua irresistibile comicità.
Maryse, illustre neuropediatra, è una donna bella e intelligente, ma terribilmente narcisista e ossessionata dal bisogno di essere sempre la più brava, la più ammirata - la numero uno. È anche madre di Charlot, un bambino singolare, che sa meravigliarla ed esasperarla al tempo stesso. Come una sorta di Piccolo Principe, fin dalla più tenera età Charlot la disarma con domande sulle verità più essenziali e meno afferrabili: la felicità, il senso della vita e dell'amore. Grazie a Charlot e ai suoi quesiti filosofici che la mettono in difficoltà, Maryse inizia pian piano a spogliarsi delle sue certezze inossidabili. Grazie a Charlot e alle sue lacrime, Maryse capisce che certe ferite inflitte dalla vita non hanno un motivo né una spiegazione, e riscopre il valore dell'umanità nel ruolo di medico. Con il suo candore acuto e il suo coraggio ostinato anche di fronte alle prove più dure, un ragazzino come Charlot sarà in grado di dimostrare agli adulti che l'essenziale nella vita sta nell'assaporare ogni istante del presente, nel riscoprire quella tenerezza che ci permette di entrare in connessione con gli altri, nello spogliarsi del proprio ego e di tutte le maschere che ci impone. Solo così è possibile imparare a volersi bene e lasciarsi andare alla vera gioia, quella che si raggiunge solo con l'intelligenza del cuore. Perché «diventare intelligenti è aver trovato il significato reale della parola amare».
Samuel Beckett è stato a lungo conosciuto, e venerato, anche per la sua aura, dovuta all'aspetto fisico, all'inaccessibilità e al singolare dono per cui certe sue battute – scritte o recitate che fossero – entravano subito nella leggenda e nell'uso quotidiano. Ma soprattutto colpiva, intorno a lui, una zona di silenzio, che era in primo luogo una cifra stilistica. Così, di fronte alle sue lettere straripanti torna in mente il celeberrimo slogan inventato dai produttori di Ninotchka per la Garbo: Beckett parla! Sì, perché nelle sue lettere Beckett parla, moltissimo, e di tutto: del suo primo datore di lavoro, «Mr Joyce»; delle regioni più impervie della psiche, che esplorava con l’aiuto di Wilfred Bion; delle numerose lingue che abitava, e da cui spesso si sentiva posseduto; della miseria in cui era costretto a vivere; della stupefacente quantità di rifiuti editoriali accumulati dal suo primo romanzo, Murphy; e dei suoi viaggi in Europa, su cui spicca una straordinaria esplorazione della Germania di Hitler, in cui Beckett si addentra con il proposito di vedere quadri degli antichi maestri ma anche dei moderni, esattamente quelli che i nazisti, ritenendoli degenerati, avevano appena tolto dalla circolazione. A tratti, le pièce che il giovane viaggiatore avrebbe scritto dopo la guerra sembrano ispirate a fatti realmente accaduti e il «Fallire ancora, fallire meglio» appare qualcosa di più che un programma estetico. E, a libro chiuso, si ha la sensazione rara che, con Beckett, le sorprese siano appena cominciate.
I lettori di Bolaño l'hanno capito da tempo: l'universo narrativo di questo autore (oggetto di un culto fervido quanto ormai diffusissimo) è simile a una ragnatela, a un labirinto, alla mappa di un'isola misteriosa, a una galleria degli specchi come quella della Signora di Shanghai, a una scacchiera, a un campo gravitazionale – o a un complesso organismo vivente. In ogni suo libro, infatti, quasi in ogni sua pagina, vi sono tracce, indizi, sintomi che rimandano ad altro, a qualcosa che era già – o che sarebbe poi stato – presente in altri libri. Qui, sullo sfondo di una Città del Messico concretissima e fantasmatica al tempo stesso, assistiamo all'iniziazione alla vita e all'amore di «un goffo poeta di ventun anni», «un nuovo arrivato piuttosto pretenzioso», il quale divide una stanza sul tetto con un giovanissimo scrittore che non esce mai di casa, vede topi mutanti sul soffitto e scrive lettere liriche e deliranti ad autori nordamericani di fantascienza. Un filo narrativo al quale (come sempre in Bolaño) se ne intrecciano altri: le lezioni radiotrasmesse del responsabile dell'Accademia della Patata di Santa Bárbara, scene della seconda guerra mondiale, aneddoti su altri scrittori... In questo libro – che è in sé stesso un rito di iniziazione, e un ritratto dell'autore da giovane – la scrittura di un Bolaño non ancora trentenne è letteralmente sfrenata: un fuoco d'artificio di effetti speciali, apparizioni, visioni, allucinazioni, sogni psichedelici e scene surreali – quasi una scrittura «in acido». E invece gli appunti che troviamo in appendice al volume rendono conto dell'intenso e meditato lavoro di messa a punto dell'architettura del romanzo.
La scrittura elegante e le splendide immagini dell'Atlante dei luoghi letterari, edito da Rizzoli, ci guidano in un viaggio attraverso quattromila anni di narrativa - dall'Epopea di Gilgamesh a Due anni, otto mesi e ventiquattro notti di Salman Rushdie - alla scoperta dei mondi immaginari più amati della letteratura.
Laura Miller ha interpellato scrittori, critici e accademici di fama
mondiale, che ci accompagnano nell’esplorazione di quasi cento mondi
fantastici, in un’antologia che per la prima volta affianca i classici
alla letteratura popolare e alla narrativa contemporanea. Una folgorante
rassegna – raccontata e illustrata – delle terre inventate e delle
ambientazioni immaginate da autori di tutti i tempi, dai miti fondatori
– tutte le più grandi saghe e leggende antiche – fino ai fantasy e ai
romanzi distopici del XX secolo. Ogni opera è presentata con cura,
illustrata con immagini artistiche e rappresentata dalla copertina
dell’edizione più significativa. Non manca l’omaggio a grandi autori
italiani creatori di terre leggendarie come Ludovico Ariosto, Italo
Calvino, Dante Alighieri.
Cile, anni ottanta, sotto la dittatura del generale Pinochet. Un giovane sovversivo, Miguel Flores, sospettato di svolgere attività rivoluzionarie, viene mandato al confino in un paese nei pressi di una grande tenuta, La Novena, di proprietà di una ricca latifondista, Amelia. Tra i due, dopo un'iniziale diffidenza, nasce un profondo legame, arricchito dal gusto per la lettura. Amelia è una signora avanti negli anni, vedova con figli, molto colta, che ha molto viaggiato ed è stata traduttrice. La sua mentore è stata una cugina, Sybil, che abita a Londra e lavora in una grande casa editrice. La vita scorre tranquilla, Amelia e Miguel conversano, meditano sul loro presente, sulla vita, sui libri; il legame si fa sempre più stretto, lui va a vivere da lei, finché una notte arrivano i militari a dargli la caccia perché sono state scoperte delle armi sepolte nella tenuta. Miguel riesce a fuggire, Amelia invece viene catturata, torturata e solo quando è riconosciuta estranea ai fatti viene rilasciata. Molti anni dopo Miguel, malgrado si sia rifatto una vita in Europa, rimane ossessionato dai ricordi e tramite Sybil viene a sapere cosa è successo ad Amelia dopo la sua fuga. Gettato nel più totale sconforto, capisce che l'unica chiave per superare i suoi sensi di colpa è tornare in Cile e affrontare il proprio passato.
Pubblicato nel 1901, La signora Berta Garlan narra la vicenda amorosa di un'insegnante di pianoforte. Sposata a un uomo che non ama, Berta resta ben presto vedova e continua a vivere da sola con il suo bambino in una piccola città danubiana. Nulla sembra poter ormai cambiare un destino già segnato da rinunce e privazioni, quando una gita a Vienna la farà incontrare di nuovo l'unico uomo che abbia davvero amato, un compagno di conservatorio divenuto nel frattempo un famoso virtuoso di violino... In questo romanzo Schnitzler ci regala una bellissima figura femminile, della quale sonda l'anima con grande sensibilità e modernità, descrivendo la difficile condizione sia economica che sociale di una donna di quei tempi e l'impossibilità di sfuggire a un'esistenza infelice. Ma la profondità di Schnitzler va al di là delle contingenze dell'epoca storica: come fece notare il padre della psicoanalisi Sigmund Freud, la sua arte, con il suo scetticismo, la sua penetrazione nella verità dell'inconscio e nella natura delle pulsioni umane, la demolizione delle certezze convenzionali della società e la polarità di amore e morte, attinge a un valore universale.
Tra i ghiacci della Siberia, i prigionieri lavorano senza sosta nei boschi a temperature polari: nello stomaco brodo di cavoli e pochi grammi di pane. Sola via d'uscita le automutilazioni che aprono le porte dell'ospedale; unico paradiso, qualche giorno di riposo e una coperta. Con una scrittura di straziante impersonalità che mette il lettore davanti ai nudi fatti, Gustaw Herling - intellettuale cosmopolita che ha vissuto sulla propria pelle lo scandalo del Male nella storia del Secolo breve - racconta il gulag in questo indimenticabile libro-testimonianza che è quasi un Bildungsroman. Pubblicato a Londra nel 1951, in Italia nel 1958 e solo negli anni Ottanta in Polonia, Un mondo a parte - ha scritto Ignazio Silone - «malgrado tutti gli orrori che descrive, è un libro di pietà e di speranza».
Per Christopher Banks tutto sembra essersi fermato quando, da bambino, gli sono stati misteriosamente rapiti i genitori. Fino a dieci anni è cresciuto come un orfano nella ricca Shanghai dell'oppio, per poi essere affidato alle cure di una zia nell'austera Inghilterra. Londra anni Trenta: Christopher è ormai un famoso detective privato, ma dietro ad ogni caso brillantemente risolto grava l'enigma di quel rapimento. Poco importa se in quegli anni proprio a Shanghai si sta innescando la scintilla che porterà il mondo alla rovina. Banks, infatti, ritiene che anche il massacro insensato della guerra sia un caso risolvibile per un buon investigatore, magari con l'aiuto del suo strumento feticcio, la lente di ingrandimento.
Boris Pasternak nacque nel 1890 a Mosca. Il suo ingresso nella vita intellettuale russa coincise con la moda del cubofuturismo e con le più accese esperienze di rinnovamento letterario. Ma per quanto animato da un ansioso bisogno di ricerca, egli non dimenticò mai la più genuina tradizione della sua terra, come testimoniano l'opera poetica e, ancor meglio e di più, il romanzo. La sua poesia, così improduttiva ai fini della propaganda, non lo mise mai in buona luce presso le autorità; egli stesso - non per una ben individuata ragione di ordine politico, ma per un preciso bisogno di salvare la libertà dell'arte e del pensiero - sin dal 1930 visse in disparte nella sua dacia di Peredelkino presso Mosca, dove morì nel 1960. Fu in questa volontaria solitudine che maturò e fu scritto II dottor Zivago. Il premio Nobel per la letteratura, conferitogli nel 1958, e l'eco enorme e l'impressione profonda suscitate in tutto il mondo dal romanzo non valsero a toglierlo dall'isolamento né ad attenuare il gelo ufficiale della politica e della letteratura sovietiche. Unanime, la critica di tutto il mondo riconosce che II dottor Zivago si inserisce - per dirla con le parole di Eugenio Montale -"per l'ampiezza del quadro e per la primordialità delle passioni nella tradizione tolstoiana"; e tuttavia, come scrisse Edmund Wilson, esso "non è affatto un romanzo d'antico stampo ... è un romanzo poetico moderno, il cui autore ha letto Joyce, Proust, e Kafka e ... s'è allontanato dai suoi predecessori per inventare, in questo campo, un genere suo proprio ... l'intero libro è una grandiosa, enorme espressione simbolica della visione della vita dell'autore".
Un anno in giallo raccoglie 12 racconti, uno per ogni mese dell’anno; ogni autore ha scelto il «suo» mese, ambientando lì, in quel tempo dell’anno, una storia con il «suo» investigatore. Ad aprire la raccolta con il mese di gennaio è naturalmente Andrea Camilleri, il capostipite, colui che ha impresso al romanzo giallo un segno irripetibile, creando con il commissario Montalbano un personaggio che è ben saldo nella mente e nel cuore dei suoi infiniti lettori di ogni parte del mondo. Poi, mese dopo mese, tutti gli altri investigatori: quelli istituzionali come il vicequestore Schiavone di Antonio Manzini, l’ispettrice Petra Delicado con il vice Fermín di Alicia Giménez-Bartlett. I detective per caso: i sicilianissimi Saverio Lamanna e Lorenzo La Marca così simili ai loro autori, Gaetano Savatteri e Santo Piazzese, il biblioterapeuta Vince Corso inventato da Fabio Stassi, l’autore televisivo Carlo Monterossi, personaggio di Alessandro Robecchi, e Kati Hirschel, la libraia di Istanbul, patria di Esmahan Aykol. Infine gli investigatori corali: il condominio della casa di ringhiera capeggiato da Amedeo Consonni di Francesco Recami e i goliardici vecchietti del BarLume di Marco Malvaldi. Due personaggi fanno qui la loro comparsa per la prima volta: l’avvocato Cornelia Zac, frutto della fantasia e della professione legale di Simonetta Agnello Hornby, e la poliziotta Angela Mazzola, in servizio alla sezione antirapina della Mobile di Palermo, creatura di Gian Mauro Costa. Le due nuove detective di cui facciamo conoscenza in questa antologia saranno presto protagoniste di romanzi.