
Un'immagine che conosciamo tutti: un uomo barcolla faticosamente verso il traguardo della maratona all'Olimpiade di Londra, il 28 luglio 1908. Quell'uomo è Dorando Pietri, un'icona dello sport mondiale: tutti sanno che venne squalificato da quella gara perché un giudice di gara lo sorresse negli ultimi passi e che poi Alessandra, la regina d'Inghilterra, lo volle premiare ugualmente il giorno dopo con una coppa speciale. la storia del ragazzo che divenne l'atleta più famoso (e probabilmente più ricco) del suo tempo. Perché attraverso la vicenda di Pietri scopriamo che lo sport all'inizio del secolo era già un business, e che qualcuno ricorreva al doping (anche se era un doping meno sofisticato dell'attuale). La vita romanzesca e avventurosa di un «italiano vero», e uno spicchio appassionante della nostra storia e della storia dello sport.
Contro una frenetica, quasi grottesca successione di sregolatezze, violenze, avventure erotiche che il protagonista del romanzo, Stephen Rojack, si trova a vivere nel breve spazio di trentadue ore sullo sfondo di una New York senza luce, si infrange il sogno di un'America trasformata da mitico paese delle possibilità, melting pot di razze e tradizioni, in allucinante incubo notturno. In questa iniziazione alla violenza, sostenuta da un linguaggio ricco, aggressivo e sfrontato, Stephen ubbidisce al proprio ritmo vitale e mantiene intatta la sua forza trasgressiva: novello pioniere deciderà alla fine di intraprendere un viaggio verso l'America del Sud, quasi vagheggiando una nuova frontiera.
Sogno a herrenberg è un vivido affresco disegnato sullo sfondo della guerra dei contadini divampata in Germania nel 1525. Anche alcuni artisti si trovano a partecipare, seppur in modo diverso, al conflitto: se Albrecht Durer si schiera dalla parte di Lutero e dei principi, tra le file degli insorti troviamo Mathias Grunewald, Tilman Riemenschneider e Jorg Ratgeb, protagonista di questo romanzo.
Giuliana Morandini mette a fuoco con fedeltà storica e impressione plastica vicende e personaggi noti e meno noti che si muovono sul fosco scenario del Rinascimento tedesco.
«Ho scritto delle gioie dell’amore. A lungo, nel mio cuore, ho sognato di legarmi intimamente a un uomo; ogni Jane, credo, merita il suo Rochester. Eppure, da tempo avevo perso ogni speranza di provare quell’esperienza in vita mia. Al suo posto mi sono dedicata alla mia professione e ora, che l’ho trovata, dovrei abbandonarla? È possibile che una donna si doni completamente sia a un lavoro sia a un uomo? Possono la sua mente e il suo spirito coesistere in pace? Così dev’essere; perché la vera felicità, ne sono sicura, non la si può raggiungere in altro modo.»
Ci sono segreti che una donna non può rivelare nemmeno alla più cara delle amiche, dubbi che possono essere sciolti soltanto cercando la verità più profonda del proprio cuore.
Per questo Charlotte Brontë amava così sinceramente il suo diario. Solo a lui poteva confidare i segreti più intimi del suo animo: la verità sull’uomo che era entrato nella sua vita in un giorno di tempesta, un uomo rude, quasi sgradevole, ma anche forte e in grado di proteggerla dal mondo, che Charlotte aveva iniziato ad amare in segreto.
Nei suoi diari, Charlotte Brontë racconta la propria vita, quella della sorella Emily, le loro aspirazioni come giovani scrittrici in un mondo di soli uomini. E, soprattutto, confida la storia del suo grande amore.
Quanti sogni e illusioni hanno accompagnato e continuano ad accompagnare la vita dei grandi del mondo, della gente ricca, e di quella comune, di semplici comparse della storia, di potenti dimenticati: Enzo Biagi ne racconta alcuni.
Francis è un nigeriano, giovane e colto, che sbarca in Italia per trovare lavoro e che nel giro di qualche anno imbocca la via che lo porta sulle strade come ambulante, nel giro della prostituzione e infine in quello della droga. Tutto è descritto con realismo e fatalità, come il destino delle prostitute nigeriane la cui unica speranza è quella di sfruttare la prostituzione di altre nigeriane. Un romanzo autobiografico che racconta anche di questa nuova periferia del mondo che si sta costruendo dentro le città, che vive tra il terrore del rimpatrio, l'illegalità e la gioia di piccoli lavori regolari.
Ngugi Wa Thiong'o, fra i più grandi scrittori africani viventi, dispiega in queste pagine il racconto della sua infanzia e prima adolescenza con disarmante semplicità e freschezza. Scrittore capace di esplosiva denuncia politica (Petali di sangue, Jaca Book, 1979) e di complesse tessiture polifoniche del mondo keniano post-indipendenza ("Un chicco di grano", Jaca Book, 1978, 1997), raccoglie qui le sue energie di narratore distillandole in un linguaggio immediato, che si fonde con il racconto di se stesso ragazzino, ma che progressivamente sempre più va amplificandosi nei grandi eventi storici in cui il protagonista si trova immerso. Prendendo le mosse dai più lontani ricordi del suo gruppo familiare, tutta l'esistenza raccolta nelle cinque capanne del padre e delle sue quattro mogli, la storia personale del bambino finisce per incontrarsi e scontrarsi con quella di un Kenya scosso dai fermenti indipendentisti e dalla dura repressione del governo britannico. Il fascino della parola pervade tutto il libro, presagio del destino del protagonista: dai racconti collettivi del paese, in cui la consistenza storica del fatto si perde nella pluralità delle voci che lo compongono, alle storie raccontate in famiglia "con il riflesso delle fiamme che danzava sui volti", dall'incontro con la parola scritta, grazie a un'inseparabile Vangelo prima e alla biblioteca di un insegnante poi, alla fallace linearità della propaganda coloniale che occupa ogni spazio pubblico...
Che cos'è la realtà? Non appena lasciamo i rassicuranti ormeggi del senso comune, il contenuto di questa nozione si trasforma in una preda quanto mai sfuggente. In questo libro Wendy Doniger guida il lettore attraverso i vertiginosi labirinti di specchi che la mitologia e la narrativa indiana hanno saputo creare per esemplificare le infinite ambiguità e possibilità di stratificazione dell'illusione. Storie di mondi condivisi, di mondi paralleli, di allucinazioni annidate una nell'altra.
Roma, 1983. Il Novecento brilla ancora. Emanuele, neppure ventenne, lavora in un cineclub del centro. Una notte, al termine di un film di Tarkovskij, entra in sala e vi trova un uomo solo, in lacrime. È Arturo Patten, statunitense trapiantato a Roma, uno dei più grandi fotografi ritrattisti. Per tutto lo scorcio del secolo, Emanuele ascolterà la lezione del suo amico, Lucignolo e Grillo Parlante assieme, che vive la vita con invidiabile intensità, e grazie a lui incontrerà Cesare Garboli, il «grande critico» cui è qui dedicato uno splendido cammeo, che prima di morire gli affiderà la missione di indagare su Metastasio e sul suo sonetto "Sogni, e favole io fingo". «Favole finge» tutta la grande letteratura moderna qui evocata, da Puskin a Pessoa fino ad Amelia Rosselli, somma poetessa italiana del Novecento, che abita nella stessa strada di Arturo e che come lui lascerà la vita per scelta; Emanuele incontrerà più volte quel meteorite umano, sempre in fuga da oscuri e spietati nemici, e con Arturo è lei, e la sua eredità, l'altra protagonista di questo «libro strano» di Trevi - romanzo autobiografico e divagazione saggistica assieme, sette anni dopo "Qualcosa di scritto". Arturo, Amelia, Metastasio guidano lui e noi nel cuore di una Roma piovosa e arcaica, nel cerchio simbolico della depressione e dell'insensatezza, verso l'approdo vitale dell'illusione: se, come scrive Metastasio, le storie inventate suscitano in noi la stessa commozione delle vicende reali, forse di sogni e favole è fatta la vera vita.