Nei primi anni del dopoguerra, mentre si andava delineando quella integrazione planetaria nel nome della tecnica che oggi è sotto gli occhi di tutti, Ernst Jünger elaborò questo testo, apparso nel 1951, oggi più affilato che mai. La figura del Ribelle jüngeriano corrisponde a quella dell’anarca, del singolo braccato da un ordine che esige innanzitutto un controllo capillare e al quale egli sfugge scegliendo di «passare al bosco» – dissociandosi, una volta per sempre, dalla società. Il Ribelle jüngeriano sente di non appartenere più a niente e «varca con le proprie forze il meridiano zero». Tutta l’eredità del nichilismo, del radicalismo romantico e della furia anti-moderna si concentra in questa figura, qui osservata come facendo ruotare un cristallo. Letto oggi, questo testo appare di una impressionante preveggenza, quasi un guanto di sfida gettato in nome di una libertà preziosa: «la libertà di dire no».
Stephen Dedalus studia, lontano dai genitori, presso i gesuiti. Quando, ormai adolescente, passa a un altro collegio, vive le prime esperienze sessuali in un bordello di Dublino. Ma in un ritiro spirituale decide di indirizzarsi a una nuova spiritualità. Presto però si sente insoddisfatto e quando inizia l'università avverte nuove esigenze estetiche; capisce così di doversi svincolare dalla famiglia e dalle istituzioni religiose e politiche. Stephen Dedalus si dispone, novello Dedalo, a lasciare l'Irlanda, il suo "labirinto".
Storpio, e per questo abbandonato dalla famiglia, lo spartano Talos sembra condannato a una vita da pastore e a non diventare mai un valoroso guerriero come l'intrepido fratello Brithos. Ma il destino è tortuoso e avvicina i due fratelli, che si troveranno fianco a fianco nella lotta contro gli invasori persiani.