Il lascito lirico di Properzio, ancora oggi, stupisce per la freschezza del suo linguaggio e della sua ispirazione. Dei quattro libri che compongono le sue Elegie (Elegiarum libri IV) il più celebre è sicuramente il primo (Monobiblos, "libro unico"), prima raccolta pubblicata nel 28 a.C. e dedicata alla donna amata, Cinzia, secondo la tradizione dei poeti alessandrini. Costituito da ventidue elegie, è noto anche sotto il titolo di Cynthia (nei manoscritti). Vi si canta prevalentemente l'amore impossibile per Cinzia con l'aiuto di un ricco repertorio di figure mitologiche. Anche nel secondo libro, in trentaquattro componimenti, prevale di gran lunga sugli altri temi l'amore per Cinzia. Insomma: Cinzia restò per gran parte della vita del poeta la sua prima ispirazione, nella gioia come nel dolore, entrando di prepotenza - per non uscirne mai più - nel canone delle grandi muse letterarie. Un modello che nei secoli è tornato a vivere nelle opere dei tanti poeti che a Properzio hanno guardato come a un modello, da Ariosto a Goethe, fino al Novecento.
Con Federico Garcia Lorca, e con la sua arte colta e popolare insieme, la sua capacità di riunire in armonia la tradizione e l'avanguardia, il grande pubblico scoprì la poesia moderna, le invenzioni verbali, le analogie, gli scorci, gli impasti, le astrazioni. A settant'anni dalla sua tragica uccisione, per molti aspetti inspiegabile, escono in un unico volume tutte le poesie del massimo poeta spagnolo del Novecento. Canti che hanno raggiunto un successo popolare che soltanto l'epoca classica tributava ai poeti, elegie amorose e nostalgiche che colpiscono cuore e mente. Immagini ardite e soluzioni stilistiche innovative che impressionarono i contemporanei e che continuano a emozionare il lettore di oggi. Dal Libro di poesie al Poema del cante jondo, dal Romancero gitano a Poeta a New York o al celeberrimo Compianto per Ignacio Sànchez Mejtas, la raccolta completa degli indimenticabili versi di Federico Garcia Lorca nelle traduzioni di Lorenzo Blini, Renato Bruno e Norbert von Prellwitz che ha curato questa edizione e ne ha scritto l'introduzione, la bibliografia e la cronologia della vita e delle opere.
Come nasce la poesia? Di quale misterioso lavoro è l'esito? E qual è il suo compito? Chiunque si sia posto, almeno una volta, domande del genere potrà finalmente trovare in queste interviste - che coprono l'intero arco della vita di Brodskij in esilio, dall'inizio degli anni Settanta fino a poche settimane prima della morte improvvisa, avvenuta a New York nel 1996 - risposte di un'audace limpidezza. Scoprirà così che la poesia è "uno straordinario acceleratore mentale", "lo scopo antropologico, o genetico" della nostra specie, e che non vi è strumento migliore per "mostrare alla gente la visione reale della scala delle cose". Scoprirà, poi, che quelli che ha sempre ritenuto imperscrutabili artifici tecnici - gli schemi metrici ad esempio sono in realtà "formule magiche", "magneti spirituali", capaci di incidere profondamente sulla poesia, al punto che un contenuto moderno espresso secondo una forma fissa (un sonetto, per intenderci) può sconvolgere quanto "una macchina che sfreccia contromano in autostrada". Per di più Brodskij sa illuminare anche il lavoro dei poeti che amava - Auden, Frost, Kavafis, Mandel'stam, Achmatova, Cvetaeva, Milosz, Herbert, per limitarci ai contemporanei - con una lucidità mai disgiunta da una vibrante partecipazione: "Non mi capita spesso di leggere qualcosa che mi dia una gioia così intensa come quella che mi dà Auden. È vera gioia, e con gioia non intendo un semplice piacere, perché la gioia è qualcosa di molto oscuro".